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Senza categoria - page 8

Marco Santini va oltre la sviolinata

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<<Sai Kruger, ho deciso di chiedere pubblicamente alla mia fidanzata di sposarmi nel corso di uno spettacolo ad Osimo>>. Marco me l’aveva confessato, con una punta di legittima timidezza in redazione, nel pomeriggio in cui è stato ospite del Tyche Live (potete riviverlo QUI). Insomma niente a che fare con una “carrambata” televisiva: solo sentimento puro, condito dal frizzante piacere della sorpresa. <<Sono scelte che ti fanno diventare improvvisamente un principe azzurro per il pubblico femminile – mi racconta sorridendo – ma nel tempo stesso rischi di diventare un invadente esempio per la maggior parte del pubblico maschile>>.

Andiamo per ordine. Stiamo raccontandovi di Marco Santini, eccellente violinista, autore e direttore d’orchestra che alla fine del concerto di Ferragosto, all’interno del Duomo di Osimo, ha fatto una dichiarazione di matrimonio alla sua amata, Nicoletta Giorgi, di fronte ai 1200 intervenuti. Emozionata e felice, Nicoletta ha accettato l’anello che Marco, ovviamente inginocchiato di fronte a lei, ha donato come promessa d’amore.

Attenzione, non è stato uno show ma il gesto innamorato che Marco, dopo aver suonato per un’infinità di matrimoni, ha voluto dedicare a se stesso e alla loro futura vita insieme. << Un amore davvero nato per caso, durante un viaggio negli Stati Uniti, dove all’epoca Nicoletta, anche lei osimana, risiedeva>>.

E poi? Un lungo applauso fra la sorpresa e la commozione della sua gente in quell’indimenticabile sera di Ferragosto. Un amore bello che si spera sempre possa essere contagioso.

Kruger Agostinelli

A Cagli c’è la Gioconda, quando il sorriso entra in cucina

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Scesi due gradini, Lei, la signora più fotografata della storia dell’arte, è lì. Gabriele Giacomucci confessa la sua passione e la circonda di Magnum di Champagne. Il locale di Gabriele sa di storia. I soffitti a volte raccontano il passato di Cagli.

Alle pareti, coerenti con l’amore per l’arte che identifica tutta la famiglia, ci sono quadri contemporanei in bella mostra. Anche il menu è una piccola opera d’arte. I piatti non sono descritti ma disegnati attraverso gli ingredienti che li compongono. Ad esempio per la carbonara di verdure ci sono gli spaghetti, una carota, una melanzana, un uovo, un pomodoro e un pezzo di cacio pecorino. Sono le 11. E’ presto per mangiare ma tardi per cucinare. Il privilegio più grande che possa regalarsi uno che ama mangiare e cucinare è quello di mimetizzarsi fra un frigorifero ed un abbattitore e origliare, in silenzio, gesti, frasi e suoni di un cuoco. Gabriele mi permette ciò e ne sono onorata. Stanno preparando il mojito che accompagna la macedonia di frutta. Zucchero, acqua, rum. Foglie di menta. Il tutto prima scaldato e poi messo a congelare in piccoli bicchieri neri che saranno portati in tavola belli ghiacciati. Gabriele ha un paio di aiuto cuochi e l’aiuto più prezioso: mamma Carla. Sorridente e bella come la Gioconda.

Gabriele e Carla per TycheMamma Carla sta preparando il condimento per gli spaghetti alla carbonara di verdure. Alcune stufate nel forno, altre saltate in padella. Il segreto di questa carbonara sta nella cottura del pomodoro che diventa quasi “conserva”. Unito all’uovo ne accentua il colore che è la sorpresa all’interno del piatto. Mi racconta che questo piatto raggiunge il suo apice nella stagione del tartufo nero. Non faccio alcuna fatica ad immaginarlo.

Qui si respira cultura di carne. Anche se la compagna di Gabriele è vegetariana. Poco importa. Gabriele e mamma Carla fanno dei polli al forno, delle faraone ripiene e delle costate che se solo volevate diventare vegetariani guarirete subito. Le carni sono assolutamente locali e estere di grande pregio. La capacità della frollatura e della cottura le esaltano. Gabriele mi ricorda le diverse cotture dei volatili divise per petto, ali e cosce. Durante l’inverno il menu della cacciagione è gaudente e succulento ed attira clienti dalla costa. Cagli è quasi al confine con Toscana e Umbria. Risente dell’influenza positiva delle due regioni culturalmente forti in fatto di territorio. Il turismo estivo, mi racconta Gabriele, è un turismo colto che viene, soprattutto, dal Nord Europa. Gode dell’aria frizzante della montagna e delle animazioni serali che accendono la notte. Le sale della Gioconda si prestano perfettamente a rievocazioni medievali. Sembra quasi che i muri, a mattoncini, siano intrisi di ricordi e di profumi. Quando non lavora, il lunedì, Gabriele scende verso il mare e va a trovare i suoi amici cuochi ed a scoprire talenti. Ben 10 anni di Gioconda sono un eccellente biglietto da visita. <<Dove vuoi farti fotografare? All’entrata sotto l’insegna? Accanto alla Gioconda? In cucina?>>. Per non sbagliare scatto fuori, dentro ed in cucina. Poi incrocio gli occhioni di mamma Carla e decido io per tutti. Due sorrisi, quelli che vedete in questa foto, che svelano l’amore per la materia prima e l’amore per come utilizzarla al meglio. Chi come loro lavora la carne e la cacciagione ha quella marcia in più che si chiama rispetto. Fatevi un paio di giorni a Cagli. Ogni stagione, in mezzo a queste montagne, ha il suo fascino. Ed una cena dalla Gioconda sarà il modo giusto per entrare nell’anima di questo affascinante territorio marchigiano.

Carla Latini

Ad Ascoli un Renzo Arbore ad “Alto Gradimento”

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Renzo Arbore ci fa un volante saluto prima del concerto, con un bacio a Carla Latini e uno scatto con il terzo numero cartaceo di Tyche Magazine, che riporta la sua intervista. Non nasconde gli acciacchi che i suoi 78 anni rendono legittimi, ma quando sale sul palco ridiventa un leone. La goliardia di sempre, quell’irresistibile umorismo del sud che la “erre” moscia rende aristocratico. Il tutto condito da tanta, ottima nostalgica musica italiana con la predilezione alla componente partenopea. Più che un concerto quello con l’Orchestra Italiana è un programma. Uno di quei suoi programmi che in radio e tv sono riusciti ad infrangere gli schemi classici del comunicare.

Lui, amante del rock’n’roll e dello swing, in fondo è il più italiano di tutti. Gioca con i suoi talentuosi musicisti e li rende personaggi con e senza lo strumento. Un menestrello che prende spunto con ironia della vecchiaia per alleggerire l’umore del numeroso pubblico intervenuto anche “in Ascoli”. Un ottimo banco di prova per l’organizzazione Tyche Eventi, in questa occasione impeccabilmente supportata dalla Simbiosi Marketing. Una menzione poi per il giovane sindaco di Ascoli, Guido Castelli, rivelatosi un buon corista. Una serata in definitiva, tanto per dirlo alla sua maniera, ad “Alto Gradimento”.

Kruger Agostinelli

Foto di Federico De Marco

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Il Summer Jamboree merita la patente di festival internazionale

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Summer Jamboree in attesa di diventare maggiorenne? No perché, come in America, al suo 16° anno merita già la patente, avendo dimostrato di saper guidare una macchina che continua a piacere. Sapete cosa convince di più? E’ la sua autorevolezza nel sapersi presentare come un festival che nasce da un territorio bello come quello di Senigallia ma ripulendosi da qualunque vizio provinciale. C’è il senso internazionale del sapersi proporre, si respira aria nuova e lo stesso pubblico è curioso e divertito senza bisogno di “vizi” da aggiungere. Lo sballo è nell’atmosfera che si respira e nella curiosità di vedere quello che succede, ora dopo ora, giorno dopo giorno. Ad Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini, i due instancabili e gloriosi organizzatori, va dato il merito di aver saputo mantenere il livello artistico sopra la media. Nulla al caso, scelte intelligenti e condivisibili. Di quel poco che siamo riusciti a vedere, vogliamo sottolineare l’entusiasmante performance di Ondrej Havelka and His melody Makers senz’altro la novità più brillante dell’intero cast. A cui vanno aggiunti, e non spirito campanilistico, i Cialtrontrio BigBanda. Di quello che vi abbiamo detto vi invitiamo a vedere i nostri video in allegato.

Ma andiamo con i numeri stratosferici per la sedicesima edizione del Summer Jamboree che si è aèèena conclusa. Stimate, secondo il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi circa 400 mila presenze nei 9 giorni del festival (più uno di anticipazioni).   Impressionanti anche i dati della rete: la pagina Facebook ufficiale ha superato i 100 mila fan mentre i post sul Summer Jamboree hanno raggiunto una copertura di oltre 700 mila contatti. Sul lato artistico 40 concerti che hanno visto protagonisti 194 tra artisti e dj. Tuttavia, a rendere l’idea del livello raggiunto dalla manifestazione è stata una frase, più che un elenco di dati. “Non ho mai visto tanta gente felice tutta insieme. Girando ad ogni angolo della città tutti hanno il sorriso in volto”. Parole pronunciate da Gary US Bond, uno dei big che si sono esibiti quest’anno. Ma dall’impeccabile organizzazione, si insiste ancora sulla quantificazione numerica della portata dell’evento: 6 i palchi utilizzati per gli spettacoli dal vivo, per allestire i quali sono statiimpiegati 18 mixer, 120 tra microfoni e radiomicrofoni, 78 casse acustiche, 370 altoparlanti, pilotate da oltre 180 amplificatori, e oltre 3 km di cavi per audio e luci. Infine 10 le “piazze” in cui si sono svolti i dj contest e 120 le persone che hanno lavorato all’evento (escludendo il personale dei fornitori del Festival). Tra gli eventi più partecipati del dopo festival, vanno menzionati il Burlesque Show di Eve La Plume e Grace Hall che ha riempito gli 800 posti disponibili del teatro La Fenice, e il Big Hawaiian Party sulla spiaggia di velluto di Senigallia in cui hanno ballato circa 20 mila persone. Un bel regalo, a sorpresa, agli organizzatori Angelo Di Liberto e Alessandro Piccinini dal palco (Main Stage Foro Annonario) del Rock’n’Roll Revue di sabato notte insieme è arrivato da Renzo Arbore. (l’11 agosto in scena con l’Orchestra Italiana al campo sportivo Squarcia di Ascoli in un concerto della Tyche Eventi).

Kruger Agostinelli

QUI TUTTI GLI ARTICOLI TYCHE SU SUMMER JAMBOREE 2015

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Roberta Schira, con sette regole vi aiuta a riconoscere dove si mangia bene

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Paolo Paciaroni Roberta Schira Carla Latini Tre giorni con la Schira. Sembra il titolo di un film. “Le Schiriadi” è il titolo del suo nuovo programma televisivo in onda il 12 Agosto sulla rete Blastingnews.com e poi, a settembre, sui canali tradizionali. Epocali punti di vista da Schira. Si comincia con Expo. Ma ora torniamo nelle Marche. Roberta Schira è con me per tre giorni. Paolo Paciaroni (ricordate il mio cuoco felice di Tolentino?) le ha trovato un luogo, chiamarlo location sarebbe offensivo, per presentare il suo libro “Mangiato bene? Le 7 regole per riconoscere la buona cucina”. Siamo a San Marcello, a cavallo fra verdicchio e lacrima. Vigne, girasoli e ulivi. Aria fresca e tramonto prenotato. Non credo che Roberta abbia mai avuto palcoscenico più bello. Non credo che Roberta abbia mai avuto la traduzione simultanea in tedesco. A Tenuta San Marcello, Massimo e Pascal producono Verdicchio da 9 anni. Durante prima e dopo la presentazione assaggiamo le annate, prima per caricarci e dopo fra un piatto e l’altro di Paolo Paciaroni. La cena si intitola: il Verdicchio incontra il tartufo. Ed è sold out da giorni. Roberta Schira, per chi ancora non la conoscesse, è una delle scrittrici italiane più lette tra quelle che si occupano di critica eno-gastronomica. “Mangiato bene?” è il suo decimo libro. Un’idea geniale, come lei stessa ammette, applicabile a qualsiasi business al di là di cibo e vino. In un mondo in cui tutti ormai si sentono sicuri del proprio palato, prenotano i ristoranti consultando guide e tripadvisor, cucinano per gli amici e criticano conti e prezzi dei vini, come facciamo a capire se abbiamo mangiato bene oppure no? Il sole sta tramontando e ci tinge tutti di arancione. Chef Paolo è con me e Roberta sul prato. Di fronte a noi più di 40 persone. 12 sono stranieri per cui una bella cameriera aiutata da un signore olandese che poi scopriremo chiamarsi Daniel, traduce in tedesco. Affrontiamo subito il concetto di buono. <<Per affermare che questo verdicchio è buono – dice Roberta – devo almeno averne assaggiati altri 10>>. Paolo conferma la versione di Roberta. Il palato va esercitato. Così come l’olfatto e l’odorato. Nel libro mi piacciono molto le pause di riflessione che la Schira ci obbliga a fare. A non oltrepassare l’ostacolo. Insomma, bisogna cominciare il gioco e finirlo. La prima regola è la materia prima. Non esiste ristorante o qualsiasi altro esercizio commerciale che non investa nella materia prima. Che sia ricca o che sia povera deve essere fresca e di buona qualità. Seconda regola è saperla manipolare. Saper usare la tecnica. Nel rispetto della sua tradizione. Diffidate da un pasta scotta, da un risotto mal mantecato, da una carne troppo cotta e tagliata male. Fin qui dice Paolo ci siamo. Poi ecco la regola numero tre. Il Genio con la G maiuscola. Il cuoco che va al di là e crea una nuova strada. Genio è Gualtiero Marchesi. Genio è Ferran Adria. Massimo Bottura. Al numero quattro si parla di equilibrio e armonia. Facile a dirsi. Difficile da mantenere. Roberta, che prima di scrivere di cibo è andata a scuola di cucina da un grande che si chiama Claudio Sadler, ha imparato a riconoscere gli ingredienti in un piatto solo guardandolo. Bastano 3 ingredienti principali che siano in equilibrio e armonia. La regola del 3 di Riccardo Agostini. Il punto cinque ci trova tutti d’accordo. Intanto la giovane cameriera aiutata da Daniel traduce e diverse sono le interruzioni e le domande. Il punto cinque è l’atmosfera che è fatta da sedie comode, non troppo caldo non troppo freddo, né troppa né poca luce, musica in equilibrio e armonia con l’ambiente. Cameriere presente ma non insistente. Insomma la sfera che ci circonda quando siamo in un ristorante od anche in un semplice frutta e verdura che cucina per noi. E magari cucina verdure recuperate nella memoria e segna anche la storia.

Perché il punto numero sei è, come dice Paolo quando lavora i prodotti della sua terra maceratese, il progetto. Nascondere dentro un piatto la storia della terra che si vive, il rilancio o anche il lancio di prodotti locali, nella stima e nel rispetto del lavoro degli altri. Come fa Paolo quando utilizza la zafferanella o come Alex Atala che ci cucina il platano in tutte le sue sfaccettature. La settima regola è quella che ci permette di riconoscere il food cost del piatto, la scelta delle materie prime, la ricerca che c’è dietro quel piatto, il servizio e la cura che si mette nel ricevere. Ho speso il giusto è la risposta che dovremmo riuscire a darci. Potremmo dilungarci ancora un po’ ma la cena ci aspetta. E così in 42 seduti ad un tavolo imperiale godiamo delle delizie che Paolo Paciaroni ha creato per noi con il tartufo nero fresco. Cominciando con un bignè di bufala affumicata, un carpaccio di carne di vitello, un uovo pochè con crema di patate, continuando con i trucioli di Gualtiero Marchesi e tartufo nero, la carne di vitello arrosto con timo selvatico e rosmarino e il semifreddo alla vaniglia con tartufo strezeul alla nocciola. Avevo promesso a Roberta che le avrei fatto vedere le Marche, quelle vere. Il giorno dopo per andare a Tolentino da San Marcello passiamo nell’interno. Qualche curva di troppo ma che meraviglia. ‘Sono innamorata delle Marche.’ Roberta lo dice anche al fraticello che ci accompagna durante la visita alla Basilica di San Nicola a Tolentino. Una delle meraviglie della nostra terra. Da visitare appena potete. Un po’ di Marche anche nelle Schiriadi? Chissa?

A Cile’s il menu è servito: prima, adesso, quindi e per finire

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Cile’s è a Fano, vicino al mare, in via Dante Alighieri al numero 89. Un po’ Costa Azzurra, un po’ Provenza. Vi piacerà sia fuori che dentro. Non potrete fare a meno di emettere qualche “oh!” di meraviglia. Seduti al vostro tavolo, Cile vi porterà il menu che racconta di pescato del giorno, di verdure di stagione, di primi piatti colorati, di legumi e latticini freschi.

Qui tutto ha le sfumature del mare, del cielo e del corallo. I tavoli sono coperti da lunghe tovaglie di fiandra. I sotto piatti sono tono su tono. Chiudo gli occhi e mi immagino l’atmosfera della sera, quando le candele ai tavoli sono accese. Gli antipasti da Cile’s si chiamano “Prima di…”; i primi piatti “Adesso”; i secondi: “Quindi” ed i contorni (che bello trovare i contorni a menu!) “Insieme a quindi”; i dolci: “Per finire”. Fra gli “Adesso” mi salta all’occhio un piatto che mi ricorda un amico comune, Marco Bistarelli. Un cuoco di quelli della lista dei top 40 in Italia. Il piatto si chiama Spaghetti alla carbonara di pesce secondo Marco Bistarelli. Cile mi dice che è il loro piatto forte. Non posso non assaggiarlo. Anzi, visto che è la prima volta che sono qui, voglio assaggiare i piatti che identificano la filosofia del locale. Libero il grande tovagliolo color lavanda dall’abbraccio di una bianca stella marina, mi consulto con il mio accompagnatore e poi scegliamo di assaggiare due “Prima di…” un “Adesso” e un “Quindi”. Tartare di tonno con rametti freschi e croccanti di finocchio selvatico. Rosa e verde chiarissimo. Anche i cromatismi del piatto fanno pendant con l’ambiente. Percepisco in bocca sapore di alici. Chiederò a Susy dopo, quando la vedrò. Per il mio accompagnatore, invece, Flan di ricotta e gamberi con mazzancolle arrostite. Così mi rendo conto di come sono gli abbinamenti mare/latticini, tipici delle coste che hanno le montagne a pochi chilometri. Il Flan giustamente tiepido e perfetto nella sua sofficità. Ed ecco la Carbonara di pesce. Sono indecisa se svelarvi o no il mistero che si cela all’interno di questo bel piatto di spaghetti artigianali. Appena arrivano sembrano lavorati come per una carbonara a regola d’arte. Un movimento delicato con la forchetta ed ecco la sorpresa. Ho deciso. Non ve la svelo. Dovete andare da Cile’s e scoprirlo da voi. Vi concedo solo un aiuto. Come d’incanto gli spaghetti cambiano colore. Prima lentamente e poi, ad un certo punto, completamente. Devo fare i complimenti a Susy. Cile mi dice che non ama uscire dalla cucina. Ma io devo farle una foto! <<Sarà difficile>>. Mi fa preoccupare Cile. Sono molto brava a convincere le persone ma stavolta mi sembra dura. Il mio naturale pessimismo mi porta a fare tante foto al locale. Nell’ipotesi che non riesca a fotografare la cuoca insieme a Cile e alla figlia Alessandra che controlla e sovrintende la sala. Il nostro “Quindi” è il fritto misto tipico dell’Adriatico con le verdure tagliate a grandi ovali. Si presenta dentro una cassettina di legno che vien voglia di portare a casa. Ed è in verticale. Per cui si mangia scendendo. Anche qui c’è la sorpresa. In fondo ci sono i pescetti più piccoli. Croccante e classico. Uno dei migliori fritti di quest’anno per me. Esce Susy dalla cucina. Bella donna con piglio deciso. Ha già scelto dove vuole mettersi per la foto. Quindi la fa! Uno scoop questo per Tyche. Mentre non faccio altro che dire grazie, grazie, grazie… la convinco a rimanere con la bandana. È sicuramente un tocco di ‘cinema’ in più che non guasta mai. Faccio tanti scatti e li scegliamo insieme. Ed ora chiacchiere e racconti. I miei per loro e i loro per me. Susy mi fa leggere la recensione che le ha fatto una nota Guida. Non le è piaciuta. La capisco. Dopo tanta fatica e stanchezza dispiace passare per quello che non si è. In questi casi vale sempre la pena di dire la frase, scontata ma vera: l’unica vera guida sono i clienti con la loro fedeltà e i loro passaparola. E Cile’s è sempre pieno a pranzo e a cena. Prenotate che è meglio! Tornando al sapore di alici nella tartare di tonno Susy baciandomi nel salutarmi mi dice: <<Sì ci metto sempre un “soffio” di alici nella tartare. Mi piace di più. Accentua il mare>>.

Carla Latini

Tutti insieme appassionatamente sul palco del Summer Jamboree

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Tutti insieme, tutti in una volta. Al Summer Jamboree, sabato 8 agosto, è la serata della Rivista: sul Main Stage del Foro Annonario, la Abbey Town Jump Orchestra accompagnerà i grandi artisti che hanno partecipato al festival. Ci saranno Greg, Jackson Sloan, Tre Allegri Ragazzi Morti, Denis Mazhukolow, Miss T, Paolo Fioretti, Laura B, Ettore, Francesca Viaro, Egidio Ingala, Poison Ivies, Grizzo, Chiara Rosso, Maria Antonietta, Tommy “Ol’Boogies” e molti altri ancora. Un grande classico per la serata che anticiperà la chiusura dell’edizione numero 16. Si tratta di uno dei momenti più attesi dal pubblico, forse quello che rende il Jamboree “the hottest rockin’ holyday on heart”. Ad esaltare la Rivista (o la “Parade” per dirla nella lingua degli Usa), i 22 elementi che compongono la Abbey Town Jump Orchestra. A dirigerla, Kyle Gregory, trombettista statunitense già direttore della Third Eye Big Band di Verona che annovera tra le sue fila i migliori musicisti del nord Italia. Si indirizza verso le composizioni per Big Band tipicamente americane, sviluppando un repertorio che spazia dai classici di Duke Ellington e Count Basie a brani contemporanei come quelli del celebre compositore e sassofonista americano Bob Mintzer. Propone musica che prenda spunto da tutte le ramificazioni del jazz, dallo swing e dal be bop fino al latin e al funky. Divertimento garantito a partire dalle 21.

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Angelo Di Liberto racconta il Summer Jamboree: “E quella volta di Stand by me…”

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Angelo Di Liberto non è un organizzatore di eventi. E non è neppure un appassionato che voleva realizzare un desiderio. Angelo Di Liberto è semplicemente il Summer Jamboree. Lo stesso Alessandro Piccinini, suo ottimo complice, me lo conferma poco prima dell’intervista. A lui va il merito di aver imposto alla manifestazione un cliché per niente provinciale ma nel tempo stesso neanche globalizzato. Insomma un piccolo miracolo planetario sulla Riviera Adriatica. Ovviamente a tempo di autentico rock’n’roll. <<E quando Ben E. King cantò per la seconda volta Stand by me… >>, ci racconta nella gustosa e rumorosa intervista, quella che ascolterete nel video che abbiamo realizzato nel backstage del palco principale al Foro Annonario.

Un invito a vedere il Jamboree? D’accordo, c’è una drammatica ed insostenibile situazione cronica di assenza di parcheggi a Senigallia, ma organizzatevi e provate ad andare a questa stupefacente manifestazione. Non fate come me, che a causa della carenza di posti auto ho rinunciato puntualmente a farci una tappa. Proprio ora mi sono sentito telefonicamente con Max Pezzali, con cui stiamo programmando una chiacchierata, che presto leggerete. Appena saputo del mio Jamboree-desiderio, afferma senza mezzi termini: <<Fantastico, una della manifestazioni più incredibili che abbiano fatto negli ultimi trent’anni in Italia!>> Ecco, trovo ancora più legittima questa voglia di ritornarci.
Kruger Agostinelli

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Fratelli Cavallini sorsi e bocconi fra tipicità locali e gustose intuizioni

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A San Severino Marche, in centro, c’è un ristorante che merita una fermata, anzi due, una a pranzo e l’altra a cena. Luca Cavallini in cucina e Simone in sala trasmettono passione, competenza e allegria. Che non bastano mai. Come potrebbe non bastare un pranzo ed una cena per capire tutto di quest’esperienza, assolutamente da fare. Il Cavallini è al primo piano di un elegante palazzo in via Bigioli al numero 47. Un pianerottolo divide la sala dalla cucina a vista. Sbirciando potrete vedere Luca con indosso uno dei suoi bizzarri cappelli. Luca, che sembra molto più giovane dei suoi 45 anni, è in cucina da sempre. Il Cavallini è lì da quando c’erano i suoi genitori. Luca e Simone scrivono e dicono che hanno creato il locale che piacerebbe loro frequentare. Rinnovato da poco, è bianco candido ma non freddo. Accogliente e avvolgente. Il menu arriva a tavola su una lavagna bianca posta su un tavolino con le rotelle. La cornice è di madreperla. Molto chic. Mette allegria.

Nel menu le Marche brillano con tutti i loro prodotti, dal mare, alla terra. Ma Luca ama anche contaminare. E lo fa con una grazia innata. Che si sente attraverso i suoi piatti. Dietro consiglio di Simone ho assaggiato il crostone con le alici del Cantabrico, l’insalata tiepida di mare e i paccheri con il baccalà. Per il vino ho lasciato fare a lui e mi sono divertita a provare due bianchi che sta per mettere in carta. Nulla di marchigiano: un grillo dalla Sicilia ed un blanc de blancs dall’Alto Adige.

La carta dei vini rispecchia Simone ed i suoi gusti. Non è una carta “ruffiana” ma una carta da esplorare. Il grillo con le alici canta! Il crostone di pane fatto in casa, spesso più di due dita, croccante e saporoso di delicata cipolla, si rompe nel verso dell’alice e diventa un unico boccone. L’insalata tiepida di mare è tiepida veramente. Verde di misticanza varia e croccante con calamari appena scottati e delle sottili fette di mela verde con la sua buccia. Su tutto un olio evo locale. Mi piace lasciarmi trasportare da sapori forti e dolci insieme. Un po’ di frutta secca in fondo al piatto fa da trait d’union con tutto il resto. Ed ora tocca al Blanc de Blancs con il baccalà che condisce i paccheri. Insieme ad una minuscola dadolata di carote, sedano, cipolla. Il tutto completamente candido. Senza pomodoro. Un piatto ricco e molto gustoso.

Fra un sorso e un boccone dico a Simone che vorrei fargli una foto con il fratello. La sala è piena e sta correndo fra una comanda e l’altra. Mi guarda con un punto interrogativo sulla fronte. Sorrido. <<Faccio subito, non ve ne accorgerete nemmeno>>. Prima prendo un caffè. Ricerca anche qui: Jamaica blue mountain di Giada. Appena finisco il caffè, Luca esce dalla cucina. E’ ridente ed accaldato. Occhi che brillano. È appena rientrato dalle ferie che ha passato con la famiglia in Provenza. Parliamo di lì. Ci sono stata da poco anch’io. Soliti luoghi comuni che non sono più tali ormai. I francesi sono bravi a vendersi, non c’è nulla da dire. Ma da qui a dire che si mangia bene siamo proprio lontani. Concordo con Luca. <<La foto? Mi vado a togliere il cappello!>>. E invece si presenta con il cappello che vedete in foto. Li becco al volo!

Voglio tornare con calma a cena. E assaggiare altre cose buone a menu. C’è un piccione notevole e altri antipasti da valutare. Come potrebbe essere il banalissimo prosciutto e melone preparato dalle mani di Luca? Che vino abbinerebbe Simone? Alla prossima! Intanto andateci voi e telefonate (0733/634608) prima. È sempre pieno.

Carla Latini

Maccheroncini al fumè, una ricetta dove vince la confusione culinaria

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Nulla a che vedere con i celebri fratelli di Campofilone, nulla a che vedere con nostalgiche cucine rurali o quelle della mamma. I maccheroncini al fumè sono uno dei simboli storici dell’evoluzione della cucina degli anni settanta/ottanta in Italia. Una cucina che non ha lasciato un’identità precisa. Ma oggi li celebro come una vera e propria ricetta. Non ce ne sono di originali e codificate tipo: nell’amatriciana non va né aglio e né cipolla; nel pesto non va il burro, e così via. Qui regna sovrana la confusione e la contaminazione più totale. Il buon senso mal applicato. Ma sono buoni. Se fatti bene, buonissimi. Alla fine degli anni ’70 erano il primo piatto che componeva un menu, assolutamente spontaneo, denominato le 3P. Ovvero, pasta, pizza e patate. Le 3P erano prerogativa del “mangiare fuori” di ogni parte d’Italia. Sulle coste marchigiane, oltre al fumè, confidenzialmente chiamato così dagli affezionati, c’erano la pizza ai frutti di mare (una novità assoluta per quegli anni) e le patate fritte. Un giovanissimo cameriere, ora cuoco di fama mondiale (non vi dico il nome per ovvi motivi di privacy e perché lo conoscete tutti troppo bene), mi diede una ricetta, una delle tante, del fumè. Per me, diciassettenne golosa, divenne da subito “L’Originale”. Prevedeva per 4 persone 320 grammi di maccheroncini di semola di grano duro, 200 grammi di pancetta affumicata, 300 grammi di passata di pomodoro, 200 milligrammi di panna da cucina, parmigiano, sale e peperoncino in polvere. Il giovane cameriere già “profumava” di stelle perché in questa ricetta non c’è olio evo. Per condire, mi diceva, bastano il grasso che lascia la pancetta e la panna. Il giovane cameriere dai ricci scomposti (tutte le ragazze volevano essere servite da lui) scrisse su un foglietto, che conservo gelosamente, così: prendi una padellina di ferro e fai soffriggere, fino a farla diventare croccante la pancetta tagliata a fiammiferi (l’attuale julienne). Togli dalla padella e conserva. Nella stessa padella, unta del grasso rimasto, fai cucinare a fuoco forte (erano tempi in cui si sobbolliva per ore!) per qualche minuto la passata di pomodoro con il peperoncino in polvere e il sale a piacere. Unisci la pancetta e la panna a fuoco spento. Mantieni in caldo. Scola i maccheroncini al dente e mescolali nella padella con il condimento, sempre fuori dal fuoco. Unisci il parmigiano grattugiato in abbondanza.

Bella e molto attuale non vi pare? Se considerate che stiamo parlando di una ricetta di circa 35 anni fa. Nel tempo, facendola, ho capito che, come volevasi dimostrare, se gli ingredienti non erano assolutamente eccellenti e di qualità, il pomodoro rimaneva troppo acido, la pancetta sapeva troppo di bestia, la panna era troppo grassa e copriva il sapore di tutto. Così persi di vista “L’Originale” e mi feci corrompere da chi soffriggeva la pancetta nell’olio evo con la cipolla e il peperoncino, sfumava con vino bianco, addirittura con la vodka, aggiungeva il pomodoro e faceva cucinare a lungo. Alla fine solito procedimento con panna e parmigiano. Poi il ritorno della pasta artigianale trafilata al bronzo permise a qualcuno di eliminare la panna. Io fui una delle prime! Poi via la pancetta affumicata per lasciare spazio allo speck. Scandalizzati? Provateci e poi mi saprete dire. Con lo speck va via anche il peperoncino. Per lasciare spazio alla paprika piccante. Sempre senza olio e sempre con lo stesso procedimento del mio cameriere con la bandana. Cotture separate e speck croccante. Ho indagato fra una pulizia del viso ed una manicure dalla mia estetista. Ognuna ha il suo fumè. Chi mette addirittura il burro. Chi al posto della cipolla, l’aglio. Chi insaporisce con origano o salvia. Chi con maggiorana o basilico. Un fumè per ogni stagione. E chi non ama sentirsi “affumicato” preferisce la pancetta naturale o un ottimo guanciale.

Ed ora, voglia di fumè saltami addosso! L’importante è che nell’insieme gli unici ingredienti evidenti siano le julienne di pancetta croccante e i maccheroncini. Il resto deve essere solo un invitante e gaudente amalgama da raccogliere con due, tre maccheroncini per volta. Vi concedo la panna, che sia fresca però!

Carla Latini

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