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Renzo Arbore: “Ascoli? Mi ricorda un giovane amore”. E promette uno show emozionante

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Squilla il telefono e lui si presenta: <<Sono Renzo Arbore>>. Proprio lui, il mio presidente dell’Aid (Associazione italiana disc jockey) di quarantanni fa. Quell’Arbore che insieme a Gianni Boncompagni conduceva Bandiera Gialla in Rai, che io, giovanissimo e minorenne, andavo a seguire da buon fan scatenato. Quell’Arbore che da Alto Gradimento in poi fece la “nuova” la radio. Quell’Arbore che dall’Altra Domenica in poi fece la “nuova” la tv. Una leggenda che ora sto intervistando.

Ci dica quali sono le buone ragioni per venire al suo concerto.

<<Le emozioni. Il mio concerto da una parte alterna diverse emozioni e situazioni sentimentali che sono caratteristiche delle canzoni napoletane d’autore. Dall’altra parte ci sono momenti di grande allegria con brani d’autore più in generale della scena italiana. La scaletta è varia. Poi, lo dico deridendo Paolo Conte (l’ho detto anche a lui, per scherzo): se c’è uno bravissimo che però parla poco con il pubblico quello è proprio Paolo. Invece io mi scateno sul palco, racconto tante cose. Mi dicono che un mio spettacolo è d’arte varia. Con l’esperienza che ho cerco di fare un’esibizione che non sia solo uno spettacolo per presentare il disco e basta, ma metto dentro tutto me stesso. Poi con me ci saranno 15 componenti d’orchestra che sono tutti bravissimi, virtuosi dello strumento>>.

Può raccontarci qualcosa sul suo impegno sociale con il Filo d’Oro di Osimo?

<<Da pochi mesi condivido questa esperienza con Neri Marcorè, un amico che ha accettato graziosamente di essere testimonial con me. Io ormai lo faccio da oltre 25 anni, c’è bisogno di un po’ d’aria nuova. Penso di essere stato fortunato nella mia vita. Il dovere di quelli che lo sono è tenere sempre presente che ci sono persone meno fortunate. Bisogna aiutarle, è una regola a cui attenersi. Il prossimo è la tua famiglia>>.

Negli scorsi decenni è stato un disc jockey storico e pure indimenticabile con Gianni Boncompagni in Alto Gradimento. Ed è tutt’ora presidente dell’Aid (Associazione italiana disc jockey). Come si è evoluta secondo lei questa importante figura musicale nel tempo?

<<La figura del disc jockey si è evoluta sorprendentemente. Ora i dj delle discoteche sono musicisti bravissimi. Fanno dei miracoli. I dj radiofonici purtroppo sono invece mortificati dalla playlist, che non li fa diventare più protagonisti delle scelte. Sono agli ordini e ai comandi dei computer, delle case discografiche, della radio stessa. Tranne che per pochi casi non hanno più quella meravigliosa magia addosso, quella che ti poteva far dire “Ho lanciato un artista” o “Ho lanciato un genere”. Spero che le radio ricomincino a fare questa selezione: non solo brani scelti dall’establishment ma anche da dj artisti>>.

Voi siete stati pionieri in Rai, poi sono arrivate le radio private che sembravano la grande rivoluzione. Ora è tutto cambiato. Ho intervistato recentemente Lillo e Greg che sono invece ora alla Rai e sono diventati quello che eravate voi anni fa nelle vostre trasmissioni.

<<Loro sono tra i pochissimi che scelgono pure i brani. Mettono pezzi Rock ‘n’ Roll e Rockabilly>>.

Che musica ascolta nel 2015 il dj Renzo Arbore?

<<Naturalmente molto jazz e molto swing di tutti i tempi. Poi tanta musica ritmica, da quella messicana e portoricana a quella cubana. Mi piace molto la musica solare, dei paesi del sole>>.

Qualche simpatico aneddoto sulle Marche?

<<Ad Ascoli Piceno ho avuto una fidanzatina tanti anni fa. Mi ricordo sempre di questa bellissima piazza, dove si svolgeva la recita della vita. Poi ho un particolare rapporto con le Marche. Grazie ad Osimo e al Filo d’Oro sono marchigiano ad honorem. Farò sicuramente un concerto bellissimo>>.

Ogni mese la nostra rivista ha una parola su cui filosofeggiare. Cosa le fa venire in mente il termine ARDORE?

<<Ardore è una bella parola. Fa il peso con passione. La passione la devi esercitare con l’ardore. Anche nella conversazione, nelle convinzioni, nell’aiutare il prossimo: bisogna farlo con ardore. L’oroscopo poi proprio in questi giorni mi ha detto che avrò una nuova svolta nella mia vita. C è bisogno di molto ardore, quindi>>.

Renzo Arbore ad Ascoli Piceno, martedì 11 agosto 2015 allo Stadio Squarcia. Infoline 0736 244970 – Prevendite online su TicketOne e Ciaotickets

Nel nostro sito degli eventi potete trovare ulteriori informazioni sul concerto di Renzo Arbore ad Ascoli Piceno.

Kruger Agostinelli

Giobbe Covatta, il comico buono del sud che racconta un divertente futuro surreale

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Giobbe Covatta KrugerQuando l’ho definito un “comico buono” si è messo a sorridere divertito. Giobbe Covatta è un genuino esponente del sud che ci piace. Intelligente, generoso e arguto nel saper cogliere le contraddizioni delle saggezze popolari che poi racconta. Tesse le sue storie surreali raccontando di un ipotetico futuro. Storie esilaranti in cui politica, religione e sesso descrivono l’umana esistenza sempre più impegnata all’estinzione. Questo ed altro nella video intervista qui di seguito, prima di salire sul palco dello Shada. Un altro apprezzato appuntamento di “Legati ad un granello di sabbia”, il venerdì notte del celebre locale di Civitanova.

Kruger Agostinelli

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Lillo e Greg incantano la piazza di Civitanova con i selfie

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Una platea da concerto per Lillo e Greg e il loro “Occhio a quei due”. Trasferito in piazza un ottimo spettacolo teatrale, con i pro e i contro che ne conseguono. Civitanova ha risposto alla grande, con oltre tremila spettatori. Chiaro, nella grande cornice di piazza XX Settembre, cuore dello “struscio” serale, in un’afosa serata di luglio, qualche gag si è persa nel vocio di chi era alla ricerca di un buon gelato o di una bibita rinfrescante. Nulla che invitasse al silenzio di un contenitore teatrale. Del resto la logica dell’ingresso gratuito presuppone una estesa fruibilità del prodotto. Però la serata è stata godibile e divertente anche per i molti che hanno assistito in piedi. Merito della collaudatissima coppia che si è avvalsa della brava e bella Vania Della Bidia. Sketch serrati e divertenti, nello straordinario stile surreale che da anni ci accompagnano nelle mirabolanti storie radiofoniche di “Sei uno zero”. Festa di piazza, quindi, che alla fine ha funzionato. La vera attrazione è diventata proprio il dopo spettacolo quando i protagonisti sono concessi con sincera generosità al loro pubblico. Selfie a gogo e non solo. Per tutti un’attenzione non di comodo ma personale e diretta, un sacro rispetto del pubblico dove Greg, Lillo e Vania sono stati inesauribili protagonisti. Nell’intervista di seguito ve ne accorgerete.

Kruger Agostinelli

Foto di Federico De Marco

La ricetta della Crescia, la focaccia Made in Marche

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Crescia in marchigiano vuol dire pizza. Più che una pizza è una focaccia. La Crescia nelle campagne veniva fatta con la pasta lievitata del pane che avanzava. Cotta nel forno a legna, prima del pane. In questo modo la Crescia faceva da ‘cartina tornasole’ per verificare la temperatura del forno. Piccolina, rotonda e alta con le fossette sulla superficie lasciate dai polpastrelli. Fossette strategiche per catturare il condimento. In origine era condita con olio e grani di sale grosso. In seguito fu aggiunto il rosmarino. L’olio veniva spesso sostituito con il lardo o addirittura con lo strutto spalmato. Strutto e rosmarino fanno la Crescia più buona del mondo! Usata come antico cibo di strada tagliata a metà e farcita. Con le foje o con i salumi. Possiamo prepararla facilmente a casa.

Se siete bravi e vi fate già il pane sono pochi i consigli che posso darvi: che sia alta almeno tre dita, che le fossette siano profonde e che il forno non sia ‘a palla’! La nostra Crescia deve rimanere pallida. Non deve abbrustolire e diventare troppo croccante. La vera Crescia è morbida e leggermente gommosa. Se non siete bravi, fate i furbi e chiedete al vostro panettiere di fiducia un po’ di pasta lievitata per fare del pane bianco. Conditela solo con grani di sale e un filo di olio extra vergine marchigiano. La Crescia è buona calda ma anche fredda.

Per le foje procedete così: ugual misura di spinaci, bietole, cicoria, cime di rape e erbe spontanee di campo. Potete comprarla solo qui nelle Marche, si chiama ‘cucina’. Se andate in un mercato rionale marchigiano e chiedete la verdura mista di campagna, quella che si raccoglie e non si coltiva, vi daranno la ‘cucina’. La ‘cucina’ deve essere ‘capata’ con molta cura e sciacquata a lungo. Cacigna, papole, grugnetti, alcuni dei nomi in dialetto di queste foglie selvagge, crescono molto vicino alla terra e ne sono praticamente intrise. Una volta ben pulite tutte queste verdure miste vanno sbollentate, appena, e ripassate nella padella di ferro con olio extra vergine, due spicchi di aglio in camicia ed un peperoncino rosso. I dosaggi di olio, aglio e peperoncino sono a piacere. Due varianti golose di queste foje sono la prima con l’aggiunta di una patata lessa schiacciata, la seconda con l’aggiunta di alcune fave fresche, prima lessate.

Tagliate a metà la vostra Crescia, farcitela con le foje trascinate e lasciatela a riposo qualche minuto. Se la Crescia nell’interno dove poggia la verdura è diventata verde è pronta per essere mangiata. Con i salumi vale lo stesso procedimento. Salumi a piacere: salame locale, prosciutto casereccio, lonza e lonzino affettati sottili e usati come farcia. Anche con i salumi la Crescia va fatta riposare un po’. Di solito non si mettono salumi e verdure insieme. Le verdure inumidiscono troppo il salume e il loro sapore piccante ne nasconde il sapore.

Esiste anche la versione sfogliata, molto più diffusa nella provincia di Pesaro Urbino. Si avvicina, come aspetto, alla piada romagnola. Ma è più spessa. Cotta sulla piastra rimane leggermente colorita in superficie. La tradizione la vede golosamente condita come la sorella maggiore di cui vi ho raccontato sopra. Contagiati dal suo aspetto più ‘piada che crescia’ potete osare formaggi morbidi locali in aggiunta alle verdure e ai salumi. Oppure anche misticanza fresca.

Questa stuzzicante e semplice ricetta marchigiana può essere un importante antipasto, un tutto pasto, una merenda o il centro tavola di un tipico pranzo marchigiano. Senza farcia la Crescia sostituisce molto egregiamente il pane bianco.

Carla Latini

 

Enopolis, un chiostro per Beppe nel cuore di Ancona

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Enopolis, ad Ancona, si sviluppa su tre piani sotterranei. Suggestivi e intriganti. Giuseppe Bianchi, che ha fatto crescere l’enologia marchigiana nelle Marche ed in Italia in quasi 30 anni di appassionato lavoro, ne è il patron. Nonché l’oste. Perché da Enopolis, oltre a degustare vini, bolle, distillati e le ultime scoperte di Bianchi in campo di bio/biodinamico e non filtrato, si mangia a pranzo e a cena. In cucina c’è Fabio Scuotto. Un cuoco napoletano che ha reso ancora più saporito e colorato il menu. Rivedo Giuseppe Bianchi con grande piacere. Ci conosciamo da 25 anni.

La prima impressione, arrivando a Enopolis, è che sembra di non essere più “in”Ancona. Il chiostro fa pensare all’entroterra. Ai nostri splendidi paesi arrampicati sull’Appennino. Verrete accolti da un grande bancone stile osteria. Molto caldo ed elegante. Sulla sinistra, dopo due tre scalini in salita, c’è il ristorante di “tutti i giorni”. Sulla destra si comincia a scendere. Un occhio alla cucina e ad una piccola sala e poi giù in un labirinto di cantina, in un piacevole fresco e in un buio discreto, illuminato con intelligenza. In questo dedalo di sale ci sono scaffali e casse di vino. Le annate e le etichette più belle. Un tesoro nascosto, in bella vista, in cantina. Tavolini spartani, non chic come sopra, testimoniano lunghe serate di degustazioni e cultura. Ho scritto bene cultura. A Giuseppe, detto Beppe (e da qui in poi sarà Beppe), uno dei primi sommelier del territorio, si deve riconoscere di aver portato nelle Marche i vignaioli più importanti e visionari d’Italia e del mondo. Ma, soprattutto, di aver fatto crescere quelli marchigiani. I miei primi verdicchi li ho bevuti con lui e da lui. I miei primi brunelli anche. Beppe ha saputo coniugare, senza infastidire, il commerciale e il culturale. Il suo primo posto, non a caso, si chiamava Ancona Vini.

Il salto con Enopolis, coraggioso pensando alla città e non me ne vogliano gli anconetani, risale al 2000. Ma torniamo alla cucina. Ho scambiato due parole con Fabio mentre mi faceva vedere come cucina e serve gli spaghetti al pomodoro (li scola e li porta a tavola sconditi insieme a olio evo, un monovarietale di Paolo Berluti della Calcinara, e ad una padellina di pomodoro con basilico. Un gioco da condire insieme a del “fossa” da grattugiare). La cucina di Enopolis, mi dice, è soprattutto di mare, Beppe va al mercato del pesce due volte al giorno e prende il meglio che trova. Quindi ricciola appena scottata, sarago al forno, gallinella di mare in guazzetto. Ma anche baccalà e stocco come vuole la tradizione. Non mancano crudità dell’Adriatico. Mentre parlo con Fabio, Beppe ci fa assaggiare un Cavalieri non filtrato. Decisamente insolito ma degno della sua continua ricerca. Fra i primi mi colpiscono i cappelletti in brodo e i passatelli con fonduta di pecorino di fossa. Bellissima idea. Insieme agli immancabili tagliolini con cozze e vongole. In tavola il pane a legna di Varano.

Prima di andare, non resisto, e chiedo a Beppe quali sono adesso i suoi preferiti, oltre a Cavalieri che ho capito che è un mito per lui. Mi risponde: <<l’eterno Villa Bucci, L’Insolito di Vicari, il Bacco di Coroncino>>. Enopolis è alla fine di corso Mazzini ad Ancona, tel. 071 2071505. Questa estate sarà un piacere bere e mangiare in cantina oppure fuori nel chiostro. Dipende da quale “fresco” preferite!

Carla Latini

Alessandro Scorsone direttore d’orchestra in una verticale di Utopia, un grande Verdicchio

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Alessandro Scorsone è il sommelier italiano più conosciuto in Europa. Un professionista che si sposta solo per passione. Il pubblico profano lo conosce bene perché diverse trasmissioni televisive (Uno Mattina, La Prova del Cuoco, Linea Verde) lo invitano spesso a parlare di vino. Mi fa piacere scrivere di lui. L’ho rivisto ad una verticale (degustazione dello stesso vino prodotto dallo stesso produttore in annate diverse, ndr) di verdicchio un paio di settimane fa. In collaborazione con i suoi colleghi marchigiani. Scorsone ama le Marche ed il verdicchio da sempre. Convinto che sia il vitigno bianco più longevo e importante d’Italia. Il percorso con lui è facile e poetico. Anche se non sei un sommelier, anche se, detta dal cuore, non ci capisci niente, con lui, piano piano, impari. Con grande piacere.

verdicchio utopiaQuella sera a Jesi siamo partiti da un 2011 per arrivare ad un 2007. Stessa terra, stessa vigna. Stagioni e raccolte diversi. La bellezza della terra che ritroviamo, generosamente nel vino. Perché il vino, sottolinea sempre Scorsone, si fa in vigna. Poco servono le alchimie degli enologi. Se la vigna è sana il vino è buono. Poi intervengono altri fattori, piccoli segreti di lavorazione. Temperature e conservazione. Il 2011 che beviamo è giovane, fresco. Piacevole. Finisce subito dentro i nostri bicchieri. Alessandro ci invita a tenerlo ancora un po’ perché ora c’è il confronto con il 2010. Che ha più sostanza. Ha perso un po’ di freschezza per guadagnare un profumo più persistente. Che sarà intenso nel 2009. Ancora di più nel 2008. Qualcuno non apprezza la complessità di questo 2008. Troppo difficile? A questo punto e prima di stappare la ‘chicca’ 2007, Alessandro legge le schede scritte per 2008 e 2007 dall’Ais ai suoi tempi. Schede valide ora per il 2011. Molti profumi freschi sono andati persi per far spazio a profumi maturi. Questi rimarranno a lungo. Il 2007 è un vino ancora in crescita. Ma fino a quando è giusto conservare un vino bianco? <<Finché lui continuerà ad avere qualcosa da dire>>.

L’applauso finale è sincero. E’ bello inseguire il naso di Alessandro Scorsone. I vini che abbiamo assaggiato sono quelli dell’Azienda Montecappone e Gianluca Mirizzi il padrone di casa. Bella serata da ripetere con un’altra strada da percorrere: verticali annata per annata fra aziende dello stesso territorio che sia Jesi o Matelica. Io ci sarò. Prenotatevi in tempo.

Carla Latini

I panini del Furgoncino al gusto di musica da Mina ad Elvis

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Collaudato ormai da diversi anni, come formula magica di street food, il Furgoncino si concede alle piazze marchigiane lasciando alle spalle settimane di Expo ed eventi in giro per l’Italia. Ho beccato Carlo Betti e la sua Laura, in una settimana, ben due volte. La prima a Pesaro, durante un Festival dedicato proprio al cibo di strada, e l’altra nella mia ridente cittadina, Osimo. Potevo mancare? Potevo non fare della meritata “ola” a questo signore dalla vita spericolata e ad alla sua bella dama? Giammai. Quindi eccomi qua, qualche minuto prima che la bolgia umana lo assalisse con le sue numerose richieste. Tassativo: Carlo Betti non cambia ricetta. Il panino è quello e quello rimane. In apparenza sembra burbero e tanto personaggio piratesco. Poi diventa buono come un suo panino. Laura sorride compiacente e Carlo accontenta, mal celando il disappunto, il cliente esigente. Capita di rado, però, perché i suoi panini sono assolutamente equilibrati. I sapori decisi, le verdure croccanti, carni e pesci ben definiti e di ottima qualità. Formaggi da urlo. Sono quelli di Vittorio Beltrami di cui un giorno vi racconterò.

In linea con il claim pane, vino e rock and roll, oltre alla scelta della musica (Carlo viene da un passato di Dj intensamente vissuto), i panini portano il nome dei suoi cantanti e musicisti preferiti. Ho assaggiato per voi (ebbene sì mi sono sacrificata per poterlo raccontare dal vivo) Mina, Califfo, Elvis, Johnny Cash e Moana. Mina e Elvis sono quelli che fanno parte del club né carne né pesce. Vegetariani ma non vegani. Nel primo c’è della saporita scarola saltata con un nuovo formaggio che si chiama “Stallone”, olive taggiasche (vere!) e pomodorini secchi. Elvis contiene invece mozzarella di bufala, lattuga fresca, zucchine rosolate e pomodori. I carnivori della notte avranno la loro più gaudente soddisfazione con Moana: porchetta, peperoni e senape: una bomba! Anche Johnny Cash non se la passa male: prosciutto crudo, gorgonzola e senape. Racchiuse dentro Califfo ci sono delle cipolle stufate ad arte, delicatissime, insieme acciughe sott’olio, pecorino e senape in grani.

Avrete capito che sono pressoché entusiasta dei panini rock di Carlo e Laura. Li definisco panini da chef. Anche se Carlo non è Mauro Uliassi. E non ci pensa per niente ad esserlo. Seguite il Furgoncino su facebook. Non quello di una nota marca di formaggio con i buchi che ha pensato bene di ispirarsi al Furgoncino di Carlo per il suo ultimo spot pubblicitario. Fateci caso…

Carla Latini

Tyche Live, dai 45 giri di Michele Pecora a Chimena Palmieri e Roberto Ghergo

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Ecco il terzo Tyche Live. Tra gli ospiti della nostra redazione c’è Michele Pecora. E’ un piacere per me incontrarlo qui. Mi ricordo che vendetti quasi a peso, talmente sono stati, i suoi 45 giri di “Era lei” a Falconara Marittina, nel mio Disco Fantasia. E proprio da lì siamo partiti nel live, con un doveroso ricordo poi un nostro caro amico che ora non c’è più: Cenzino, del Disco Story di Civitanova. Ma non si vive solo di ricordi ma soprattutto di musica e di tutto ciò che essa rappresenta nella vita di ognuno di noi. Sulla stessa linea d’onda anche l’altra faccia delle note in studio, il possente Roberto Ghergo: un po’ cantante, un po’ interprete, nel sottile confine che rende affascinante il palcoscenico per le sue eterne ambiguità. Al lato, la preziosa presenza di Massimo Saccutelli alle tastiere, un ottimo trait d’union fra gli artisti. Infine, e non ultima, Chimena Palmieri, scrittrice per volontà che vanta al suo attivo un libro su Ligabue. “Luciano” come dice lei: l’uomo e non necessariamente il musicista. Ed un nuovo stimolante lavoro intitolato “Raval” che cerca di prendere il volo nelle complicate strade dell’editoria. Una trasmissione che vi riproponiamo in replica video, un’ora in cui ascolterete, rigorosamente live, una versione brivido di “Occhi di ragazza” eseguita magicamente da Michele Pecora. O una piacevole “cialtronata” di un remake divertente in italiano di una hit dei Queen da parte di Roberto Ghergo. Tra i fuori onda, abbiamo saputo che Pierangelo Bertoli cantò per pochi intimi una versione acustica di “Era Lei”. Ma, purtroppo, non ne è rimasta traccia. Ma c’è il desiderio di Chimena di riproporre questo inedito attraverso il figlio di Pierangelo, Alberto Bertoli, di cui lei è amica. Ovvero facendolo cantare a lui. Insomma contaminazioni in questo happening “Tyche Live” che cercava un’anima per esistere ed ora sente pure suonare tanti cuori che raccontano le loro emozioni, spesso nascoste. Grazie davvero.

Kruger Agostinelli

Foto Federico De Marco

#TycheLive

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Gnocchi del Vescovo e spaghetti in porchetta, alla scoperta di chef Paciaroni

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Non siamo al centro di Parigi, né Paolo Paciaroni è una stella italiana in terra francese, anche se potrebbe esserlo. Siamo a Tolentino sulla Nazionale. Trentadue coperti in un ambiente bianco e rosso. Piccolo e raccolto. Sono stata da lui. Sorride sempre Paolo. Si sveglia felice ogni mattina perché fa la cosa che ama di più al mondo: cucinare. Mi confessa che, dopo tutte le avversità che ha superato, ogni giorno è il giorno più bello. La notte è solo una perdita di tempo. In cucina con Paolo c’è mamma Giuseppina. Una giovane signora che tira la sfoglia e fa gli gnocchi quasi tutti giorni. In sala c’è la sorella Laura. Una bella bionda che sorride con gli stessi occhi cerulei del fratello.

parete roberta schiraAlle pareti, le uniche due perché le altre sono vetrine che danno sulla strada ben protette da occhi indiscreti, ci sono tre frasi di altrettanti celebri cuochi: Beck, Bourdin e Marchesi. Più una lunga frase di Roberta Schira, una delle scrittrici più cult del momento, che sintetizza il lavoro del cuoco. In fondo a questa pagina potrete leggerla. Tutte le proposte a menu mi intrigano. Vi racconto quelle che assaggio.

Ci sono antipasti semplici come crostone di pane grigliato con caprese o più elaborati come insalata di riso, pollo e bacche di goji (finalmente ne capisco il senso dell’uso). Sui primi Paolo è più aggressivo e propone spaghetti in porchetta con pomodoro verde e finocchi e gnocchi del Vescovo, un piatto che non toglie mai dalla carta (mamma Giuseppina li fa due, tre volte alla settimana). Se è stagione (sono fortunata, proprio questa), sopra ai soffici gnocchi, conditi con crema di latte, tartufo e salsiccia, c’è una nuvola di spaghetti di zucchine fritte. Paolo ride quando gli dico che i nomi che ha dato ai suoi piatti sono “di poche parole”. Parlano poco. Però “cantano”. Fra i secondi mi faccio conquistare da straccetti di vitello con limoni di Sorrento e dal petto di pollo alla griglia con pinoli sabbiati e rucola. Mi torna in mente uno dei miei ultimi viaggi a Parigi. Da una “appena spuntata” stella Michelin italiana ho mangiato, appunto, piatti con nomi brevi e semplici, completi e unici negli abbinamenti di sapori, nelle dosi e nelle cotture. Come chez Paolo Restaurant. <<Non vuoi assaggiare un pesce? La frittura l’ho presa stamattina al porto di Ancona>>, mi dice guardandomi con gli occhi, celesti, spalancati. Paolo sembra uscito da un cartone animato di Walt Disney. Per fortuna non sono da sola e divido volentieri con i miei amici. Prendiamo frittura mista dell’Adriatico e magnifiche patate fritte a mano. Sì, nel menu c’è proprio scritto fritte a mano. Commovente. Una frittura che vola soffice come un’altra che adoro, quella di Marcello a Portonovo. lla fine, prima di “dessertare” la tavola, Paolo rivela la sua anima pasticceria. I miei amici si dividono fra Africa e Sensazioni. Io mi limito al cestino croccante di frutta fresca e crema pasticcera. Inizia, fra noi, un gaudente scambio di cucchiaini e dolci bocconi. Africa (bavarese di vaniglia del Madagascar, biscotto al cacao forestero, cremino al pistacchio e mango) e Sensazioni (semifreddo ai frutti rossi, pan di spagna all’olio extra vergine, erbette, salsa al caramello, meringhe e frolla) mi distraggono dal mio, sia pur delizioso, cestino croccante.

La carta dei vini è marchigiana e internazionale. Abbiamo scelto il Verdicchio di Andrea Felici e la Lacrima, il Bastaro, di Tenuta San Marcello. Perfetta con il fritto. Difficile congedarsi da questa famiglia che contagia i clienti con la sua gioia di vivere che sprizza da ogni piatto. Baci e abbracci. Tanto ci rivediamo presto.

La Famiglia Paciaroni vi aspetta in via Nazionale 65 a Tolentino. Telefonare prima allo 0733 972784 è meglio. Preparatevi ai sorrisi!

Carla Latini

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