Category archive

Senza categoria - page 6

Elis Marchetti e l’Osteria di Ugo Bassi: semplicità prima di tutto

in Senza categoria da

Da 8 anni Elis Marchetti ed il suo socio Claudio tengono viva piazza Ugo Bassi ad Ancona con la loro Osteria. Che è una vera e propria Osteria. Il legno scuro ed i tavoli sobri e senza fronzoli ne sono i diretti testimoni.

Elis viene da Chiaravalle, ha lavorato a Senigallia, Alice Channel e Vera Tv lo trasmettono dietro i fornelli mentre racconta le sue storie di cucina, ma, quando si siede con me e la mia amica Cristiana Carnevali (di lei vi scriverò in seguito), si scioglie in uno “slang” tipicamente anconetano. Discreto e molto chic. Che a lui, giovane e affascinante, dona molto. Ho voluto mangiare i piatti più semplici che poi sono i più difficili: alici marinate al Verdicchio, scritto nella lista delle vivande con la V maiuscola, e il classico stoccafisso all’anconetana. Le alici sono decorate e insaporite da minuscoli frutti di bosco rossi. Lo stoccafisso è buonissimo, intendo il pesce. Il condimento delicato e le patate di ottima qualità lo rendo un grande piatto. Gli chiedo quali sono i “grandi” che ammira. Mi risponde tutti. Ma ha un debole, anche se ancora non è stato a mangiare da lui, per Gianfranco Vissani. Ricorda una frase di un famoso cuoco insegnante durante un corso all’Etoile: in cucina, Vissani, non ha rivali. Da qui parliamo di materia prima. E trovo un portone spalancato quando gli domando: Ma come le fai le alici? Ecco il ritorno dell’importanza della materia prima: <<Le vado a prendere al porto la sera del lunedì alle 18.30. Le più fresche arrivano alla sera>>. Capisco e ammiro la sua risposta: bella l’idea dei frutti di bosco rossi. E lui: <<Pensa che è un piatto che faccio da 8 anni, mi sono stufato!>>. Il fuoco della passione che gli arde alla bocca dello stomaco sta cominciando a uscire, così mi dice che i piatti che propone, ogni giorno, sono piatti della tradizione marchigiana, i più. Poi c’è qualcosa che strizza l’occhio alla cucina romana e anche alla toscana. Nel tempo la sua clientela si è abituata e lui si è abituato a loro. Siamo ad, ops, “in” Ancona. Ma questo l’ho detto io e non lui. Elis vorrebbe fare altro ogni tanto, e comunque ci riesce perché, quando parla della carbonara dice che è la “sua carbonara”. Ci credo. Mette tutti i suoi sensi nella realizzazione dei piatti anche in creazioni “normali” come uno spaghetto alle vongole. Ma attenzione! Come ho scritto prima, è nella semplicità e nella normalità che si capisce la bravura di un cuoco e il suo “sentire il piatto”. Mi racconta della brigata. In tutto sono tre, lui compreso. E seguono anche la produzione della pizza e il banco dove portare via “all’asporto”. Uno dei ragazzi ha la mano creativa e si prende cura anche dell’aspetto del piatto, che sia un tagliere di salumi o un crudo di pesce. L’altro, bravissimo in tutte le realizzazioni classiche, non trova necessario che il piatto sia curato con una certa grazia. Lui guarda alla sostanza. Una squadra “corta” e vincente. Ormai, dopo 8 anni, Ancona ha capito che si può andare in piazza Ugo Bassi anche per mangiare bene, bere meglio e fare un’esperienza “a step”. Senza essere forzati. Elis ha un’apparenza umana molto dolce. In fondo è caparbio, tenace e passionale. Riconosce, e questo mi è piaciuto molto, che la vicinanza di Claudio, che si occupa <<dei cordini della borsa con attenta meticolosità>>, è stata ed è strategica per il conto economico dell’Osteria. Se ho scritto di lui è perché mi è piaciuto tutto. Anche il servizio curato, spiritoso e ben diretto dalla sua mamma. Non ho preso il salame di tonno, peccato! Sarà il motivo per ritornare. Comunque, io che ne mangio tanti di cuochi, posso proprio confermare che Elis li “sente” i suoi piatti. La sera conviene prenotare 0712814235, info@osteriadellapiazza.com

Carla Latini

Angela Velenosi: “il segreto è viaggiare, occorre comprendere il mondo”

in Senza categoria da

L’ultimo riconoscimento, quello di Testimonial Marche Nel Mondo ad Expo 2015. Angela Velenosi rappresenta sicuramente una delle pagine più belle e importanti del mondo dell’imprenditoria femminile. Non solo delle Marche. Fondatrice nel 1984 con il marito Ercole della cantina Velenosi, nell’ascolano, il suo successo viene decretato da un curriculum di tutto rispetto: dall’associazione nazionale Le Donne del vino, all’onorificenza di Cavaliere del lavoro, fino alla nomina a presidente del Consorzio Vini Piceni Doc.

Angela Velenosi, imprenditrice di successo. Quando si parla di comando, avverte ancora una sottile differenza nel conflitto fra uomo e donna?

<<Assolutamente no. Non è una questione di genere. E’ importante essere leader. La leadership si conquista sul campo di battaglia: il gruppo ti segue laddove sa di ricevere dal proprio capo delle direttive giuste, e risposte altrettanto giuste. Maschio o femmina che sia>>.

Lei rappresenta fuori dai confini regionali il nostro territorio. Un territorio che troppo spesso viene considerato con poca identità. Angela Velenosi avrebbe una ricetta vincente per invertire questa tendenza?

<<Chiaramente parlo per il mio settore (anche se ho percezione di tutto quello che riguarda la proposta turistica, lavorandoci a stretto contatto). Non penso che la regione Marche abbia sbagliato informazioni o che gli operatori abbiano saputo promuovere male questo territorio. Ma nel mio settore è questione di numeri. Nelle migliori annate in Italia si producono circa 45-50 milioni di ettolitri di vino, dalla Valle d’Aosta a Pantelleria. Traducendo questo dato regionalmente, il Veneto, ad esempio, rappresenta da solo 9 milioni di ettolitri, la Sicilia 7 e l’Abruzzo 4. Arriviamo a noi: le Marche in un’annata ottima possono raggiungere un milione di ettolitri di vino prodotti, considerando tutte le denominazioni comprese le Igt. Non abbiamo la stessa quantità nei numeri per combattere la guerra al Montepulciano d’Abruzzo, al Chianti o al Valpolicella. Restiamo un mercato di nicchia. Siamo ben riusciti a farci conoscere con denominazioni come il Verdicchio che, nonostante i piccoli volumi rispetto alla concorrenza, ha saputo collocarsi in una nicchia di mercato di qualità, di valore. Questo è il lavoro che dobbiamo fare: non andare a combattere su di un ring con chi ha un peso maggiore di noi, ma puntare sulla qualità. Dimostrando che in una regione sicuramente piccola dal punto di vista produttivo si possono fare grandi cose. Poi sotto l’aspetto turistico si dovrebbe abbandonare l’individualismo tipico di questa terra, che è una brutta abitudine. Iniziamo a parlare di Marche>>.

I giovani si lasciano condizionare da mode e tendenze per cui, ad esempio, il mondo dell’enogastronomia o dell’informazione viene preso d’assalto senza studiare prima un progetto di fattibilità. Colpe e soprattutto rimedi? Ad esempio scuole inadeguate, una burocrazia asfissiante, un mercato saturo o semplicemente mancanza d’intuito?

<<Una domanda che tocca tante corde, ci vorrebbe un giorno intero per rispondere. Posso dire ai giovani che devono viaggiare. E’ questa la carta vincente. Viaggiare mi ha aiutato molto, perché mi ha permesso di capire cosa succede nel mondo. Bisogna aprirsi senza paura, apprendere tante cose per poi riportarle in Italia. Ecco, mi piacerebbe che i giovani trovassero qui la loro realizzazione, grazie ad una mente diversa, più aperta. I nostri ragazzi vivono troppo dentro casa, invece fa bene partire. Poi, politicamente, sappiamo quali sono i mali dell’Italia. Ma bisogna creare una scintilla. Va cercata fuori e riportata qui, in Italia>>.

Lei beve vino, esclusi i suoi ovviamente? Che gusti ha?

<<Ora mi confesso: sono una grande appassionata di birra. L’adoro. Sono anche una viziata, quindi dalla birra passo direttamente alle bollicine. Non importanza se Champagne o metodo classico italiano. Quel che conta è che siano bollicine di qualità. Niente compromessi>>.

Lei è donna molto bella. La bellezza è un privilegio in più o a volte è un ostacolo per le legittime ambizioni?

<<Se dovessi risponderti come Angela Velenosi direi che è un limite, che mi ha creato sempre qualche difficoltà. Come donna direi di no. Da una parte è certo piacevole il consenso per un aspetto gradevole ma dall’altro canto tutto ciò diventa difficile. Bisogna stare attenti per evitare che un gesto possa venire mal interpretato. Bisogna essere molto coscienti di se>>.

Tyche Magazine ogni mese ha una sua parola chiave su cui filosofeggiare. Ora tocca al termine VITA. A lei cosa le evoca?

<<Una parola bellissima, è l’essenza di tutto ciò che siamo. Vita è pensare ai miei figli, è pensare alla nascita dei miei vini, è pensare alla magia che c’è dietro questa parola. Mi trasmette pensieri importanti. Quando ognuno di noi si guarda indietro può scoprire che dalla vita sono nate le cose più belle che ha fatto>>.

Kruger Agostinelli

Negramaro ad Ancona: “Rivoluzione è rimettere al centro di tutto la vita”

in Senza categoria da

“ La Rivoluzione sta arrivando” è il titolo per un’opera di dodici brani inediti. Dopo cinque anni di silenzio discografico, ecco come si ripresentano i Negramaro, che domenica 15 novembre attereranno con il loro tour al PalaRossini di Ancona, grazie all’organizzazione di Tyche Eventi.

La copertina è una Jolly Roger, ossia la bandiera dei pirati, rivisitata in chiave Negramaro proprio per evidenziare i concetti chiave confezionati all’interno dove morte, vita, sentimenti e ironia sono le colonne portanti. L’ascoltiamo con attenzione su Spotify e l’impatto sonoro di questo lavoro non delude di certo. Un sound potente, intenso, intimo, inebriante  e riconoscibilissimo grazie all’interpretazione di quel Giuliano Sangiorgi divenuto un punto di riferimento irrinunciabile nel panorama italiano. Collaborazioni importantissime da Jovanotti a Elisa, da Claudio Baglioni ad Adriano Celentano e ultimamente voluto da Francesco De Gregori nel suo omaggio ai 40 anni di Rimmel.

‹‹La rivoluzione è rimettere l’uomo e la vita al centro di tutto, una specie di nuovo umanesimo – spiega proprio Sangiorgi – Tutto dipende dalla gente e per una rivoluzione non sono necessari santi o miracoli››.  Confermando che evoluzione musicale, attenzione alla società e inquietudini esistenziali sono un ottimo cocktail per realizzare grandi canzoni.

‹‹Inevitabilmente, per quanto i Negramaro abbiano mantenuto la loro identità musicale e chiunque ascolti il disco penso possa ritrovare i parametri del nostro sound, si cerca sempre di rinnovarsi. E’ il cambiamento stesso l’evoluzione, la voglia di rinnovarsi, che porta a creare e produrre cose nuove››, spiega il batterista Danilo Tasco.

Sangiorgi, ora che anche Ligabue interpreta la Taranta c’è il sospetto della omologazione dei suoni? Insomma globalizzazione anche nella musica?

‹‹A dire il vero qualche settimana fa la Taranta è arrivata a casa mia!  Ho avuto l’onore di avere da me due artisti del calibro di Paul Simonon e Tony Allen e abbiamo improvvisato insieme una jam session incredibile. Abbiamo suonato insieme “Lu Rusciu de lu mare”. Mi fa molto piacere che diversi artisti si avvicinino alla realtà della Taranta, per cui assolutamente ben venga che anche Ligabue e altri nomi importanti lo facciano››.

Dopo quindici anni di attività c’è il timore di invecchiare? Oppure sentite i benefici della maturazione?

‹‹Noi siamo orgogliosi di essere insieme e ancora inseparabili dopo così tanti anni. Siamo nati e cresciuti insieme, da anni condividiamo quasi tutto insieme, si può dire che viviamo insieme. E questa è la nostra piccola grande rivoluzione, perché rimaniamo sei pazzi che continuano a suonare e a fare ciò che vogliono, con la stessa passione dei primi giorni››.

Kruger Agostinelli

Negramaro ad Ancona. Domenica 15 novembre 2015 ore 21,30 al PalaRossini. Infoline 0733 817259. Prevendite online su TicketOne e Ciaotickets

Roberto Perrone racconta la sua Portonovo

in Senza categoria da

Ogni anno tappa fissa per lui: due giorni nella nostra bella baia. L’occasione questa volta è la presentazione del suo ultimo libro “Manuale del viaggiatore goloso”. L’idea è stata di Valentina Conti che ha convocato il comune amico Moreno Cedroni a scambiare due parole con lei e Roberto Perrone.

C’è tanta gente quella sera a Portonovo. Gente fedele agli articoli di Roberto Perrone sul Corriere, che si tratti di sport, di vino o di cibo. Questo libro è una chicca per i suoi appassionati lettori. In pratica è la raccolta di più di 10 anni di “scorribande enogastronomiche” in giro per l’Italia. La raccolta delle pagine del Corriere della domenica curata da Roberto. La sua penna prende la fantasia e l’anima viaggiatrice nascosta dentro di noi. In ogni capitolo c’è un luogo, un paesaggio, un viaggio, un cibo, un vino, un piatto, un cuoco, un produttore, una storia e in fondo, idea grandiosa, c’è un elenco, un indirizzario, di posti dove mangiare e comprare. A pagina 31 c’è: Fortini Pirati e antipasti di mare. Che tradotto vuol dire Portonovo, Marcello e i moscioli. Roberto narra della maestosità del Fortino, scomoda il figliastro di Napoleone Bonaparte e Gabriele D’Annunzio per arrivare a Marcello Nicolini che descrive perfettamente così: “non è sempre stato quell’oste ironico e fintamente ruvido che s’avvicina con una cascata di antipasti di mare, dai sardoncini a scottadito al polpo con olive nere e patate… Marcello era idraulico e garzone dell’Osteria di Anna la Zozza. Guadagnava 7mila lire e sognava ‘la corriera rossa’ come qui chiamavano le 10mila lire”. La loro, quella fra Roberto e Marcello, è un’amicizia vera. Fatta di “sfottò” calcistici, di risate e di grande affetto. Mangiamo due cose insieme alla comune amica Tiziana Forni, una delle più brave e preparate sommelier che conosco, bevendo molto bene (Andrea Felici, verdicchio), ovviamente. Gli antipasti descritti nel libro superano le aspettative, il primo piatto in bianco è una padellata che profuma sinceramente di mare ed il fritto di Marcello continua ad essere sempre uno dei migliori che abbia mai mangiato. Immancabile a fine pasto la classica “moretta”, la bevanda preferita dai pescatori del luogo ed il “ciambellò” panna e cioccolato, ovvero bianco e nero. Durante il conviviale parliamo di cibo e vino. Poteva essere diversamente? E di amici comuni. Per nostra fortuna ne abbiamo tanti distribuiti lungo lo stivale. Un altro tuffo prima di rientrare a Milano? Ebbene sì. Anche se confessa di essere molto freddoloso ,Roberto sfida l’aria di questa fine di settembre che ancora conserva qualche ricordo della caldissima estate passata. Nel congedarci ci promettiamo di vederci tutti a Milano. Magari per un prossimo improvvisato “Mosciolando” ad Expo? Chi può dirlo? Con Marcello tutto è possibile. Una delle frasi che adoro di lui quando gli chiedo qualcosa, qualsiasi cosa è: consideralo già fatto! Mi piace chiudere con le parole che Roberto dedica a Portonovo: “il Conero alle spalle, il mare davanti, questo è Portonovo. Un po’ Portofino ma senza il birignao e certe ostentate frequentazioni del borgo ligure…”.

Carla Latini

Le chitarre Eko tra i ricordi di Bennato e il sogno Clapton, intervista a Stelvio Lorenzetti

in Giornalista e dintorni/Senza categoria da

Eko, cinquantacinque anni di attività e il solito entusiasmo di sempre nel mondo degli strumenti musicali. Oggi leader nazionale ed internazionale in tutti i campi, ai suoi esordi puntava sulle chitarre, quelle ribelli della musica beat, quella a forma di freccia di Shel Shapiro dei Rokes o quelle altrettanto taglienti dei Nomadi di Augusto Daolio e i New Dada di Maurizio Arcieri. Una leggendaria storia nel paese che all’estero ci identifica con il mandolino. Ne parliamo con il dinamico Stelvio Lorenzetti, amministratore delegato della società, un orgoglio imprenditoriale per la nostra regione. Lo incontriamo nella sede dell’azienda, girando attorno a fotografie che raccontano il mito di una chitarra leggendaria. Da Lucio Battisti a De Andrè, passando per Lou Reed. Insomma, di tutto di più.

Filosoficamente parlando cosa sarebbe una civiltà senza musica?

<<Una civiltà senza musica porta all’oblio, al nulla. Un uomo senza musica perde le basi che lo collegano alla componente divina: nell’uomo c’è qualcosa di universale, una parte che si avvicina all’alto. Ma oltre ad un lato spirituale c’è un lato scientifico. Diversi studi hanno dimostrato come un bambino che in tenera età apprende la musica, nella sua crescita sarà meglio predisposto verso tutte le materie matematiche. Svilupperà così una parte del cervello che non svilupperebbe. La musica ci dà una marcia in più per affrontare la vita>>.

Come è cambiato il vostro cliente musicista dal passato millennio ad oggi?

<<Prima l’utente era un, chiamiamolo così, musicista Stand-alone. Cioè, comprava lo strumento perché l’aveva visto in una fotografia o ispirandosi alla musica che veniva dal bel 33, 45 o addirittura 78 giri. Quindi per emulazione prendeva la chitarra e si faceva insegnare a suonarla. Così si creava la sua piccola band. Oggi l’utente è un musicista online. Ti puoi collegare sul pc, sul tablet e puoi fare musica con personaggi che sono distanti 10mila chilometri. Puoi prendere lezione da Massimo Varini stando seduto a casa, collegandoti al suo canale Youtube. Addirittura sto vedendo nuove frontiere, si creano band distanti nel mondo: un chitarrista londinese scrive la partitura al batterista che sta a New York, che butta la base e la rimanda in Inghilterra. Diciamo che il musicista, l’amante della musica, è sempre lo stesso. Prima però doveva essere meno attrezzato. Ora deve spaziare a 360 gradi>>.

Paradossalmente non crede che il crollo dell’industria discografica abbia rafforzato quella del mondo della musica suonata dal vivo.

<<Sì, sono d’accordissimo. Non me ne vogliano gli amici discografici. Prima gli stessi artisti aspettavano il lancio del Cd, ora invece iniziano a pubblicare qualche pezzo su Internet, su iTunes per pubblicizzarlo. Di volta in volta viene veicolato un nuovo brano in rete. Poi quando ne sono pronti 6 o 7 li mettono insieme e lanciano l’album, andando a fare i concerti. Quindi sì, il calo discografico ha rafforzato sicuramente la voglia di creare musica dal vivo>>.

Vuole condividere con noi qualche simpatico aneddoto che ha visto la sua azienda protagonista con qualche big musicale?

<<Ce ne sarebbero tantissimi, ma ve ne racconto due. Per quanto riguarda il primo io non c’ero ancora ma me lo hanno raccontano i personaggi della vecchia Eko. Abbiamo quindi le prove che sia avvenuto. Riguarda Edoardo Bennato e lo racconto tranquillamente perché so che lui è orgoglioso di far vedere ai giovani quello che era è quello che è diventato. Bennato, quando ancora non era famoso e girava con una Citroen d’annata per tutta l’Italia, ogni qual volta si trovava in zona si faceva ospitare a pranzo proprio alla mensa della Eko. Bennato aveva un rapporto straordinario con l’azienda. Insieme a Shel Shapiro, è stato uno dei primi artisti a suonare Eko. Un altro aneddoto da raccontare è avvenuto due anni fa, quando mi chiamò Renato Zero per dirmi che voleva fare un importante evento per raccogliere fondi per aiutare le popolazioni colpite dal terremoto in Emilia. Mi chiesero un modo per reperire più contributi, oltre alla normale vendita dei biglietti. Con Giovanni Matarazzo parlammo dell’idea di mettere a disposizione per la manifestazione e poi all’asta delle chitarre Eko, con scritto “Italy loves Emilia”. Quando Giovanni era dentro i camerini degli artisti mi chiamò al telefono: mi spiegò con quanto affetto e stima tutti i cantanti parlavano della Eko. Da Liguabue, a Zucchero passando per Jovanotti>>.

Hai una ricetta per avvicinare i ragazzi al vizio di suonare?

<<Direi a tutti i ragazzi di non avere paura. Quando parlo con i giovani, alla domanda “ma perché tu che senti musica, sei amante di musica, vai ai concerti, perché non decidi di fare musica tu stesso?”, la risposta è: “Mah, è difficile e ci vogliono anni di studio”. E’ passata in Italia la mentalità che fare musica sia per pochi eletti. Invece i ragazzi devono capire che suonare è divertente, semplice e dobbiamo far capire loro che ci sono tante di quelle scuole private che ti insegnano musica in modo piacevole. Facendoti avvicinare presto allo strumento: in una settimana si è già in grado di strimpellare. Diciamo ai giovani, ma anche ai meno giovani: la musica è facile da imparare>>.

E un sogno nel cassetto da realizzare sempre per il mondo della musica suonata?

<<Che Eric Clapton suoni una chitarra della Eko. Al di là del sogno che non si realizzerà mai, o forse sì chi può dirlo, vorrei che la Eko torni ad essere leader mondiale negli strumenti musicali. Stiamo arrivando pian piano ad essere sicuramente una forza importante a livello italiano ma a livello mondiale ci sono player molto forti, penso a Fender, Gibson, Martin, Yamaha e Ibanez. La Eko dopo il tracollo del 1985 può ripartire con i suoi valori>>.

L’Italia notoriamente paese del mandolino, le Marche patria della fisarmonica e voi della Eko che agli albori degli anni sessanta armavate con le vostre chitarre la ribellione della beat generation italiana. Ora puntate più nell’innovazione o nella tradizione?

<<Non ci sono state innovazioni assolute per quel che riguarda la chitarra: se prendiamo uno strumento del 1959 e lo confrontiamo con uno di oggi, notiamo che è la stessa cosa. Cambiano leggermente i colori, cambia qualcosa nel legno. Ma di rivoluzionario non c’è stato nulla. Magari c’è chi si è inventato una chitarra in fibra di carbonio come la Martin, ma si vendono sempre quelle fatte in abete, in acero, in palissandro. Viva la tradizione! La chitarra è uno strumento “classico” e il chitarrista vuole sempre quel sound. C’è magari oggi un certo tipo di pick-up per elettrificare la Fender diverso da quello del passato, ma una chitarra è sempre la stessa. Il chitarrista è colui che cerca la tradizione. Semmai poi la elettrifica mettendoci pedali, sintetizzatori o altro>>.

Ultima domanda, secondo la tradizione di Tyche Magazine riguarda un termine su cui filosofeggiare. Questo mese è “celare”. Cose le fa venire in mente?

<<Nascondere, non far vedere. Applicando questa parola al nostro mondo direi di non celare più ai giovani la musica. Facciamo capire che la musica è un bene assoluto che ci avvicina non solo all’altissimo ma a noi stessi, ci trasmette gioia, ci fa crescere, ci far star bene e ci diverte. Non ci fa deprimere. Non nascondiamo la musica ai bambini, ai ragazzi ma anche ai nonni>>.

Kruger Agostinelli

Foto di Federico De Marco

 

Dodi Battaglia suona per la Eko ricordando la sua gita in Cinquecento a Castelfidardo

in Senza categoria da


Alvin Crescini Dodi Battaglia Stelvio LorenzettiDodi Battaglia
, leggendario chitarrista dei Pooh, ha ricevuto il premio “Oliviero Pigini” dalle mani di Stelvio Lorenzetti, amministratore delegato della Eko Music Group, in occasione di “Musei in Musica” sul palcoscenico del teatro Astra di Castelfidardo. Ma la serata è stata molto di più della telegrafica notizia con cui abbiamo introdotto l’avvenimento, che si è poi trasformato in un quadro ricco di emozioni, legato a ricordi proprio di Castelfidardo. Quindi un pensiero doveroso e commovente, con tanto di brano dedicato ed ispirato al ricordo di Valerio Negrini, l’uomo in più dei Pooh: musicista e autore dei testi della maggior parte delle canzoni dei primi storici periodi del gruppo, scomparso nel 2013. Ora, alla vigilia dei festeggiamenti del compleanno dei 50 anni della band, è bene non dimenticare nessuno. Forse con il sospetto che sia Riccardo Fogli che Stefano D’Orazio possano rientrare in questa magnifica festa.

Battaglia Dodi, Kruger<< Prima di venire al teatro ho visto la targa di Paolo Soprani – ci ha spiegato Dodi Battaglia in un’intervista esclusiva – e mi sono detto: qui ci sono stato. Nasco come fisarmonicista, avevo iniziato a suonare a 5 anni. Dopo un po’ mio padre decise di comprarmi una fisarmonica “vera”, non “sfigatella”, perché manifestavo talento. Partimmo allora, era il 1956, con la Cinquecento da Bologna per arrivare a Castelfidardo. Così, quando ho rivisto la targa di Soprani, ho pensato a questo ricordo. Inoltre la prima chitarra che ho comprato (a parte un’acustica economica da 10mila lire) era una Eko, di quelle con madreperla bianca>>. Il resto dell’intervista la potete ascoltare qui sotto.

Kruger Agostinelli

(Ringraziamo Marco Chiatti per il contributo)

 

 

Il Gabbiano di Civitanova custodisce i sapori antichi del sugo alla Marinara

in Senza categoria da

 

Alla fine del Lungomare nord di Civitanova c’è l’Hotel Ristorante Gabbiano. Una conduzione familiare sin dal 1966, quando al posto delle case e della strada c’erano gli orti. Rosanna, la sorella di Luana che invece è la cuoca, sta in sala insieme a Luca, il nipote figlio di Luana, che si occupa dei vini. Rosanna, classe 1968, mi racconta di quando appunto c’erano gli orti delle famiglie che vivevano più verso l’interno. Il mare era birichino e spesso inondava allagando le coste. Rosanna ricorda ancora i suoi piedi nell’acqua quando seduta sugli scogli guardava il mare. Il papà e la mamma decisero di bonificare questi “orti allagati”, cominciando col costruire la prima struttura. L’albergo. Poi nacque il ristorante. La cucina di mamma era assolutamente casalinga. Una cucina di mare e di orto. Non poteva essere diversamente. Anche oggi è così. Nel menu del Gabbiano c’è un primo piatto mitico e storico che si chiama “Marinara“. Un ragù di pesce in bianco molto saporito da spezie ed erbe aromatiche che può essere sia con le classiche tagliatelle all’uovo sia con spaghetti artigianali. Rosanna trova tempo per parlare con me. E lo apprezzo molto. Vedo quanti coperti ha dentro e fuori. Pienissimo ed è un semplice giovedì di metà settembre. <<Nessuno avrebbe scommesso sulla scelta di mamma e papà che invece è stata vincente per noi ma anche per tutti gli altri che li hanno imitati>>. Sul lungomare di Civitanova in piena estate sembra di essere alla semana blanca a San Sebastian. Tanta è la gente e tanti sono i locali aperti sulla spiaggia e oltre la strada. Lascio tranquilla Rosanna e mi lascio guidare da Andrea, il cameriere che, a proposito di “noi della sala”, è molto preparato sia sui piatti che sui vini. Al Gabbiano si beve anche molto bene. Bella selezione marchigiana e internazionale. Insomma se volete pasteggiare a crudi e Don Perignon potete farlo senza problemi.

Il Gabbiano Civitanova MirizziAndrea mi consiglia il tris di antipasti crudi, la Marinara (come si fa a non provarla!) e gli spaghetti con il ragu di ricciola. Meno male che sono insieme al Direttore di Tyche (Kruger fotografa e fotografa e poi mangia e mangia. Un passionale in ogni caso!) e al produttore di vino Gianluca Mirizzi. Quindi beviamo molto bene. Fra i crudi ci sono delle panocchiette deliziose e le cozze viola cha adoro. La tartare di ricciola (a dimostrazione che usano il pescato del giorno) con la burratina nascosta all’interno è piacevole e interessante. Segue il terzo antipasto che è un riso nero cotto alla perfezione con molti odori gentilmente rivolti alla cipolla con un gambero appena scottato e ketchup di rape rosse e senape fatta in casa. I primi arrivano su un vassoio grande ma Andrea con abilità ce li impiatta con quel gesto armonico fra cucchiaio e forchetta che crea una “torre cestino” molto carina. La Marinara è come pensavo. Sapori molto antichi che mi fanno chiudere gli occhi. Momenti belli che sono la memoria dei sapori sanno creare. Stessa “danza impiattamento” anche per gli spaghetti con la ricciola. Il ragù è ricco ma molto delicato. Leggermente dorato. Ora ho capito perché tutti mi dicono che il Gabbiano è sempre pieno. Aveva ragione mamma quando scelse il nome osservando i gabbiani volare all’orizzonte. Bisogna sognare e volare alto nella vita…

Carla Latini

Il dottor Mariani e i pericoli dell’olio di palma: “Puntiamo sull’olio evo italiano”

in Senza categoria da

Il dottor Mauro Mario Mariani è un medico, mio amico da diversi anni, che si definisce “mangiologo”. In realtà è un angiologo votato anima e cuore al concetto che per essere in salute occorre nutrirsi in modo sano, con prodotti locali freschi e stagionali.

Gli voglio chiedere cosa ne pensa di un argomento di stretta attualità: l’olio di palma.

<<Premetto che sulla produzione di olio di palma c’è stato negli ultimi trent’anni quello che io definisco un “olocausto ecologico” – esordisce il dottor Mariani -: abbiamo assistito ad una pesante deforestazione in Indonesia e Malesia a favore delle nuove industrie a cielo aperto dell’olio di palma. Le multinazionali in continua richiesta di questo “nuovo grasso”, per timore di non avere più frutti dai quali estrarre l’olio nelle zone dove queste avevano il loro habitat naturale, hanno invaso altri territori abbattendo le piante presenti a favore di nuove piantagioni di palme. Laddove le palme non c’erano sono state messe a dimora, con danno enorme all’ecosistema, agli animali e alla terra. Il problema per la nostra salute sopraggiunge quando l’olio di palma contenuto nei cibi industriali viene lavorato e raffinato diventando ossidato, andando così ad innescare nel nostro organismo processi di aterosclerosi: il primo passo verso infarto e ictus. Purtroppo allo stato attuale l’olio di palma è ingrediente fondamentale per moltissimi prodotti industriali, specialmente quelli che diamo ai nostri figli>>.

Per questo motivi tu, nelle tue trascinanti lezioni, esorti a non mangiare industriale.

<<C’è un allarme. Mai come ora sotto i 30 anni ci sono tante nuove malattie e non solo metaboliche. La correlazione con il “cibo cattivo” è spesso evidente e diretta. Non so se riusciremo a salvare i nostri figli da quanto è stato fatto sinora, ma almeno proviamo a salvare i nostri nipoti. Ci vuole così poco per mangiare salutare. Non vi chiedo di essere salutisti, ma salutari sì>>.

Torniamo all’olio di palma. Raffinato fa molto male e siamo tutti d’accordo. Ma si sta creando confusione. Cos’è ora questa storia della spremitura a freddo?

<<È vero, si stanno mescolando le carte. L’industria usa solo oli raffinati ad alte temperature. L’olio di palma spremuto a freddo è un grasso buono, insaturo. E’ il cosiddetto “red palm oil”. A freddo contiene betacarotene, licopene e tanti altri preziosi antiossidanti che proteggono dalle malattie. Il problema è che questo tipo di olio non arriva mai sulle nostre tavole perché, ribadisco, le industrie lo scaldano ad alta temperatura per i loro processi produttivi, diventando così saturo per un processo che lo porta ad ossidazione. L’olio di palma naturale perde addirittura il caratteristico colore rosso quando viene scaldato>>.

Recentemente stiamo assistendo ad una campagna a favore dell’olio di palma. Ma il nostro olio di oliva che fine fa?

<<Voglio gridare ai produttori di olio evo italiano di svegliarsi! Devono ergersi a difensori della dieta mediterranea sostenuta proprio dall’olio evo. Oggi si consuma meno olio di oliva evo nel nostro paese non solo per colpa della crisi economica ma per un’incultura alimentare che stiamo subendo>>.

Cosa possono fare?

<<Bisogna fare squadra, educando i nostri ragazzi ai giusti gusti e tradizioni. Facendo cultura. D’accordo nel difendersi dall’olio evo industriale, una grande battaglia etica, ma non basta. Occorre iniziare quella contro l’olio di palma, che è già vinta ancor prima d’iniziare. Basta comunicare tutti i pregi salutistici dell’olio evo. Quello di palma accanto a lui scompare, figuriamoci quando poi parliamo di quello lavorato e raffinato industrialmente>>.

Il dottor Mariani sta per sbarcare su Tyche con una rubrica a te dedicata…

<<Sono grato all’editore di Tyche per questa opportunità. Sarà un altro importante palcoscenico dal quale non smetterò mai di “comunicare salute”, raccomandando di mangiare prodotti freschi, magari coltivati e raccolti da noi stessi, e pesce pescato dal nostro mare. Ricordi vero qual è il mio piatto preferito? Le puntarelle con le alici…>>.

Carla Latini

James Senese porta la sua Napoli a Jesi: “Pino Daniele? Indimenticabile”

in Senza categoria da

“Passione live, da Viviani a Pino Daniele un passato che diventa futuro”. E’ questa la proposta musicale che domenica 20 settembre 2015 concluderà il XV Festival Pergolesi Spontini al Palazzetto dello Sport Triccoli di Jesi. Ci sarà un cast importantissimo, formato da Almamegretta & Raiz, James Senese & Napoli Centrale, Pietra Montecorvino, Gennaro Cosmo Parlato, Monica Pinto & Spakkaneapolis 55, M’barka Ben Taleb, e la guest star Eugenio Bennato. Ne parliamo con James Senese, una figura storica degli ultimi cinquant’anni  della musica napoletana e che ama definirsi cosi (da Je sto ccà, di Carmine Aymone – Guida editore): <<Io sono nato nero e sono nato a Miano, suono il sax tenore e soprano, lo suono a metà strada tra Napoli e il Bronx, studio Jhon Coltrane dalla mattina alla sera, sono innamorato di Miles Davis, dei  Weather Report e in più io ho sempre creato istintivamente, cercando di trovare un mio personale linguaggio, non copiando mai da nessuno…il mio sax porta le cicatrici della gioia e del dolore della vita>>.  Lo rintracciamo telefonicamente e ne nasce una piacevole chiacchierata.

Senese, tu sei stato uno degli interpreti storici della nuova musica napoletana. La strada intrapresa allora è andata nella direzione giusta?

<<Credo di sì!>>.

Con Napoli Centrale si è verificato un risveglio culturale fuori dalla musica tradizionale? E’ stata dura?

<<Dura senz’altro ma penso che ce l’abbiamo fatta. Del resto da Napoli Centrale hanno attinto un po’ tutti i musicisti napoletani e non solo>>.

“Passione live, da Viviani a Pino Daniele un passato che diventa futuro”. Puoi anticiparci qualcosa?

<<Ci saranno entità napoletane molto forti, laddove ognuno di noi racconterà parte della sua musica e della sua vita. Poi ci saranno brani tradizionali, che non potevamo non mettere in scaletta. Sono pezzi che ci appartengono da quando siamo nati. Sarà un connubio molto elegante>>.

E’ vero che gli appassionati della musica tradizionale napoletana, perlomeno inizialmente, non erano tanto entusiasti delle note di Pino Daniele?

<<Verissimo. Infatti il primo disco di Pino, “Terra Mia”, non ha venduto molto. Come al solito, il popolo in generale ci mette molto tempo a capire determinati sentimenti. La situazione è cambiata quando abbiamo fatto il primo disco con Pino. Da lì si è svegliato tutto>>.

In un momento difficile per la nostra nazione la musica può unire?

<<Senz’altro, la musica appartiene all’Universo. E’ qualcosa che ti fa star bene>>.

Inevitabile che ti chieda di un ricordo personale dell’amico Pino Daniele.

<<Con Pino siamo stati i primi a conoscerci. Lui ha fatto parte di Napoli Centrale, suonando il basso per due anni. La nostra amicizia era molto forte: io ho 10 anni più di lui e mi trattava come un fratello maggiore, o un padre. Ha attinto moltissimo dai miei consigli. Da Napoli Centrale ha imparato molti sentimenti nascosti>>.

E nel dopo Pino Daniele chi brilla nel futuro della nuova musica rock napoletana?

<<Ci sono diversi nomi come Enzo Gragnaniello, Enzo Avitabile, la stessa Napoli Centrale. Pino era Pino però. Dopo di lui dovrà succedere qualcosa. Un’altra rivoluzione>>.

Una ragione in più per venire a vedere questo live?

<<E’ carico di sentimenti>>.

Kruger Agostinelli

La “dolce” storia di Ilaria Traditi: dalle news agli amaretti

in Senza categoria da

Storia di una bella e “dolcissima” ragazza, Ilaria Traditi, firma importante di un quotidiano regionale, che è elegantemente uscita dalle inchieste e dalle news per entrare nel magico mondo delle farine, del pane e della pasticceria. Ora, scambiandoci i ruoli, sono io a scrivere di lei.

Me la trovavo sempre, lo dico con grande affetto perché spesso ero io ad invitarla e se non la vedevo la cercavo con gli occhi e le mandavo sms, in importanti eventi eno-gastronomici marchigiani. Presente nell’organizzare tour per altri colleghi in cantine famose, prima fra le prime a riunire i blogger del vino, sensibile a iniziative in embrione, come la città di Pergola che reclamava il suo posto al sole parlando di tartufo bianco pregiato. Abbiamo condiviso lunghe serate gastronomiche. Lei esile ed eterea. Una bambola bionda che assaggiava, chiedeva, mi coinvolgeva. Per qualche tempo Ilaria è stata un po’ la mia ombra/stampa. Ed io, so che posso scriverlo, uno dei suoi stimoli. Poi per un po’, come spesso succede a chi fa e disfà della sua vita (diffidate di chi non lo fa) ci siamo perse di vista. Non la leggevo più sulle pagine del quotidiano che l’ha vista crescere ed affermarsi. Voci e gossip me ne arrivavano di ogni. Poi il tempo passa e altri affanni occupano le tue giornate. Tre anni fa qualcuno mi racconta che Ilaria ha acquistato un panificio. Insieme ad amici investitori ha ridato vita ad un panificio in quel di Pietralacroce ad Ancona. Il pane prodotto dai suoi fornai è distribuito nei migliori negozi della città. Me ne parlano. Lo assaggio. Buono.

Poi la vita ci ha fatte rincontrare. Non poteva essere che così. Ci siamo scritte su uno di questi “maledetti” social e ci siamo riviste il giorno dopo. Lei con un sacchetto di amaretti in mano davanti al suo Market del Conero a Pietralacroce. Che sta, appunto, sopra il forno. Gli amaretti sono senza farina, buonissimi, teneri. Nulla a che vedere con i prodotti industriali che ce li hanno fatti odiare. Un po’ come è successo per i canditi. Sono piccoli, quasi rotondi. Ilaria in questa avventura ha soci oculati e pieni di esperienza. Gli amaretti hanno un marchio che si chiama La Valle. Quando l’ho incontrata, qualche giorno fa, mi raccontava che producono anche i “brutti ma buoni” ma solo quando è finita la raccolta della frutta secca necessaria che li rende unici. Dal forno escono anche biscotti, pane , dolci in genere.

In questo “supermercato sui generis” potete trovare di tutto: da detersivi e carte da forno, a prosciutti di Carpegna, cioccolato Domori, ghiotta e introvabile pasticceria da prima colazione Borsari. La frutta e la verdura sono in linea con la richiesta della clientela che, qui, è quella dell’Ancona silenziosa ed esigente. Il consumo delle mozzarelle di bufala della comune amica Giulia Honorati né è la dimostrazione.

Dopo l’incontro abbiamo deciso di non perderci di vista. Per voi anconetani che leggevate Ilaria sulle pagine di un quotidiano e online (online potete ancora trovare tutti i suoi articoli) sarà una golosa sorpresa assaggiare i suoi dolcetti. Qui mette la grazia e l’intelligenza unite all’intuizione ed a un briciolo di sana incoscienza che fanno parte della sua bella persona. Per assaggiare gli amaretti di Ilaria Traditi potete andare direttamente al Market del Conero che è in via Pietralacroce 33, la strada sopra i campi da tennis, oppure chiamare lo 071 34940 e chiedere direttamente in quale altro posto nelle Marche potete trovarli.
In Europa li ho già visti!

Carla Latini

Go to Top