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Mangiare e bere - page 6

Brunelli racconta il suo gelato. Storie golose da Agugliano a Senigallia

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Paolo Brunelli: il gelato è morto. Evviva il gelato! Per noi marchigiani, lui è il Maestro gelatiere visionario. Da Agugliano a Senigallia attraverso esperienze e stage mondiali. Venite con me nell’entourage gelato, caldo, dolce, salato, colto, semplice, laborioso (nel senso di vera e propria fatica) di Paolo Brunelli. Mi sono letta la sua biografia e ne so tante. Ma oggi voglio sentire il suo racconto. E attacco subito.

Come mai Agugliano?

«Ammetto che è un paesino destinato a “terra di mezzo“. Bel paesino, terra importante. Senza identità grazie all’abuso edilizio (e dove non c’è stato?) senza identità culinaria. Ma qui c’è la Locanda di mamma Maria Luisa Berardi sorella di un personaggio illustre della eno-gastronomia marchigiana. Che tanti devono ricordare: Ilario Berardi».

E così, io, Carla Latini, torno indietro di tanti anni quando cucina e vino contaminavano la musica. Con Ilario ho fatto cose belle in radio e la sua/nostra trasmissione si chiamava Culinaria. Poi chiedo a Paolo.

Ma tu quanti anni avevi per seguire le intuizioni di zio Ilario?

«Ne avevo 12. Sono cresciuto in cucina. Fra mamma e zio Ilario. Ho ereditato le ricette dell’epoca. Mamma pensa alla cucina e il gelato non è nemmeno la ruota di scorta. Ma a me piace e zio Ilario mi incoraggia e mi prende accanto a sé mentre diventa la figura più colta del mondo del vino nelle Marche».

Non dirmi che sei stato tu a fare tutti i sorbetti del mio matrimonio? Mi sono sposata nel 1984 e Ilario è stato il mio cuoco/mentore/guida/amico…

«Sono stato io. Cucina e gelato, gelato e cucina. I prodotti unici e delineati che sceglieva zio. Ed io lì a seguire innamorato. Ma c’era poco spazio e quindi, anche se la mia ambizione era forte, ho scelto di fare il musicista. Erano i primi anni ’90».

E poi che è successo?

«È successo che, senza scendere a compromessi o magari perché doveva andare così, sono tornato a casa. Il bar gelateria era il mio laboratorio. Per anni ho lavorato in un laboratorio sotterraneo: poca luce viva, poco spazio ai sogni fino a quando questi non sono diventati così grandi da richiedere uno spazio più grande e in emersione. Quel sotterraneo di Agugliano è stato il laboratorio della mia professione. Lì sono stati fatti i tentativi maggiori, lì ho cominciato a sperimentare gli abbinamenti, le materie prime e a cercare un gelato che potesse essere un piatto da gourmet. Cercavo soddisfazione, cercavo il plauso, cercavo anche la popolarità nei miei sogni. È stato così che tra mille peripezie sono riuscito a creare la mia professione. Ho azzardato con l’acquisto di macchinari che sapevo sarebbero stati indispensabili, ho scommesso su un processo di lavorazione controcorrente: “Il gelato da Brunelli finisce”. Un messaggio forte quello di fare capire che da me il gelato si fa tutti i giorni e che se ho calcolato male la richiesta e non ho ponderato bene gli imprevisti, benché vengano definiti tali proprio perché non misurabili, quel gusto di gelato potrebbe non esserci più fino al giorno dopo. Ho combattuto non poco per scegliere una strada nella strada, ovvero quella di fare un vero gelato artigianale. Una scelta che ancora pesa, che non dà grandi soddisfazioni economiche, ma che ha un riscontro totale in chi è particolarmente attento al gusto e anche in chi si approccia per la prima volta al mio modo di concepire il gelato».

Un gelato non gelato ma un gelato che vale tutti i giorni e in tutte le stagioni e con gli ingredienti fuori dagli schemi classici, che scegli tu?

«Brava, hai toccato il tasto/gelato giusto: gli ingredienti. Fare un gelato con il pistacchio (vero) di Bronte o con il cioccolato del quale mi sono profondamente innamorato grazie all’aiuto di grandissimi maestri internazionali e nazionali. Azzardato farlo con un caprino dop e un pomodorino idem… E poi la mia esperienza nel campo della degustazione del vino prima e del tè poi, ha generato un rapporto quasi maniacale per la ricerca del gusto. Come cioccolatiere mi ritengo perciò abbastanza atipico. Ma erano i primi anni ‘ 90 quando pochi ma intelligenti clienti facevano chilometri dalla costa all’interno per venire da me».

Contaminazione gaudente dal dolce verso il salato. Il gelato fine a se stesso che entra nell’alta pasticceria e nella cucina. Il gelato piatto gourmet. Un giorno poi qualcuno ti ha portato Silvio Barbero di Slow Food (allora co-fondatore Slow Food e marchigiano per amore)…

«Mi ha detto che dovevo credere in me e uscire fuori. Mi sono fatto forza, ho investito ed ogni giorno ci penso. Ad Agugliano è rimasto il laboratorio ricerca sul cioccolato. A Senigallia, dove ti aspetto (verrò presto lo giuro! ndr), il laboratorio ricerca sul gelato. Credo nell’uso funzionale del gelato. Questo pensiero ha generato il Festival del Gelato. Erano periodi di avanguardia. Periodi non sospetti. Nessuno poteva sapere dove la mia “visione” stava andando. Il buio degli anni passati. Il buio del laboratorio di Agugliano da dove facevo andare via i clienti ora non esiste più. Anzi, è diventato luce».

Una luce che risplende grazie anche al Festival del Gelato di Agugliano. Nato nel 2010 che coivolge Maestri gelatieri da tutto il mondo. Questo voluto da te. Quando la Crema Brunelli, un evergreen che tu paragoni a “Ti amo” di Umberto Tozzi con la crema alla nocciola tradizionale, il cioccolato, il Varnelli che non manca mai insieme all’olio extra vergine hanno detto: il gelato da Brunelli finisce! 

«E continua ad essere quello che ora è, dopo 30 anni di miniera, senza togliere alcun rispetto a chi la fa veramente, meritandomi, scrivilo (sicuro che lo scrivo! ndr) la bellezza che mi circonda. Sarò al Salone del Gusto lungo la via del Gelato. Lunga ancora da percorrere. Bella, dolce, salata, nel mio cuore».

Come si fa a chiudere uno scambio di sentimenti, idee e ricordi così? Non si chiude si tiene aperto. Con il sorriso di Paolo Brunelli che, mi sono dimenticata ma non credo sia necessario ricordarlo, vanta premi e riconoscimenti nazionali e internazionali.
Vi aspetta a Senigallia, via Carducci.

Carla Latini

Montecappone e i suoi vini, dall’Utopia alla scommessa bio. Sempre con passione e fantasia

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Cantine Montecappone foto by KrugerOgni occasione è buona per bere i vini di Montecappone di Jesi. Fine maggio, Cantine Aperte. Sono da Gianluca e Annarita Mirizzi. Amici da tanti anni. Trasferiscono la loro energia, la loro emotività e la loro precisione maniacale nei vini che producono insieme al loro staff di agronomi ed enologi capeggiati da Lorenzo Landi. Quindi c’è amore, fantasia, passione, tecnica e virtuosismo in un mix di assoluto valore. Un grande vino nasce in vigna e la Montecappone possiede 54 ettari di vigneti e 12 ettari di oliveto. Una fattoria davvero ben strutturata e con quasi cinquanta anni di attività. Prima di cominciare a fare due chiacchiere, Gianluca mi porge da assaggiare i suoi nuovi spumanti di Verdicchio e Sauvignon ottenuti con il metodo charmat lungo. Cinque mesi in autoclave e uno in bottiglia. Sono vent’anni che Montecappone coltiva e produce Sauvignon. Tra i primi nelle Marche. Passiamo ai Verdicchio fermi. Il Federico II, in onore a Jesi e alla sua storia, è un Verdicchio Classico Superiore giovane e fresco negli aromi, che ha un’ottima beva ed è di assoluta convivialità. La Riserva Verdicchio si chiama Utopia: affina almeno 18 mesi di cui 12 in vasche di cemento ed almeno 6 in bottiglia. Una scommessa all’inizio! Di più. Un’utopia. Da qui il nome: sarà utopia immaginare un verdicchio che invecchia oltre 10 anni? Scommessa ampiamente vinta. Poi c’è il Tabano Marche Bianco Igt, un blend di Verdicchio, Sauvignon e Moscato passito. Vino fruttatissimo e piacevolissimo che su una delle cinque guide nazionali riceve l’onorificenza di “Miglior Vino Bianco d’Italia”. Il Tabano Rosso è un blend di Montepulciano e Syrah, 12 mesi in barrique e il resto in cemento. Infine, ma non ultimo, Utopia Rosso Piceno doc, il top della gamma dei vini rossi, Montepulciano e una piccola parte di Sangiovese.

Parliamo delle novità. Gianluca ha sempre avuto la sua posizione, in linea con tutte le principali ricerche universitarie del globo, sui vini naturali, sui biologici. Le sfide, si sa, prima o poi vanno colte e, sorpresa per tutti, dal marzo prossimo ci sarà una nuova linea di Verdicchio bio che porterà il suo nome, Gianluca Mirizzi. Sei ettari di terra a Monte Roberto stanno dando vita a questa nuova avventura. «Sono mesi che combatto con il rame e lo zolfo come gli antichi romani…». L’uva raccolta sarà biologica al 100% e certificata. Ad essa verrà applicata la stessa tecnica enologica conservativa (quella che vuole che il vino sappia dell’uva con cui è prodotto) che ha fatto la storia della Montecappone. Tante belle cose nuove stanno per arricchire il rutilante panorama del mondo enologico marchigiano e non. E alla festa dei 50 anni di Montecappone noi di Tyche ci saremo.

Se volete altre info: www.montecappone.com, tel. 0731205761

Carla Latini

A scuola d’amore e di cucina: un’idea coraggiosa dello chef Andrea De Carolis

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Che la sua faccia comunichi amore e generosità l’avevamo già capito. La cucina per lui vuol dire “cose buone e ben fatte”. Poi, pochi anni fa, all’interno di un programma di corsi di cucina convenzionali ma di ottimo livello, si “innamora” del Centro Sollievo…

Lo chef Andrea De Carolis, del Sandwich Time di Civitanova, lavora con la dottoressa Elisabetta Ripari, si confronta con i suoi partner e fornitori di sogni e decide che si può fare. Ma cosa? Un corso di cucina per quelle persone che, per tanti motivi che non voglio e non so spiegare, sono ospiti giornalieri del Centro Sollievo. Sollievo che, forse, trovano, sentendo amore, provando ad annusare e mangiare prodotti veri. Manipolandoli. Cosa c’è di meglio che amalgamare e mescolare quello che poi andrai ad offrire e a mangiare insieme? All’inizio di questa storia Andrea è scettico. Poi diventa amore e cucina. L’ho incontrato.

Come hai impostato la tua presenza?

«Mi sono ricordato delle mie difficoltà iniziali. Di come per me era difficile integrarmi. Ho provato a metterci tutti allo stesso livello. Io ti aiuto e tu aiuti me».

Ora smetto di farti le domande… e vai, Andrea raccontami le tue emozioni (non dimenticarti di dirmi le tue perplessità e i tuoi timori).

«I ragazzi e le ragazze del Centro Sollievo sono persone con grandi valori personali e culturali. Il disagio che li ha avvicinati alla vita lo portano dentro. Ognuno ha il suo. Quando ho deciso che volevo accanto a me delle persone con cui condivere la sfoglia piuttosto che la pasta della pizza, dimenticando il loro disagio psichico, ci siamo innamorati l’uno (io) degli altri. Che la cucina sia teraupeutica è una realtà che nessuno può smentire. Torni a casa, stanco e pieno dei tuoi problemi… Cucini e stai meglio. Fate prima con due ingredienti base a casa che fermandovi in Autogrill. In questo progetto sono con Marco Paniccià, il mio socio partner a Sandwich Time, con i fratelli Contigiani, Paolo e Massimiliano, che a Porto Sant’Elpidio hanno la scuola di cucina, la vendita diretta e la formazione dei cuochi che comprano e cucinano sulla Angelo Po. Sono 7 anni che mi aggrego a questa iniziativa e che con loro faccio corsi base come pane, pizza, pasta ripiena, macelleria e carni, dolci. Stessi corsi per i ragazzi e le ragazze del Centro Sollievo. Bello mandarli a fare la spesa. Bello vedere che fra loro si aiutano. Ho voluto fargli capire che meglio poco ma buono. Spesso sono persone rimaste sole, senza conforto familiare, senza sostegno economico. Ma non sono soli. Ho scoperto che sono, ognuno a modo suo, belli, grandi e profondi dentro. I risultati ottenuti sono eccelenti e me lo conferma la dottoressa Ripani. Per cui si replicherà il prossimo anno. Mi chiedevi delle mie perplessità? All’inizio tutte. Avevo timore di non sapere come pormi. Poi mi hanno detto che dovevo solo essere me stesso. Ed allora, alla pari, gomito a gomito, è nata una squadra compatta, intelligente (superiore alla media in alcune situazioni) che si sente realizzata quando cucina insieme e poi mangia insieme. Il momento della condivisione a tavola del cibo, quando si mangia quello che abbiamo cucinato, trasmette emozione e calore. Li abbraccerei tutti, uno alla volta. E la prossima volta voi di Tyche Magazine sarete con me. Sono stra-soddisfatto dei miei ragazzi».

Carla Latini

Giro d’Italia dei Sapori con Enrico Croatti: un viaggio tra Romagna, Madonna di Campiglio e Los Angeles

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Non sai mai cosa ti aspettarti durante le serate di Flavio e Elide alla Lanterna di Fano. Questa volta la complicità di Elsa Mazzolini ci ha regalato di nuovo la presenza di Gino Angelini. Lo ricordate a novembre dell’anno scorso? Il primo giugno Gino ha reso omaggio a Enrico Croatti, suo allievo in Romagna e suo sous chef a Los Angeles per tre anni. Il giovane Enrico, che ha poco più di trent’anni, ha girato il mondo tanto per rimanere in tema. La sua cucina è piacevolmente contaminata da stili diversi, da ricordi di casa, da vite vissute fra il Restaurante Akelare, tre Stelle Michelin, di San Sebastian (Spagna) e Les Terrasses de Lyon del Relais & Chateaux Villa Florentine di Lione, fra il Grand Hotel Miramonti Majestic di Cortina d’Ampezzo e, sempre a Lione con Paul Bocuse a l’Auberge du Pont de Collonges. Oggi è dal 2008 l’executive chef del rinomato ristorante Dolomieu del DV Chalet Boutique Hotel & Spa di Madonna di Campiglio. Nel 2013 ha preso la sua prima Stella Michelin.

pateIn mezzo ad abbracci, baci e pacche sulle spalle risuona piacevole l’accento romagnolo mai sopito. I due sono in sintonia e vediamo che succederà in cucina. Il pubblico in sala e quello delle grandi occasioni. Non a caso ci sono le Mariette. Che adorano Gino. E Gino ricambierà l’affetto dopo qualche giorno cucinando a 4 mani con Enrico nella loro scuola di cucina. Alfredo Antonaros introduce Enrico Croatti. Romanza la sua vita. E noi aspettiamo il paté preparato in omaggio a Gino Angelini. È il patè di Gino. Un grandissimo piatto, dice Flavio. Ce ne saranno altri nel corso della serata: sopra un carpaccio di gambero un biscotto di nocciola contiene il patè di Gino. Beviamo un Trento Doc Rosè, Antares 2011. Cominciamo alla grande. Poi arriva una portata che giustifica quanto ho scritto sopra (la sua cucina è piacevolmente contaminata da stili diversi, da ricordi di casa, da vite vissute): le poveracce da Rimini a Madonna di Campiglio. Un viaggio su una piacevole pappa al pomodoro fatta con gli ingredienti dei canederli con piccole vongole senza guscio rese eteree da una nuvola che sa di prezzemolo. La contaminazione provoca e le persone si scambiano idee. Per i turanici alle canocchie cambiamo vino. È una Nosiola Selezione Argiller L’Ora 2013. Bariccata a dovere da non sembrare una Nosiola. La Nosiola a un nostro Bianchello del Metauro. Immaginatelo in barrique! I turanici alle canocchie erano degli spaghetti fatti con un grano duro speciale che per l’occasione sono stati triturati e ridotti in piccoli pezzi come fosse un risotto. L’amido dona una mantecatura importante e rilascia il sapore forte del grano duro. Poi Enrico Croatti ci ri-stupisce con la cottura, incredibile, di uno scalogno. Che è uno protagonisti del piatto lattonzolo iberico, mazzancolle e scalogno. Il lattonzolo è un maialino da latte cotto a bassa temperatura, la mazzancolla è caramellata nel caramello, lo scalogno sembra crudo ma non lo è. In bocca rimane croccante ma è cotto. Da mangiarne altri cento. Sempre di iberica memoria ecco arrivare la carne salada estemporanea nell’idea di un Rossini. suggestioni di primaveraCruda, battuta a coltello finemente, si presenta in polpettine, c’è tartufo, c’è la salsa. Ritorna il Trentino, prepotente. Intanto con un rosso Trento doc Rebo 2014, poi con suggestioni di primavera. È un pre-dessert? Non lo so. So che è strepitoso, sorprendente. Bello nei colori della misticanza montana tipica trentina. Con quelle foglie dalle nervature rosso porpora. Sotto a questa che sembra una semplice ma ricercata insalata c’è un cremoso di cioccolato bianco con un sorbetto agli asparagi. Il tutto, a conferma delle mie parole strepitoso, sorprendente, è dentro una coppa Martini. Il dessert che chiude la cena, prima della piccola pasticceria che assume un aspetto internazionale, ci porta in Sicilia. Mandorle e caffè, il mio primo viaggio in Sicilia è un dolce molto ben fatto. Candido. Beviamo un Goldtraminer 2014. Gino Angelini abbraccia il suo allievo. Gino è sempre orgoglioso dei successi dei suoi ragazzi. Ma ogni tanto li vuole rivedere. Li vuole accanto a se. Maestro paterno? Maestro che non smette mai di essere tale. Il Giro d’Italia dei Sapori con Enrico Croatti ha preso una “volata” internazionale. Alla prossima! Flavio Cerioni ci terrà informati sui social quando sarà.

Per info e prenotazioni: 0721881718, 335367146 info@allalanterna.com

Carla Latini

A Camerano è arrivata la grande “cucina e vini” del Bistrò di Marco Grassetti e Francesca Cingolani

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Giovani, belli e “locali”. Hanno avuto il coraggio, nemmeno un anno fa, di trasformare un piccolo bar in un ristorante elegante e raffinato. Il bianco e il grigio chiaro rilassano la vista. Francesca Cingolani in sala è gentile e professionale. Marco Grassetti sui fornelli crea piatti che nascono anche da esperienze passate. Ho trovato una cucina matura e sicura. Ho bevuto vini molto interessanti. È stata Francesca a scrivermi e così ci siamo accordate per un giorno tranquillo, il lunedì. È ancora un po’ freddo, purtroppo, e non posso godere di una cena in terrazza. Una terrazza cittadina nel cuore del paese che guarda il mare. Le luci sono suggestive ed il cielo, striato di nuvole, è limpido.

rombo intero Bistrò Camerano Dalla cucina Marco mi fa arrivare un rombo freschissimo che metterà al forno con pomodorini, olive e profumi dell’orto. Facile a dirsi vero? Fra le paste ripiene che sono fatte tutte in casa e strizzano l’occhio alla tradizione, mi viene consigliato un risotto di pesce. Mi affido docile e certa di fare la scelta giusta. Anche sul vino: Alba Nuda, un brut rosé di Angeli di Varano. Che reggerà la mia cena dall’antipasto al rombo. Prima però pani fatti in casa e olio extra vergine il Conventino per zuppettare nell’attesa. La coppia e sposata dal 2008. Un amore travolgente che ha distolto Francesca dalla sua prima passione: la musica. Francesca è soprano. Marco ha un percorso formativo di tutto rispetto: alberghiero e poi incarichi in ristoranti importanti come il Saraghino a Marcelli. Sono diversi i big che lo scelgono per lavori importanti. Una fra tutte Beatrice Segoni (ho già scritto di lei QUI) che l’ha voluto a Firenze per il pranzo di D’Alema e Clinton. Marco non lo racconta ma una foto discreta, attaccata al muro in una parete un po’ nascosta, lo ricorda.

antipasto Bistrò Camerano Ecco l’antipasto. Da destra a sinistra i sapori si fanno più forti. Salmone con uova di salmone e misticanza, un velo di pesce crudo abbracciato ad un piccolo grissino, insalata di polpo in piccoli pezzi con nuvolette di porro fritto sopra. Mi ricorda qualcuno, anzi qualcuna, ed il polpo di Marco è assolutamente all’altezza! Infine alici marinate e insalata mista dolce. L’intelligenza e la sensibilità di un cuoco si vedono anche in questi piccoli dettagli: con il dolce salmone la misticanza ricca di rucola, con le alici marinate la dolce cappuccia. Dico a Francesca che mi è piaciuto tutto molto. Mi sorride. Il risotto è superbo. Mantecato con gli umori dei pesci che lo compongono, moscioli, piccoli scampi, pesce azzurro. Tutto molto amalgamato e armonico. Erbette verdi lo decorano e il giro di olio a crudo mi fa tornare indietro nel tempo. Alla grande scuola di Gianfranco Vissani. Ma a Marco non l’ho detto. Lo leggerà qui.

risottoAspettando che il rombo esca dal forno scopro che la coppia era in società con il pizzaiolo della famosa pizzeria Flamingo a San Biagio di Osimo. Ai tempi top era un cult. La pizza molto buona ed anche il menu alla carta molto buono. Era opera di Marco. Poi i luoghi cambiano faccia. Basta un niente. La chiusura di un paio di negozi e piccole fabbriche, la chiusura di un hotel… non c’era più ragione di resistere lì. Così, forza e coraggio e con la gioia della nascita di Alessandro che ora ha 10 anni, Francesca pensa di tornare a casa, a Camerano. Il Bistrot è dopo la piazza principale, prima del curvone con la terrazza sul mare. Arriva il rombo. Aiutata da un cameriere sedicenne, Francesca lo pulisce e me lo sporziona a tavola. I pomodorini brillano. Le olive sono snocciolate e tagliate a rondelline. C’è un rosmarino di grande qualità ed un ottimo olio. Che non si vede ma si sente. Un piatto molto saporito, forte nei condimenti. Fatto alla perfezione. E mentre dico a Francesca, dandoci finalmente del tu, (comincio ad avere l’aspetto della vecchia signora?) che non desidero un dolce ma solo di essere stupita da qualche altra sua scoperta in fatto di vini (raffinata la ragazza!) Marco esce dalla cucina. Con Marco, mamma Pina. Che parla di suo figlio e della nuora con gli occhi lucidi della mamma innamorata. Intanto Francesca porta un vino di visciole. Difficile trovarlo buono. Ma questo è così denso che sembra uno cherry. Intenso. Buonissimo. Ahimè ha solo quella bottiglia portata da un produttore e, molto carina, ha aspettato di assaggiarlo con me. «Compralo!», le dico. «Speriamo che abbia bottiglie…» Motivo per cui non vi svelo il nome.

Ed ora via libera al passato. Ai ricordi di allievo e alle emozioni. E a quanto ha assorbito come una spugna di mare ogni piccolo gesto dei grandi a cui ha avuto al fortuna di stare accanto. Lo riconosco nella cottura dei pomodorini accanto al rombo e dal loro taglio verticale. Ora parte fimalmente l’estate per il Bistrò. La sera saranno 50 posti dentro e 50 fuori. Sarà possibile mangiare sia pesce che carne. Ricette ricercate, curate nei minimi particolari. Eccellenti paste ripiene dove sono sicura c’è la mano di mamma Pina. L’amore che unisce questa famiglia è contagioso. Poi arriva Alessandro che va subito in cucina a prendere un gelato. È finita la scuola e può stare accanto al papà. Stessi occhi buoni. Francesca ora mi saluta. Va da Ginevra che ha appena nove mesi. Finisco in chiacchiere e visciole con Marco, mamma Pina e Alessandro, questa serata, da ripetere prima possibile. Per prenotare chiamate Francesca allo 071731914. Cucina vini Bistrò è a Camerano in via Carlo Maratti 51-53. L’insegna fuori è luminosa non potete non vederla.

Carla Latini

Lo Scottadito a Pesaro: tanti buoni motivi per leccarsi le dita

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Lo Scottadito PesaroPronti a leccarsi le dita? Pesaro, Baia Flaminia. Dove il mare diventa sempre più aperto. Ed il vento soffia spesso. Enrico Cerioni porta un cognome importante nel mondo eno-gastronomico marchigiano e non. E la sua mamma, Elide Pastrani, è una delle cuoche più brave e solide. Allo Scottadito è stata da poco inaugurata la terrazza sul mare. Ci sono più di 100 posti fra dentro e fuori. Mi ricorda il Golf Club di San Sebastian con la spiaggia a pochi passi. Il nome tradisce il “core businnes” del locale. La griglia, la brace. Dietro un bancone un “cuoco griller” si dedica a spiedini, grigliate miste, spiedo vero e proprio, verdure “graticolate”, antipasti rosolati. E poi ci sono loro: gli scottadito. I classici sardoncini impanati e grigliati da mangiare con le mani. Arrivano a tavola su una vezzosa griglietta mono porzione. Piccoli piccoli e con le loro spine. Che se volete potete togliere. Ma sono così sottili che si possono mangiare insieme alla polpa del pesce. Mentre giro, parlo e capisco, esce dalla cucina Giuseppe. Il cuoco napoletano che fa a mano tutte le paste fresche e segue il reparto friggitoria e pizzeria. L’idea di Enrico è quella di fare dello Scottadito un posto giovane per i giovani. Accessibile sia come prezzi che come contenuti. Ma con materie prime di provenienza locale e di indiscussa qualità. E la pizza è giovane. C’è poco da fare! Come la pizza che porta il nome del locale, Scottadito, che diventerà un tormentone estivo. È farcita con bietoline, mozzarella e sardoncini. E la Rossini, poteva mancare a Pesaro? Con pomodoro, mozzarella, maionese e uovo sodo. Le altre “proposte/pizza” viaggiano fra le classiche marinara, margherita, 4 stagioni, 4 formaggi a quelle dop con pomodorini del Piennolo, casciotta d’Urbino e gamberi pescati dall’Adriatico. Gli spaghetti con le vongole sono un cult come i tagliolini allo scoglio. Ricordi della cucina di mamma Elide arrivano quando gli strozzapreti si sposano con la crema di ceci e il ragù di pesce, quando i passatelli sono con pesto e triglie. Unico piatto di carne, perché qui da Scottadito il pesce dell’Adriatico regna indiscusso protagonista, sono le tagliatelle al ragù.

Enrico farà di ogni serata estiva un motivo in più per andare a “scottarsi le dita”, sfilate di moda, animazioni con dj, teatro, arte, cultura …
«Mi piacciono le cose semplici. Mi piace vedere il locale pieno e la gente felice che non si alza dal tavolo. Che socializza e parla con gli altri ospiti».
Tavoli da due, da quattro. Lunghi tavoli da gruppi e comitive dove l’amicizia nasce in una sera. Da perfetto uomo di sala Enrico ha una eccellente carta dei vini, delle birre che non possono mancare con la pizza, che sceglie e seleziona con navigata esperienza.

scottadito carla latiniMentre assaggio i miei scottadito, Giuseppe ritorna in sala per raccontarmi le sue idee sugli antipasti dai crudi, ai tiepidi, ai caldi. Per rimanere in tema mi fa piacere citare fra tutti “la collina al mare”, polenta grigliata con ragù di mare. «Ma che buoni questi sardoncini! Era tanto che non ne mangiavo di così buoni. Poche molliche, poco condimento. Leggeri leggeri con tutto il profondo sapore del nostro mare». Enrico mi trattiene ancora un po’. Gli prometto che torno di sera anche per assaggiare i cocktail e che mi fermo un giorno la mattina presto per un caffè. Scottadito tutto il giorno dalla mattina a notte fonda. Per avere non uno ma tanti motivi per “leccarsi le dita”!

Lo Scottadito è in viale Londra 1, Baia Flaminia, Pesaro. Telefono 0721/25711

Carla Latini

Pazienza, passione e rispetto: così i vini di Maria Pia Castelli diventano gioielli

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La Maria Pia Castelli è una piccola realtà delle basse Marche, a Monte Urano. Maria Pia vive in simbiosi con le sue vigne, le sue botti e le sue eccellenti bottiglie. Una festa mi ha dato l’opportunità, graditissima, di stare con lei e “i suoi”. “I suoi” in tutti i sensi: il marito, i figli, i vini.

L’azienda nasce nel 1998, data dell’inizio delle prime sperimentazioni. L’idea è stata quella di produrre vini di alta qualità utilizzando vitigni autoctoni, nel pieno rispetto dei cicli naturali e del territorio. Per questi motivi la produzione è molto limitata. Negli 8 ettari di vigneto di proprietà si raccolgono mediamente 35/40 quintali di uve per ettaro, che portano ad una produzione di circa 25mila bottiglie annue. Maria Pia entra nello specifico ed io, donna legata forte forte alla terra, bevo tutto d’un fiato il suo racconto: la lavorazione è naturale (gli unici trattamenti sono quelli tradizionali di rame e zolfo). Lo scopo è quello di avere un frutto sano, forte e concentrato. Ciò comporta un’attenzione maniacale in tutte le lavorazioni in vigna proprio perché si rispetta la natura e i suoi cicli. Ci vuole tanta pazienza, passione e rispetto. Aspetti che continuano in cantina con i vini che nascono da questo lavoro necessitano di tempi di affinamento piuttosto lunghi, durante i quali si interviene il meno possibile.Vengono fatte aggiunte insignificanti di solforosa, chiarifiche naturali o malolattica svolta naturalmente in botte. La cantina è un piccolo gioiello.

Il percorso inizia dalle vigne e finisce con l’assaggio. Maria Pia ci raccoglie intorno ad un tavolo e bicchieri uguali da chardonnay si avvicinano a naso e bocca.

Cominciamo con Stella Flora, un Marche Bianco Igt realizzato con pecorino 50%, passerina 30%, trebbiano 10% e malvasia di Candia 10%. Uno dei migliori bianchi d’Italia. Vino di un colore giallo oro antico, rapisce già ad un primo esame visivo; quello che segue a livello olfattivo è un’esplosione di sensazioni che variano di minuto in minuto man mano che il vino si apre nel calice, spaziando dall’erbaceo al fruttato grazie ad una complessità unica. In bocca si caratterizza soprattutto per sapidità ed acidità e note quasi tanniche . Servito a temperatura di cantina o leggermente fresco si accompagna a pesci salsati ma soprattutto a formaggi e carni bianche.E non lo dico io ma le guide a dimostrazione che, anche nelle basse Marche, si possono produrre bianchi di altissima qualità con vitigni autoctoni.

Ed ora questa degustazione ve la fate con me. Poi, quando vorrete, Maria Pia vi aspetta.

Continuiamo con Sant’Isidoro, un Marche Rosato Igt 50% Montepulciano e 50% Sangiovese. Ottenuto con la tecnica del salasso dei due rossi prodotti, affina per circa 10 mesi nelle vasche di fermentazione (rispettivamente acciaio per il salasso del Sangiovese e legno per quello del Montepulciano), per poi essere messo in massa per circa un mese; la permanenza in bottiglia è dai 3 ai 6 mesi; è stato definito “rosso vestito di rosa” date le sue caratteristiche di complessità sia al naso (frutti rossi molto evidenti) sia in bocca dove si distingue per una struttura decisamente importante. Oltre ad essere inserito nella lista dei più importanti rosati italiani e premiato con le 3 Rose dalla Guida del Gambero Rosso il suo successo è testimoniato dalle prenotazioni che ormai arrivano di anno in anno prima ancora dell’imbottigliamento.

Ora tocca ad Orano, un Marche Rosso Igt Sangiovese in purezza, che fermenta per circa 15 giorni in cisterne d’acciaio, prima di passare all’affinamento di 12 mesi in piccole botti di rovere di secondo passaggio; successivamente gode di ulteriori 12 mesi di affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Vino con molti frutti rossi al naso, piacevole in bocca e poco alcolico, si accompagna facilmente a tutti i menu di carne, dall’antipasto al secondo piatto; non sorprende che sia il più bevuto e conosciuto dei quattro. Premiato come uno dei Top Hundred, I Migliori 100 Vini d’Italia dalla guida Il Golosario del Club di Papillon di Paolo Massobrio nel 2005.

Finiamo con Erasmo Castelli, un Marche Rosso Igt Montepulciano in purezza. Fermentazione di circa 25 giorni a contatto con le bucce in tini di legno di rovere francese, affina per 24 mesi in botti nuove e per almeno altri 24 mesi in bottiglia. Grande complessità al naso, si caratterizza per un palato importante supportato da un tannino molto evidente ma levigato ed elegante e da una lunghissima persistenza gusto-olfattiva finale. Si accompagna bene alle carni rosse, brasati, fino ai formaggi stagionati. Si tratta del vino più importante prodotto dall’azienda di Maria Pia, recentemente premiato con i 3 Bicchieri dalla guida Slow Food – Gambero Rosso.

Se volete fare un percorso come il mio basta chiamare in azienda (0734-841774) o scrivere a info@maripiacastelli.it.

Carla Latini

 

 

 

Capolavori a Tavola 2016 con dodici grandi chef italiani

in Capolavori a Tavola/Mangiare e bere da

Simone Fracassi 2

Dodici importanti chef italiani alla quindicesima edizione di Capolavori a Tavola, martedì 21 giugno, alla cena-evento nata ideata da Simone Fracassi. Un appuntamento nella splendida cornice di Borgo Corsignano a Poppi, nel Casentino in provincia di Arezzo, che oltre ad ospitare il meglio della gastronomia nazionale, si distingue per essere un’indimenticabile serata all’insegna della buona cucina e della solidarietà.

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Da Pedaso al Bulgari Hotel: la fulminante carriera di Alessandro Accinni, professione bartender

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La mia natura mi porta a curiosare. Dove vedo marchigiano, nel mondo, io domando. Ho conosciuto Alessandro Accinni, splendido giovane di Pedaso dietro un banco bar di grande classe al Bulgari Hotel, che non ha bisogno di alcuna presentazione, a Milano. «Sono felice di incontrare un conterraneo in questo posto sublime, raccontami». Ed ecco a voi Alessandro Accinni. Se siete da queste parti andatelo a salutare. Gli lascio, volentieri, la parola. Leggerete una storia che potrebbe essere di esempio, senza retorica…

«Ho iniziato a lavorare a 14 anni come cameriere facendo le stagioni in una pizzeria di Pedaso, per poi approcciare la mia prima esperienza in un cocktail bar nel 2006, sempre come cameriere.. Nel 2008 incomincio a salire dietro il bancone nello storico Bar Gelateria Concetti di Pedaso e da lì parte una collaborazione stagionale che dura 6 anni. Una vera e propria seconda famiglia per me. Nel 2010/2011 intraprendo il corso di studi di infermieristica, corso che mi appassiona e coinvolge tantissimo, ma che mi sento di abbandonare 2 anni dopo per motivi familiari. Nell’ottobre 2013 partecipo ad un corso Aibes a Milano per migliorare e arrotondare le mie conoscenze. Corso che poi mi porta a contatto con alcune aziende del milanese. Il 18 dicembre 2013 ho io primo contatto con il Bulgari Hotel & Resorts di Milano. Ad aprile 2014 inizio il mio percorso che mi vede in sala bar come chef de rang e ad novembre 2014 salgo sul bancone del Bvlgari (non per mia scelta ma per esigenza dell’azienda) con umiltà e paura di non essere all’altezza. Poi da lì piano piano ho iniziato a ritagliare i miei spazi e a poter dire la mia su tutti i fronti. Ad oggi la maggior parte dei clienti sa il mio nome e la gente passa al bar per salutarmi anche se è seduta a bere fuori in giardino. Ed è la soddisfazione più grande… In questo momento sto anche frequentando il corso Ais e sono al termine del secondo livello».

Come vivi a Milano?

«Qui si sta bene, la città offre molto sotto tanti punti di vista. È sicuramente una città che ti mette in contatto con il mondo e ti da possibilità di imparare tanto e di crescere sia come professionista ma sopratutto come persona. Però un pedasino Doc, come me, sente tanto la mancanza del mare».

Un tuo cocktail?

«Fusion: Vodka – Sake – Ancho Reyes – Sloe gin Lemongrass syrup – lime juice».

Il tuo sogno?

«Tornare in patria e non vivrei in un altro posto se non nella mia Pedaso, anche se potrei lavorare fuori dalla mia città. Ma purtroppo le possibilità, fuori dalla città, sono, ahimè, limitate ed è difficile esportare un certo tipo di mentalità. Magari tra qualche anno sarà fattibile. Ogni volta che torno giù mi rendo conto di quanto questo mio sogno sia difficile da realizzare. Ma un posto dove tornerei a lavorare anche domani è il bar dove son cresciuto, il bar della famiglia Concetti».

Cosa vuol dire Mixologist?

«È un termine inventato che forse non è nemmeno mai esistito: il mixologist non è nient’altro che lo chef dietro al bancone. È il bartender che riproduce ed interpreta le ricette dei cocktail e ne inventa di altre. Ma sopratutto è colui che si prende cura del cliente e che fa da tramite tra lui ed una piacevole esperienza. Perché il cocktail, come un buon piatto deve essere un esperienza. Concludo dicendoti che l’importante è essere sempre se stessi (nel lavoro come nella vita), non bisogna preoccuparsi di piacere per forza alle persone. Essere veri e genuini è il miglior modo per essere apprezzati».

Bene! Grazie Alessandro… Dalle Marche e da Pedaso verremo trovarti…

Carla Latini

Pronti alla “prova costume di vita”? Ci aiuta il Tao del dottor Mariani

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Il Tao del dottor Mariani, di cui vi ho scritto prima di Natale QUI, è diventato uno spettacolo teatrale che si ascolta e si guarda, per due ore senza sosta, con gli occhi puntati su di lui. Lui che è se stesso e trasmette amore, la principale “medicina” della vita. La mia amica Hilde Soliani è scesa da Parma ad Osimo, teatro della presentazione, curiosa di conoscere Mario. Un incontro tra amici comuni che festeggiamo con un “aperiTao” di prodotti freschi, locali e stagionali. La filosofia che il Dott. vuole trasferirci. Apro una parentesi per scrivere un grande “Brava” a Maria Cesarini che ha organizzato tutto. A Osimo ha un negozio erboristeria che, definire così, è riduttivo. Si chiama l’Essenza. Maria segue Mario da anni, dal metodo tre M ad oggi.
Ad oggi che c’è il Tao, la storia della vita di Mario. Il suo percorso di studi, le sue passioni, la famiglia. Non voglio raccontarvi lo spettacolo nei dettagli, perché ogni volta è diverso. Dovete andare a vederlo (prossima tappa marchigiana Senigallia, vi avverto).
Mario sa come calcare il palcoscenico. Da navigato deejay. La musica dell’ecodoppler ha dato un senso alle sue scelte. Che emozione sentire attraverso un amplificatore il suono ed il ritmo della vita! Durante lo spettacolo di Mario potrebbe intervenire Fiorello e nessuno si meraviglierebbe.
Mario vuole eliminare il Tao nero e ne fa capitoli nel suo libro. Il Tao nero è nascosto dove non penseresti che esista. Anche nel tuo “buon senso acculturato”. Perché se evitiamo l’olio di palma attraverso un’attenta lettura delle etichette, poi ce lo ritroviamo nei saponi, nelle creme e in tutti i prodotti che ci “ungono e detergono” piacevolmente. Noi e i nostri figli. Così come avviene con i metalli cattivi che sono nei terreni e nell’aria. Cosa sono i nitriti e i nitrati che fanno diventare rossi paonazzi i salumi dei nostri centri commerciali? Veleno. Tao nero. La terra si ribella. Mario ci fa vedere video che nessuno è mai riuscito a portare nei nostri comuni canali media. È la Cnn indonesiana. Sono le nuvole nere che offuscano il sole. Che noi respiriamo.
Evitare i cibi lavorati industriali è il primo passo. Mario mi trova d’accordo da sempre. Il pubblico partecipa con calore. Applaude. Sono giovani donne e uomini, immagino mamme e papà futuri e attuali. Sono felice. Per Mario e la sua battaglia senza sosta. Per tutte le persone che, stasera, hanno capito qualcosa in più.
Pronti per la “prova costume di vita” MMM, Mauro Mario Mariani? Pronti a Mantenere la Massa Magra? Il Dott. predica di mangiare con le tre C. Come Cristo Comanda. Come diceva nonna. Oppure bis/nonna. Scherzi a parte, è la verità scritta nel Tao. Quindi abolire i cibi industriali lavorati. Tutti. Mario affronta il danno senza ma. Contro e basta. Contro “Palmella” che piace al mondo. Contro il cibo spazzatura che regala ai nostri bambini colesterolo e diabete in numerose monodosi nascoste in bibite zuccherate e “ricche” di gadget. Tao nero – il più cattivo di tutti – è il fumo. Ma, ahimè, sono in tanti ancora a non averlo capito.
Alla fine Mauro Mario Mariani ci dice che il Tao bianco – evviva – c’è! Ci farà solo bene: mangiare poco e spesso frutta e verdura locale, stagionale e fresca, qualche volta cotta, legumi ad ogni pasto, basta un pugnetto, cereali, tutti, e variare dalla pasta, al riso, alla polenta, al farro, all’orzo; olio evo monovarietale e locale, un cucchiao a pranzo e cena crudo; il pesce pescato (Mario gioca scrivendo quello che peschi tu!) il pollo che razzola bene (quello che spenni tu!). E poi frutta secca che non deve mancare mai. Formaggi, uova e carni rosse una volta a settimana ma che siano di fornitori di fiducia. Vino? Poco e buono. È la dieta mediterranea che gli atenei americani hanno fatto propria. È la dieta di casa nostra. Dei ritmi che non ci sono più. Che faremo poca fatica a riprendere. Senza esagerare. Il bello della ‘prova costume di vita di Mariani’ è che ti senti bene strada facendo e non torni indietro. Tutti belli come il sole e pronti per la “prova costume”!
Per avere più informazioni chiamate Maria Cesarini al 071 718044 info@erboristeriaessenza.com

Carla Latini

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