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Lo Scottadito a Pesaro: tanti buoni motivi per leccarsi le dita

in Mangiare e bere da

Lo Scottadito PesaroPronti a leccarsi le dita? Pesaro, Baia Flaminia. Dove il mare diventa sempre più aperto. Ed il vento soffia spesso. Enrico Cerioni porta un cognome importante nel mondo eno-gastronomico marchigiano e non. E la sua mamma, Elide Pastrani, è una delle cuoche più brave e solide. Allo Scottadito è stata da poco inaugurata la terrazza sul mare. Ci sono più di 100 posti fra dentro e fuori. Mi ricorda il Golf Club di San Sebastian con la spiaggia a pochi passi. Il nome tradisce il “core businnes” del locale. La griglia, la brace. Dietro un bancone un “cuoco griller” si dedica a spiedini, grigliate miste, spiedo vero e proprio, verdure “graticolate”, antipasti rosolati. E poi ci sono loro: gli scottadito. I classici sardoncini impanati e grigliati da mangiare con le mani. Arrivano a tavola su una vezzosa griglietta mono porzione. Piccoli piccoli e con le loro spine. Che se volete potete togliere. Ma sono così sottili che si possono mangiare insieme alla polpa del pesce. Mentre giro, parlo e capisco, esce dalla cucina Giuseppe. Il cuoco napoletano che fa a mano tutte le paste fresche e segue il reparto friggitoria e pizzeria. L’idea di Enrico è quella di fare dello Scottadito un posto giovane per i giovani. Accessibile sia come prezzi che come contenuti. Ma con materie prime di provenienza locale e di indiscussa qualità. E la pizza è giovane. C’è poco da fare! Come la pizza che porta il nome del locale, Scottadito, che diventerà un tormentone estivo. È farcita con bietoline, mozzarella e sardoncini. E la Rossini, poteva mancare a Pesaro? Con pomodoro, mozzarella, maionese e uovo sodo. Le altre “proposte/pizza” viaggiano fra le classiche marinara, margherita, 4 stagioni, 4 formaggi a quelle dop con pomodorini del Piennolo, casciotta d’Urbino e gamberi pescati dall’Adriatico. Gli spaghetti con le vongole sono un cult come i tagliolini allo scoglio. Ricordi della cucina di mamma Elide arrivano quando gli strozzapreti si sposano con la crema di ceci e il ragù di pesce, quando i passatelli sono con pesto e triglie. Unico piatto di carne, perché qui da Scottadito il pesce dell’Adriatico regna indiscusso protagonista, sono le tagliatelle al ragù.

Enrico farà di ogni serata estiva un motivo in più per andare a “scottarsi le dita”, sfilate di moda, animazioni con dj, teatro, arte, cultura …
«Mi piacciono le cose semplici. Mi piace vedere il locale pieno e la gente felice che non si alza dal tavolo. Che socializza e parla con gli altri ospiti».
Tavoli da due, da quattro. Lunghi tavoli da gruppi e comitive dove l’amicizia nasce in una sera. Da perfetto uomo di sala Enrico ha una eccellente carta dei vini, delle birre che non possono mancare con la pizza, che sceglie e seleziona con navigata esperienza.

scottadito carla latiniMentre assaggio i miei scottadito, Giuseppe ritorna in sala per raccontarmi le sue idee sugli antipasti dai crudi, ai tiepidi, ai caldi. Per rimanere in tema mi fa piacere citare fra tutti “la collina al mare”, polenta grigliata con ragù di mare. «Ma che buoni questi sardoncini! Era tanto che non ne mangiavo di così buoni. Poche molliche, poco condimento. Leggeri leggeri con tutto il profondo sapore del nostro mare». Enrico mi trattiene ancora un po’. Gli prometto che torno di sera anche per assaggiare i cocktail e che mi fermo un giorno la mattina presto per un caffè. Scottadito tutto il giorno dalla mattina a notte fonda. Per avere non uno ma tanti motivi per “leccarsi le dita”!

Lo Scottadito è in viale Londra 1, Baia Flaminia, Pesaro. Telefono 0721/25711

Carla Latini

Pazienza, passione e rispetto: così i vini di Maria Pia Castelli diventano gioielli

in Mangiare e bere/Senza categoria da

La Maria Pia Castelli è una piccola realtà delle basse Marche, a Monte Urano. Maria Pia vive in simbiosi con le sue vigne, le sue botti e le sue eccellenti bottiglie. Una festa mi ha dato l’opportunità, graditissima, di stare con lei e “i suoi”. “I suoi” in tutti i sensi: il marito, i figli, i vini.

L’azienda nasce nel 1998, data dell’inizio delle prime sperimentazioni. L’idea è stata quella di produrre vini di alta qualità utilizzando vitigni autoctoni, nel pieno rispetto dei cicli naturali e del territorio. Per questi motivi la produzione è molto limitata. Negli 8 ettari di vigneto di proprietà si raccolgono mediamente 35/40 quintali di uve per ettaro, che portano ad una produzione di circa 25mila bottiglie annue. Maria Pia entra nello specifico ed io, donna legata forte forte alla terra, bevo tutto d’un fiato il suo racconto: la lavorazione è naturale (gli unici trattamenti sono quelli tradizionali di rame e zolfo). Lo scopo è quello di avere un frutto sano, forte e concentrato. Ciò comporta un’attenzione maniacale in tutte le lavorazioni in vigna proprio perché si rispetta la natura e i suoi cicli. Ci vuole tanta pazienza, passione e rispetto. Aspetti che continuano in cantina con i vini che nascono da questo lavoro necessitano di tempi di affinamento piuttosto lunghi, durante i quali si interviene il meno possibile.Vengono fatte aggiunte insignificanti di solforosa, chiarifiche naturali o malolattica svolta naturalmente in botte. La cantina è un piccolo gioiello.

Il percorso inizia dalle vigne e finisce con l’assaggio. Maria Pia ci raccoglie intorno ad un tavolo e bicchieri uguali da chardonnay si avvicinano a naso e bocca.

Cominciamo con Stella Flora, un Marche Bianco Igt realizzato con pecorino 50%, passerina 30%, trebbiano 10% e malvasia di Candia 10%. Uno dei migliori bianchi d’Italia. Vino di un colore giallo oro antico, rapisce già ad un primo esame visivo; quello che segue a livello olfattivo è un’esplosione di sensazioni che variano di minuto in minuto man mano che il vino si apre nel calice, spaziando dall’erbaceo al fruttato grazie ad una complessità unica. In bocca si caratterizza soprattutto per sapidità ed acidità e note quasi tanniche . Servito a temperatura di cantina o leggermente fresco si accompagna a pesci salsati ma soprattutto a formaggi e carni bianche.E non lo dico io ma le guide a dimostrazione che, anche nelle basse Marche, si possono produrre bianchi di altissima qualità con vitigni autoctoni.

Ed ora questa degustazione ve la fate con me. Poi, quando vorrete, Maria Pia vi aspetta.

Continuiamo con Sant’Isidoro, un Marche Rosato Igt 50% Montepulciano e 50% Sangiovese. Ottenuto con la tecnica del salasso dei due rossi prodotti, affina per circa 10 mesi nelle vasche di fermentazione (rispettivamente acciaio per il salasso del Sangiovese e legno per quello del Montepulciano), per poi essere messo in massa per circa un mese; la permanenza in bottiglia è dai 3 ai 6 mesi; è stato definito “rosso vestito di rosa” date le sue caratteristiche di complessità sia al naso (frutti rossi molto evidenti) sia in bocca dove si distingue per una struttura decisamente importante. Oltre ad essere inserito nella lista dei più importanti rosati italiani e premiato con le 3 Rose dalla Guida del Gambero Rosso il suo successo è testimoniato dalle prenotazioni che ormai arrivano di anno in anno prima ancora dell’imbottigliamento.

Ora tocca ad Orano, un Marche Rosso Igt Sangiovese in purezza, che fermenta per circa 15 giorni in cisterne d’acciaio, prima di passare all’affinamento di 12 mesi in piccole botti di rovere di secondo passaggio; successivamente gode di ulteriori 12 mesi di affinamento in bottiglia prima della messa in commercio. Vino con molti frutti rossi al naso, piacevole in bocca e poco alcolico, si accompagna facilmente a tutti i menu di carne, dall’antipasto al secondo piatto; non sorprende che sia il più bevuto e conosciuto dei quattro. Premiato come uno dei Top Hundred, I Migliori 100 Vini d’Italia dalla guida Il Golosario del Club di Papillon di Paolo Massobrio nel 2005.

Finiamo con Erasmo Castelli, un Marche Rosso Igt Montepulciano in purezza. Fermentazione di circa 25 giorni a contatto con le bucce in tini di legno di rovere francese, affina per 24 mesi in botti nuove e per almeno altri 24 mesi in bottiglia. Grande complessità al naso, si caratterizza per un palato importante supportato da un tannino molto evidente ma levigato ed elegante e da una lunghissima persistenza gusto-olfattiva finale. Si accompagna bene alle carni rosse, brasati, fino ai formaggi stagionati. Si tratta del vino più importante prodotto dall’azienda di Maria Pia, recentemente premiato con i 3 Bicchieri dalla guida Slow Food – Gambero Rosso.

Se volete fare un percorso come il mio basta chiamare in azienda (0734-841774) o scrivere a info@maripiacastelli.it.

Carla Latini

 

 

 

Fiorella Ciaboco, la riscoperta della creatività sartoriale a Jesi e ora anche a Milano

in Moda da

Ho conosciuto Fiorella Ciaboco prima dello scorso Natale dal comune amico Daniel Canzian, nell’omonimo ristorante di Milano. Stavamo per organizzare una sfilata eno-gastronomica ma i tempi erano troppo stretti. Troppo vicini al Natale.

foto fiorella tycheQuando si incontra una donna come Fiorella, semplice, piena di slancio e solare, si cerca sempre di non perderla di vista. Mi piacciono le sue creazioni. Le sue linee avvolgenti e dolcemente femminili. Ad aprile l’ho incontrata dal comune amico Massimo Biagiali. Mi dice che sta per inaugurare uno showroom a Milano con un sarto napoletano. Ma che bella e coraggiosa idea. Una sartoria come quella di una volta. Dove Fiorella inventa, fa modelli, taglia e cuce. Insieme a Felice Vitale. Lui l’eleganza immortale del signore napoletano. Lei la bellezza pulita delle donne marchigiane del nostro entroterra. Fiorella si è specializzata in modellistica molto giovane ed ha aperto il suo primo laboratorio sartoriale sfidando la diffidenza e i pregiudizi di un piccolo paese di provincia. Appassionata, esigente e determinata, ingrandisce la sua attività avvalendosi di maestranze specializzate. Oggi i suoi capi su misura sono conosciuti e apprezzati in molte città. In controtendenza rispetto ad un mondo sempre più omologato, Fiorella ha orientato la sua attività nella difesa della grande sartoria italiana. Un’eccellenza che ha fatto storia in tutto il mondo, ma che oggi sembra soccombere alla frenetica industrializzazione. Per questo nel suo laboratorio di Jesi e nella sede di Milano si respira ancora il fascino del vero atelier: figurini, cartamodelli, tessuti, mani abili che tagliano, confezionano e rifiniscono abiti. Fiorella vuole ridare al mestiere del sarto la sua giusta, preziosa importanza. Rivalutare questo lavoro antico per dare nuove opportunità ai giovani. Lo scorso 5 maggio, con l’apertura dello showroom meneghino, Fiorella ha coronato un sogno. Quando me lo ha anticipato le brillavano gli occhi. Tutta la Milano intelligente, modaiola e non, si è fermata a fare un brindisi con lei. Un brindisi marchigiano con i vini di un grande vignaiolo che già conoscete bene, Gianluca Mirizzi, che ha festeggiato Fiorella con la sua Azienda Montecappone. Questo è solo il primo passo di una maratona che la porterà molto lontano. Fra poco mi vedrete con une robe tutta per me. Personalizzata con il mio nome. Questa e altre le ultime “follie sane” di Fiorella Ciaboco.

Lo showroom di Milano è in via De Cristoforis 5, la sartoria a Jesi è in via Ancona 116, tel 0731 605634, mailbox@sartoriafiorella.com

Carla Latini

Da Pedaso al Bulgari Hotel: la fulminante carriera di Alessandro Accinni, professione bartender

in Mangiare e bere/Senza categoria da

La mia natura mi porta a curiosare. Dove vedo marchigiano, nel mondo, io domando. Ho conosciuto Alessandro Accinni, splendido giovane di Pedaso dietro un banco bar di grande classe al Bulgari Hotel, che non ha bisogno di alcuna presentazione, a Milano. «Sono felice di incontrare un conterraneo in questo posto sublime, raccontami». Ed ecco a voi Alessandro Accinni. Se siete da queste parti andatelo a salutare. Gli lascio, volentieri, la parola. Leggerete una storia che potrebbe essere di esempio, senza retorica…

«Ho iniziato a lavorare a 14 anni come cameriere facendo le stagioni in una pizzeria di Pedaso, per poi approcciare la mia prima esperienza in un cocktail bar nel 2006, sempre come cameriere.. Nel 2008 incomincio a salire dietro il bancone nello storico Bar Gelateria Concetti di Pedaso e da lì parte una collaborazione stagionale che dura 6 anni. Una vera e propria seconda famiglia per me. Nel 2010/2011 intraprendo il corso di studi di infermieristica, corso che mi appassiona e coinvolge tantissimo, ma che mi sento di abbandonare 2 anni dopo per motivi familiari. Nell’ottobre 2013 partecipo ad un corso Aibes a Milano per migliorare e arrotondare le mie conoscenze. Corso che poi mi porta a contatto con alcune aziende del milanese. Il 18 dicembre 2013 ho io primo contatto con il Bulgari Hotel & Resorts di Milano. Ad aprile 2014 inizio il mio percorso che mi vede in sala bar come chef de rang e ad novembre 2014 salgo sul bancone del Bvlgari (non per mia scelta ma per esigenza dell’azienda) con umiltà e paura di non essere all’altezza. Poi da lì piano piano ho iniziato a ritagliare i miei spazi e a poter dire la mia su tutti i fronti. Ad oggi la maggior parte dei clienti sa il mio nome e la gente passa al bar per salutarmi anche se è seduta a bere fuori in giardino. Ed è la soddisfazione più grande… In questo momento sto anche frequentando il corso Ais e sono al termine del secondo livello».

Come vivi a Milano?

«Qui si sta bene, la città offre molto sotto tanti punti di vista. È sicuramente una città che ti mette in contatto con il mondo e ti da possibilità di imparare tanto e di crescere sia come professionista ma sopratutto come persona. Però un pedasino Doc, come me, sente tanto la mancanza del mare».

Un tuo cocktail?

«Fusion: Vodka – Sake – Ancho Reyes – Sloe gin Lemongrass syrup – lime juice».

Il tuo sogno?

«Tornare in patria e non vivrei in un altro posto se non nella mia Pedaso, anche se potrei lavorare fuori dalla mia città. Ma purtroppo le possibilità, fuori dalla città, sono, ahimè, limitate ed è difficile esportare un certo tipo di mentalità. Magari tra qualche anno sarà fattibile. Ogni volta che torno giù mi rendo conto di quanto questo mio sogno sia difficile da realizzare. Ma un posto dove tornerei a lavorare anche domani è il bar dove son cresciuto, il bar della famiglia Concetti».

Cosa vuol dire Mixologist?

«È un termine inventato che forse non è nemmeno mai esistito: il mixologist non è nient’altro che lo chef dietro al bancone. È il bartender che riproduce ed interpreta le ricette dei cocktail e ne inventa di altre. Ma sopratutto è colui che si prende cura del cliente e che fa da tramite tra lui ed una piacevole esperienza. Perché il cocktail, come un buon piatto deve essere un esperienza. Concludo dicendoti che l’importante è essere sempre se stessi (nel lavoro come nella vita), non bisogna preoccuparsi di piacere per forza alle persone. Essere veri e genuini è il miglior modo per essere apprezzati».

Bene! Grazie Alessandro… Dalle Marche e da Pedaso verremo trovarti…

Carla Latini

Pronti alla “prova costume di vita”? Ci aiuta il Tao del dottor Mariani

in Mangiare e bere da

Il Tao del dottor Mariani, di cui vi ho scritto prima di Natale QUI, è diventato uno spettacolo teatrale che si ascolta e si guarda, per due ore senza sosta, con gli occhi puntati su di lui. Lui che è se stesso e trasmette amore, la principale “medicina” della vita. La mia amica Hilde Soliani è scesa da Parma ad Osimo, teatro della presentazione, curiosa di conoscere Mario. Un incontro tra amici comuni che festeggiamo con un “aperiTao” di prodotti freschi, locali e stagionali. La filosofia che il Dott. vuole trasferirci. Apro una parentesi per scrivere un grande “Brava” a Maria Cesarini che ha organizzato tutto. A Osimo ha un negozio erboristeria che, definire così, è riduttivo. Si chiama l’Essenza. Maria segue Mario da anni, dal metodo tre M ad oggi.
Ad oggi che c’è il Tao, la storia della vita di Mario. Il suo percorso di studi, le sue passioni, la famiglia. Non voglio raccontarvi lo spettacolo nei dettagli, perché ogni volta è diverso. Dovete andare a vederlo (prossima tappa marchigiana Senigallia, vi avverto).
Mario sa come calcare il palcoscenico. Da navigato deejay. La musica dell’ecodoppler ha dato un senso alle sue scelte. Che emozione sentire attraverso un amplificatore il suono ed il ritmo della vita! Durante lo spettacolo di Mario potrebbe intervenire Fiorello e nessuno si meraviglierebbe.
Mario vuole eliminare il Tao nero e ne fa capitoli nel suo libro. Il Tao nero è nascosto dove non penseresti che esista. Anche nel tuo “buon senso acculturato”. Perché se evitiamo l’olio di palma attraverso un’attenta lettura delle etichette, poi ce lo ritroviamo nei saponi, nelle creme e in tutti i prodotti che ci “ungono e detergono” piacevolmente. Noi e i nostri figli. Così come avviene con i metalli cattivi che sono nei terreni e nell’aria. Cosa sono i nitriti e i nitrati che fanno diventare rossi paonazzi i salumi dei nostri centri commerciali? Veleno. Tao nero. La terra si ribella. Mario ci fa vedere video che nessuno è mai riuscito a portare nei nostri comuni canali media. È la Cnn indonesiana. Sono le nuvole nere che offuscano il sole. Che noi respiriamo.
Evitare i cibi lavorati industriali è il primo passo. Mario mi trova d’accordo da sempre. Il pubblico partecipa con calore. Applaude. Sono giovani donne e uomini, immagino mamme e papà futuri e attuali. Sono felice. Per Mario e la sua battaglia senza sosta. Per tutte le persone che, stasera, hanno capito qualcosa in più.
Pronti per la “prova costume di vita” MMM, Mauro Mario Mariani? Pronti a Mantenere la Massa Magra? Il Dott. predica di mangiare con le tre C. Come Cristo Comanda. Come diceva nonna. Oppure bis/nonna. Scherzi a parte, è la verità scritta nel Tao. Quindi abolire i cibi industriali lavorati. Tutti. Mario affronta il danno senza ma. Contro e basta. Contro “Palmella” che piace al mondo. Contro il cibo spazzatura che regala ai nostri bambini colesterolo e diabete in numerose monodosi nascoste in bibite zuccherate e “ricche” di gadget. Tao nero – il più cattivo di tutti – è il fumo. Ma, ahimè, sono in tanti ancora a non averlo capito.
Alla fine Mauro Mario Mariani ci dice che il Tao bianco – evviva – c’è! Ci farà solo bene: mangiare poco e spesso frutta e verdura locale, stagionale e fresca, qualche volta cotta, legumi ad ogni pasto, basta un pugnetto, cereali, tutti, e variare dalla pasta, al riso, alla polenta, al farro, all’orzo; olio evo monovarietale e locale, un cucchiao a pranzo e cena crudo; il pesce pescato (Mario gioca scrivendo quello che peschi tu!) il pollo che razzola bene (quello che spenni tu!). E poi frutta secca che non deve mancare mai. Formaggi, uova e carni rosse una volta a settimana ma che siano di fornitori di fiducia. Vino? Poco e buono. È la dieta mediterranea che gli atenei americani hanno fatto propria. È la dieta di casa nostra. Dei ritmi che non ci sono più. Che faremo poca fatica a riprendere. Senza esagerare. Il bello della ‘prova costume di vita di Mariani’ è che ti senti bene strada facendo e non torni indietro. Tutti belli come il sole e pronti per la “prova costume”!
Per avere più informazioni chiamate Maria Cesarini al 071 718044 info@erboristeriaessenza.com

Carla Latini

Il segno di Giancarlo Vitali negli “Occhi di Testori”. La mostra ad Urbino

in Arte/Cultura da

Il segno di Vitali negli occhi della poesia. Ad Urbino, nella “Casa della Poesia”, è in scena la mostra dedicata all’ultimo pittore. Come Vittorio Sgarbi ha definito Giancarlo Vitali.

Ero lì. Ho ascoltato in silenzio ed ora vi scrivo perché non potete non andare a vederla. A parte che adoro quest’uomo. Le sue pennellate decise, la sua ironia delicata. Un mito vivente. Sono rimasta colpita da questo luogo che non conoscevo. Un luogo dove la fragile ma eterna forza profetica della poesia ha trovato un ambito. Uno spazio museale, ch’è una “CASA” tutta sua, intima ed emblematica. La poesia va in mostra a Urbino con una stagione di eventi culturali di folgorante trasversalità e osmosi con le altre arti. Appena chiusi i battenti della mostra dedicati ai carteggi poetici di Ungaretti e ai rapporti personali e artistici che Guglielmina Otter, fotografa di verità e disegnatrice di minuziosa ma non calligrafica introspezione, è la volta del pittore di Bellano (o “il bellanasco”, come lo definì con felice epiteto riferito all’antico, il suo scopritore e mentore Giovanni Testori) Giancarlo Vitali, classe 1929, una vita votata al genio della pittura.

E proprio dal rapporto di reciproca ammirazione e di profonda amicizia di questi due protagonisti del Novecento prende abbrivio la mostra fortemente voluta da Vittorio Sgarbi e curata da Luca Cesari. “Occhi di Testori. Giancarlo Vitali e la poesia” è il titolo della mostra che in tre sale ripercorre alcuni momenti paradigmatici del loro rapporto umano e professionale. La critica è unanimemente concorde nel riconoscere ai ritratti che Vitali fece all’amico il massimo raggiungimento di realismo introspettivo. E così, proprio nella prima sala, la mostra si apre con l’esposizione di 5 opere, fra tavole e tele, che restituiranno ai visitatori il volto intenso, sofferto e pensoso del grande intellettuale lombardo. Si prosegue poi con uno fra i paradigmi dell’arte di Vitali, con uno dei suoi temi più identificanti: la carne scuoiata, sacrificata sull’altare della nostra atavica fame. Tema sentito fin dai tempi di Rembrandt e, negli ultimi decenni, ripreso con risultati arditi e sorprendenti da Bacon e da alcuni protagonisti della pittura europea e americana contemporanea.

toro vitali tycheLa mostra espone uno dei Tori Squartati, dipinti da Vitali nel 1984, origine e ispirazione del Trittico del Toro, tre straziate e bellissime poesie dello stesso Testori che costituiscono un raro quanto prezioso documento artistico di riflessione sulla umana ferocia, accompagnate da un’incisione di Vitali, che, anni dopo ritornerà sul tema con la cartella Souvetaurilia, anch’essa in mostra (prefazione Carlo Bertelli). Nella terza e ultima stanza l’arte incisoria di Vitali entra in relazioni con la poesia di Franco Loi e Giancarlo Consonni, con cui, negli anni ha realizzato importanti libri d’artista e cartelle d’incisioni a tema, commentati, o meglio dire disvelati, dai modi poetici di questi due protagonisti della poesia italiana contemporanea.

La “Casa della poesia” è curata da Luca Cesari ed è a Palazzo Bonaventura Odasi, in via Valerio 1. La mostra dura fino al 29 maggio. Per sapere tutto di più su Giancarlo Vitali ecco il suo sito. www.giancarlovitali.com. Andate e mi ringrazierete!

Carla Latini

I marchigiani al Cibus di Parma, la più importante fiera biennale del food

in Mangiare e bere da

I marchigiani al Cibus di Parma, la più importante fiera biennale del food. Questa fiera continua ad attirare importatori da ogni parte del mondo. Fedeli e affezionati europei, americani, australiani, thailandesi, giapponesi, indiani, cinesi. Il Made in Italy, quello vero, «continua a funzionare», mi dice Marcelo Antoniolli che viene da Manchester.

cibus tycheI marchigiani a Parma ci sono, ma non ci sono le Marche. Nel senso che non c’è la Regione in veste ufficiale. Come è successo, invece, a Vinitaly, a differenza di altre che sono presenti, concentrate nel padiglione 8. Qui trovo i marchigiani-artigiani. Pastai all’uovo come Aldo, salumifici come Saporito salumi. Hanno stand affollati ma mai come la Regione Puglia o la Regione Friuli Venezia Giulia. Così, insieme, ad un amico italiano, Massimo Vidoni, che ha lavorato negli Usa e che ora è il re del tartufo fresco a Dubai, andiamo alla ricerca dell’agro-alimentare marchigiano che tanto piace all’estero. Io so chi sono ed anche lui. Mappa in mano e partiamo. Al padiglione 6 troviamo Maurizio Giacchetti patron dell’Ortoconserviera Cameranense. Sott’olio e preparati di ottima qualità. Gentile, Maurizio esce dallo stand per salutarmi poi rientra veloce. Sta conducendo una degustazione con i buyer di un grande gruppo americano. Faccio una foto e catturo la tensione positiva che sempre tensione è, che vive dentro i protagonisti di una fiera così importante. Dove, come in tutte le grandi fiere, prendi 6 appuntamenti per la mattina e forse diventano 8 oppure solo 4. Dipende anche dal tempo che ci vuole per entrare e parcheggiare. Come per Vinitaly a Verona, per Parma vale la stessa identica polemica. Fiera vecchia, per passare da un padiglione all’altro si esce all’aperto. Il giorno che ho scelto era quello delle grandi piogge “tropicali”. I cellulari prendono poco… insomma disagi su disagi che non tolgono il sorriso a chi da dentro lo stand aspetta visite commerciali.

Quattro passi più in là saluto gli amici di Acqualagna tartufi. Un nome che, non meno di Alba, vuol dire nel mondo tartufo di pregio. Loro, credo, siano stati fra i primi nelle Marche a produrre creme e condimenti, oli e burri che permettono di conservare al meglio i profumi ed i sapori del “diamante grezzo della terra”. Come lo chiamò Raffael Garcia Santos durante uno degli ultimi appuntamenti de “Lo mejor de la Gastronomia” a San Sebastian. Ed a proposito di tartufi voglio salutare dei miei amici che hanno il brevetto dell’olio al tartufo realizzato per osmosi. La loro è stata una scommessa vincente che ha riconciliato il mercato mondiale con l’olio artigianale al tartufo. Vengono da Arezzo, si chiamano Boscovivo. Perdonate la parentesi non marchigiana ma è giusto ricordare chi ha cominciato in questo filone.
Cammina cammina… eccoci al padiglione 3. Con Massimo mi sono già lasciata da un po’ per passare sotto le ali protettive di Paolo Paciaroni che è qui con la sua brigata per uno show cooking. Mi porta da Baldi Carni. Avete presente l’uscita di Monsano sulla superstrada per Fabriano? Baldi Carni è lì. In fiera conosco Luca Scorcella, nuovo direttore commerciale. Un ragazzo giovane e pieno di quell’entusiasmo trascinante di chi ha in mano un progetto nuovo. Vuole parlarmene ma non c’è tempo. Assaggio però i nuovi hambuger tutti Made in Marche. Tanto di cappello ragazzi! Finalmente il mio telefono ridà segni di vita. Marco e Beppe, amici italiani che affrontano il difficile e complesso mercato di Malta, sanno che ci sono e vogliono darmi un bacio. Ci becchiamo alla Quack, sempre al 3, salumi e prosciutti d’oca. Appunto Quack. Ritorno all’8 da dove ero partita e mi fermo per un succo di frutta vera con Maurizio Curi della Golosa di Montelparo a Fermo. Già incontrato a Taste ricordate? Parliamo di costi e di quanto sia impegantiva questa fiera. Come vi ho scritto da quando mi conoscete ammiro il coraggio individuale dell’agro-alimentare marchigiano. Di tutti quelli che c’erano. Il prossimo Cibus sarà fra due anni. Mi auguro di vedere all’8 uno spazio tutto Marche.

Carla Latini

 

Maria De La Paz tra i fornelli della Prova del Cuoco: prossimamente nelle Marche?

in Mangiare e bere/Senza categoria da

Maria De La Paz, alla Prova del Cuoco su Rai1 regala il suo sensuale ed energico amore per la cucina. Prossimamente nelle Marche?

«Se se semo beccate», visto che lei ora vive e lavora a Roma è il modo più diretto, dopo diversi tentativi. Io sono paziente. Poi una sera di alcuni giorni fa, prima di cena mi suona il cellulare. Eccola è lei. Adoro il suo italiano addolcito dall’accento colombiano. Adoro la sua generosità nel darsi. Che bella persona che è Maria. Sa che dobbiamo parlare di Marche e delle Marche. Io mi sento un po’ imbarazzata, la conosco poco e non so se è informata sulla nostra regione. Lei non è imbarazzata, anzi. E parte come un treno ad alta velocità. Mi racconta che frequenta le Marche per tanti motivi. Come l’amicizia con Kruger Agostinelli, il nostro direttore. Maria ama il mare e la montagna. Ama le Marche perché ci sono entrambi. Ha lavorato diversi anni in Umbria in una situazione che definisce molto bella. Poi anche le cose belle finiscono. Forse perché troppo belle per essere capite?

Mentre parliamo percepisco un fondo di delusione nelle sue parole. Rimpiange di aver fatto scelte sbagliate. La consolo con il “retorico” chi non le ha fatte? Ma chi le ha fatte ne soffre ancora. Inutile nasconderlo. Parliamo di sogni che potrebbero avverrarsi. E parliamo di San Benedetto del Tronto, che le piace tanto. Le piace la cultura contadina fra terra e mare. I prodotti che le colline e le montagne offrono. Mi confida che vorrebbe fare di più alla Prova del Cuoco. Una cucina che le somigli meglio. Ma le leggi dell’auditel vanno rispettate e così, come dice lei ridendo, si fanno involtini. Ma i suoi. Che tutti possono fare. Conditi con il suo sorriso. Che buca lo schermo. E la sua voce buca il telefono. Un futuro marchigiano magari ci sarà. Noi tutti la vorremmo qui. In un ristorante sul mare a cucinare le sue fantasie. Coinvolta dal suo entusiasmo tenero e sincero le chiedo una ricetta marchigiana. Una che le piace e una che le piacerebbe fare. Della tradizione non scarta alcuna preparazione. Che sia terra o mare. Poi scendiamo nello specifico e mi illustra, passo dopo passo, la sua ricetta del collo di maialino grigio arrosto: il collo del maiale non viene mai utilizzato. È fibroso, costa poco ed è tenero. Lo chiedi al tuo macellaio senza osso e ti fai dare il pezzo intero. Poi lo leghi e lo insaporisci con tutti i condimenti tipici dell’arrosto marchigiano e lo cucini, se puoi, a bassa temperatura a lungo. O brevemente al forno. In una padella fai un caramello di birra artigianale marchigiana. Ne ho conosciute tante e sono molto buone. Il caramello serve sopra la carne che dovrà poi essere affettata. Come contorno e per grassare il nostro arrosto sto pensando alla carciofina che si trova adesso, agli asparagi e alla bietolina da taglio. Ma la testa mi va alle carote viola ed alle carote arancioni. Che nelle Marche, a sud, vengono coltivate. Vanno pulite con il pelapatate e le bucce messe nel fondo della teglia dell’arrosto. Perché non si butta niente. Tagliate sottili, quasi trasparenti a julienne e condite con una vinaigrette di olio evo, mostarda, lime, sale e pepe. Attenzione ad assaggiarla e aggiustarla prima di condire le carote colorate. Perché la mostarda è sempre molto salata. Immaginate che buono il maialino e le sue carote colorate che lo sgrassano ed esaltano.
Immagino e proverò a farlo. Lo faremo tutti. Maria De La Paz, le Marche ti aspettano con le braccia spalancate. Questa è casa tua! Facci sapere!

Carla Latini

 

Saturnino si racconta a Tyche: “In principio era il violino…”

in Senza categoria da

«Ma quali domande scritte, vi passo a trovare in redazione». È stato di parola Saturnino Celani, in uno dei suoi ritorni in terra marchigiana. Era piacevolmente divertito per aver provato un basso Warwick nella vicina Recanati, nella sede della Eko. Uno strumento fatto apposta per lui. E poi come un fulmine a Civitanova grazie all’amico comune Henry Ruggeri, nella nostra redazione per un bel pomeriggio fatto di parole. Saturnino è così, entusiasta delle novità ma anche solidamente ancorato alle amicizie.

Saturnino, come nasce l’amore per il tuo strumento: per convinzione o per necessità?

«Mah, tutte e due le cose che hai detto. Ho iniziato studiando il violino, perché è uno strumento che piaceva molto ai miei genitori, tanto che ne avevo tre in casa. Ma non lo avevo esattamente scelto. Il basso è lo strumento della presa di coscienza e quando ho iniziato a suonarlo me ne sono innamorato. In realtà ho cominciato perché il bassista del gruppo del mio quartiere era partito per il servizio militare. Il mio più grande desiderio era far parte di quella band, del loro entourage: mi piacevano talmente tanto che avrei anche fatto il fonico, aiutato a trasportare gli strumenti. Quindi mi avevano detto che se riuscivo a tirare giù il repertorio in una settimana ero dei loro. Devo dire che il violino, anche se non lo avevo scelto, mi ha aiutato tantissimo. E poi ho la fortuna di essermi avvicinato al basso senza passare prima dalla chitarra».

Il basso spesso non sembra uno strumento principale. Tu stai diventando una bella icona in questo senso. Bella soddisfazione, non credi?

«Ho avuto la fortuna comunque di essere entrato in un contesto musicale dove mi è stata data grande possibilità di espressione. Sai, quando hai modo di esprimerti con “volume alto”…».

Da un passato giovanile di musica classica al rock, jazz e funk del presente. Quali sono i tuoi veri gusti musicali da ascoltatore?

«Sono molto vasti, quasi schizofrenici. Quando dieci anni fa partivo in macchina mi portavo un caricatore intero di cd. Adesso invece, grazie alla tecnologia, mi piace perdermi nell’ascolto “random” di quello che ho nel lettore. Sono abbastanza trasversale».

Cosa ti stimola per un tuo futuro ipotetico lavoro da solista, che se leggo bene manca da 16 anni?

«Non ho in previsione nessun lavoro da solista, ma oggi registrare qualcosa è diventato molto semplice. I tempi si sono ridotti e se hai padronanza del mezzo e le idee chiare in una settimana, massimo dieci giorni, inizi già a buttare giù qualcosa».

Saturnino è il pianeta marchigiano nel sistema solare Jovanotti? Insomma è meglio diversificare in un gruppo la propria appartenenza geografica per fare un sound più variopinto, oppure nel tuo caso si è trattato di affinità elettive con Lorenzo?

«Arrivo dalle Marche ma mi sposto su Milano come lui dalla Toscana. Alla fine abbiamo come punto in comune il posto dove siamo stati accolti. Ancora oggi Milano rimane il centro dove succedono delle cose. Il proprietario dello studio dove Lorenzo stava registrando “Una tribù che balla” gli segnalò la mia esistenza. La cosa bella è che prima di suonare ho parlato con lui un’ora e mezza di quelli che erano i gusti musicali, il mio background. È stata una sorta di colloquio essendo lui una persona estremamente curiosa. Dopo che ho suonato il primo pezzo, l’assolo di “Libera l’anima”, Lorenzo mi ha chiesto se ero libero per i prossimi mesi. E da quei sei mesi sono passati 25 anni. L’affinità si è vista da subito».

INTERVISTA COMPLETA NEL VIDEO QUI SOTTO

Kruger Agostinelli

(Nella gallery la visita di Saturnino alla Eko. Foto di Henry Ruggeri)

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Tiromancino promossi, ora un tour estivo dal sapore di mare. Torneranno ad agosto al Tyche Festival

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E meno male che era la data zero di “Nel Respiro del Mondo Tour”, perché al teatro di Cagli i Tiromancino sono stati avvolgenti dalla prima all’ultima nota. Considerando che questo concerto non potrà che migliorare, siete avvisati: è uno degli spettacoli imperdibili di quest’estate. Le premesse c’erano tutte sin dal lancio di “Piccoli miracoli” e Federico Zampiglione è in un periodo creativo straordinario. Riconoscibilissimo in ogni sua canzone, ha dentro di se quella musicalità che ha reso grande il pop italiano di alto livello, quei sapori che ci fanno ritornare in mente sia Battisti che Battiato. Un valore aggiunto in questa scena moderna dai lontani sentori di un eccellente pop elettronico anni ’80. Proprio Federico cita con emozione Franco Califano, Roberto Ciotti e Lucio Dalla come suoi ispiratori. Loro, senz’altro, ne sarebbero orgogliosi. La meravigliosa bomboniera del teatro di Cagli (a proposito, evviva i teatri marchigiani) è una cornice ideale per la musica vecchia e nuova dei Tiromancino. E su tutti lui, Federico, amabile frontman alle prese con un’infinità di strumenti che suona e nei quali nasconde delle citazioni rock, folk e blues. Dice di aver voluto dedicare il suo ultimo lavoro al mare: infatti ci sono onde in cui cullarsi con il corpo e con l’anima. Intanto Federico Zampaglione ha fatto una promessa solenne a se stesso per la data del 4 agosto, primo appuntamento del Tyche Festival che sarà inaugurato proprio dai Tiromancino: << Il giorno prima o il giorno dopo, se il tour me lo permetterà, 24 ore piene di vacanza nella vostra meravigliosa spiaggia me le farò volentieri>>.

Un grazie speciale per la collaborazione a Paolo Notari e Marco Poggioni.  Poi a seguire il video, che racconta tutto il resto.  Ricordiamo inoltre che è disponibile la prevendita per il 4 agosto a Civitanova Marche, 15 euro + prevendita, su CiaoTickets

Kruger Agostinelli

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