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Tyche Magazine - page 3

Tyche in viaggio a Vienna, appunti di una città mai invadente

in Itinerari/Racconti da

IMG_2562Vienna è ordinata, pulita, importante, tranquilla, silenziosa, tradizionale e mai invadente. Appunti di viaggio? Certo, è una buona abitudine ripassare con la mente qualcosa di diverso che c’è stato. Come in un diario cerco di appoggiare alcune sensazioni che mi sono rimaste attaccate a pelle nel corso di un blitz che con i responsabili di Tyche Eventi, direttore generale ed amministratore, ho fatto oltre i confini. Proprio quei confini da cui spesso si sente l’esigenza di uscire da una logica del quotidiano. E’ prematuro anticipare le strategie che hanno portato a questo viaggio. Ma posso anticipare che aiuteranno sicuramente per un salto di qualità nella programmazione artistica che prenderà forma dal prossimo ottobre nei venerdì serali del Donoma, il popolare locale della riviera adriatica a Civitanova Marche. E quindi mi concentrerò nell’intercettare altri curiosi dettagli che possono, in fondo, contraddistinguere anche qualunque vostro viaggio. Ci saranno delle similitudini? Della serie “mi sono accorto che” proprio il nostro direttore generale Salvatore nota con sorprendente attenzione un’assenza diffusa di piccioni, solo tre solitari pennuti in tre giorni. E vi assicuriamo che non ce n’è traccia in nessun menu. Da parte mia, considerando le mie attuali abitudini, aggiungo che pure i cani a spasso sono pochissimi. Saranno misteri metropolitani? Va meglio al nostro amministratore Mimmo che va a caccia della Vienna imperiale e non rinuncia neppure alle tracce di Mozart. Quindi si è meritato di atterrare piacevolmente sulla golosa ed inimitabile sacher torte. Maurizio, un consulente della società, rincorre il suo cognome e lo trova insieme a Salvatore in una roulette di un mini casinò. Ah dimenticavo, si chiama Della Fortuna. Ma la notizia vera è che io, almeno una volta, non ho perso al gioco. A Lavinia, responsabile della segreteria, tocca la scoperta, non proprio comoda ma funzionale, del taxi a cinque posti, attraverso uno strapuntino che per incanto si materializza nell’auto. Il suo fisico si adegua impeccabilmente, una missione che sarebbe stata impossibile per tutti gli altri robusti maschietti presenti. Il divertimento è saggio in qualsiasi occasione e noi ne facciamo buon uso. La pioggia ci diverte, soprattutto nella sua unicità a dispetto delle previsioni che pure in Austria non ci prendono proprio. Ci siamo bagnati una sola volta per salire su un taxi. Poi l’invito a pranzo a casa di un importante amico austriaco, sono degni della migliore macchietta italiana. Mangiare maccheroni poi successivamente affogati con un sugo di cozze e vongole mette di buonumore qualunque comitiva italiana. Insomma, per ridere non c’è bisogno solo di Checco Zalone, siamo bravi anche da soli. E poi il mangiare, da sempre un termine di paragone irrinunciabile per chi ha la fortuna di vivere in Italia. Le birre assaggiate non sono niente di entusiasmante, compresa quella sapientemente spillata nella più antica e rinomata birreria di Vienna. Ottime le carni, sia il gulasch che la cotoletta impanata alla viennese, ovvero la giustamente rinomata Wiener Schnitzel. Perplessità sui würstel, soprattutto quelli affumicati, che per molti di noi, si sono rivelati sempre molto ostili ad essere digeriti. Per il caffè stendiamo un velo pietoso. Delizioso invece lo strudel opportunamente imbevuto da una calda crema alla vaniglia. Come ci si muove? I taxi hanno vita facile, il traffico è sopportabile, un po’ meno i semafori che sembrano sincronizzati sul rosso. Mentre stazione, metro ed aeroporto risultano puliti ed efficienti ed i loro mezzi di locomozione moderni ed affidabili. Proprio dalla stazione notiamo, anche se tendente all’ordinato, i primi segnali degli attuali turbamenti del vecchio continente. Dall’Ungheria arrivano i primi profughi. Tutto qui? Certo che no. Il raggio di sole c’è e splende non a caso in un interessante luogo di cultura, fra le contaminazioni artistiche di opere del recente novecento, nel Mumok, il museo di Arte Moderna della capitale austriaca. A proposito visitatelo, dove due ragazzini si mettono tranquillamente a scarabocchiare disegni proprio di fronte ad una classica opera di popart. Salvatore mi guarda e sorride. Ecco l’istante di uno scatto da cogliere, il segnale di una speranza o semplicemente l’intuizione del destino…

Kruger Agostinelli

Tyche, l’opportunità per sconfiggere l’indifferenza

in Cultura da

<<Vi suggerisco di soffermarvi su quel quadrato esterno rosso, in una direzione volutamente esclamativa. Perché? Quelli siamo noi della redazione TYCHE alla costante ricerca di notizie capaci di generare vivacità nei sensi>>. Scrivevo così nel pezzo di apertura del nostro magazine, nel tentativo di spiegare il significato della nostra missione. Una specie di polo di energia sotto la scritta Tyche, quel termine che è nella mitologia greca la divinità della fortuna.

Ecco, quel quadrato rosso che oggi vedete emergere in prima pagina non è una sorta di “Gratta e vinci” ma è la concreta convinzione che solo il pensiero, il ragionamento, l’entusiasmo, i desideri, la creatività, il cuore che si emoziona e, perché no, la legittima ambizione, possono sconfiggere la palude dell’indifferenza, del tira a campare. Raccontiamo storie e pensieri di chi ce l’ha fatta e di chi ce la vuole fare. Raccontiamo di come è bello il nostro territorio ma anche di chi va fuori da questi confini e continua a provarci. Raccontiamo di eccellenze e di tendenze. Insomma cerchiamo di intercettare tutto ciò che determina un movimento, un’onda, un sussulto. Tyche è per noi l’identificazione della fortuna più grande che ognuno di noi può incontrare. L’opportunità.

Kruger Agostinelli

Tra i piatti del Focolare di Roma nascono i copioni dei grandi film italiani

in Cinema da

Roberto Stagnetta non è marchigiano ma “romano de Roma” da quando c’era la guerra. Ovvio non lui ma il nonno che già aveva aperto l’osteria nel quartiere Monteverde vecchio. Uno dei più verdi e vivibili di Roma. Scrivo che Roberto non è marchigiano perché mi sento quasi in dovere di giustificare questo pezzo che voglio dedicare a lui. Roberto è marchigiano di assoluta adozione. Amico di “biberon scolastico” di Kruger Agostinelli (che ha avuto l’infanzia di origini romane). Quando il nostro direttore si è trasferito, causa lavori familiari, a Falconara, Roberto non aveva ancora la macchina, prendeva il treno e veniva da Kruger. Entrambi 17 anni. Decenni fa. Roberto ama le Marche. Va così che per Tyche è un personaggio da leggere.

L’Osteria venne aperta durante la guerra. Minestre, spezzatini e tutto quanto poteva essere offerto e cucinato all’epoca. Rimane quasi così, nel senso dell’offerta classica romana, finché Roberto non ha l’età (e soprattutto l’età della ragione) per capire che bisognava alleggerire, togliere senza stravolgere. Le mie orecchie ascoltano storie già sentite: <<Non è stato facile convincere i miei ad abbinare ai pesci le verdure ed i legumi. Sempre nel rispetto dei piatti storici>>. Ora il Focolare è famoso perché sono in tanti ad andarci per i suoi numerosi antipasti. Si vivrebbe di antipasti. La posizione, casuale durante la guerra e strategica ora, gode delle persone che, bontà loro, abitano lì vicino o hanno poca strada da fare. Scrivo persone ma potrei scrivere la parola terribile che rende l’idea, ovvero, Vip. Non i Vip quelli portati dalle agenzie stampa pagate. Ma persone vere e importanti del mondo del cinema e dello spettacolo che sono solo amici del Focolare. Per Carlo Verdone, Roberto, nutre una profonda amicizia e anche una sorta di riconoscenza. <<Tutti pensano che Carlo sia uno fissato sui farmaci e medici e che sia di quelli che se stai poco bene ti consiglia un farmaco piuttosto che un altro. Carlo è uno che approfondisce e studia. Grazie a lui ho fatto degli altri esami che nessuno voleva prescrivermi ed ora sono qui che te la racconto>>. Sdrammatizzo e chiedo: ma Verdone cosa ama mangiare? <<Carlo è perennemente a dieta ma poi in effetti non è così. Ama gli antipasti di verdure che non devono mancare mai. E apprezza anche un buon primo piatto condito con vongole o pescato del giorno>>.

Ospite fisso è anche Roberto Benigni. Fin da quando non lo conosceva nessuno. Roberto Benigni ama mangiare un primo di pesce. Ed è un rispettoso e gaudente buongustaio. Se gli viene offerto da assaggiare un nuovo olio accetta molto volentieri. Tramite Benigni al Focolare sono diventati clienti fissi e fedeli i fratelli Bertolucci. Roberto per tutti loro, da Verdone ai Bertolucci, è come uno di casa. Li coccola, andando al mercato personalmente a scegliere le verdure, le puntarelle ed i pesci preferiti da ognuno, e “apprende” dalla grandezza delle loro esistenze. La cultura, la passione. Il sapere.

Torniamo ai Bertolucci. Bernardo mangia soprattutto pesce e antipasti. Roberto mentre siamo al telefono – orma da quasi subito ho smesso di fare domande, tanto parla lui – ripete più volte che Monteverde vecchio non è un quartiere di passaggio. Le persone lì o ci vivono o ci devono andare. E lui, estate, inverno e mezze stagioni è sempre sold out. Sarà che l’idea, ormai datata di qualche anno fa, di unire pesce e verdure è stata vincente. Badate bene giovani leve, qui si parla di tempi passati nei quali unire un gambero ad una zucchina e passarci una spolverata di pecorino era quasi una “bestemmia” gastronomica. Ora latticini e pesce crudo e verdure ed emulsioni e frutta e croccanti consistenze sono reperibili ovunque. Dipende poi come sono accoppiate. In cucina al Focolare c’è sempre stato un cuoco. Roberto è in sala. È il jolly strategico che passa dal mercato la mattina presto alla cassa la sera tardi. Il cuoco del Focolare ora si chiama Andrea ed è figlio d’arte. Nipote di nonno Stagnetta nonché figlio di Roberto. Con la discrezione, il tatto e il voler stare in una sorta di secondo piano, Roberto esprime sul figlio Andrea poche ed essenziali opinioni: <<E’ capace di fare 100, 200 coperti senza perdere la calma né la costanza dei piatti. È molto apprezzato dai cuochi stellati che ogni tanto lo chiamano. Lui va, impara e poi torna a casa. Tanto per farti capire (ed io ho già capito!) Andrea è bravo a fare “i ricami” ma non solo quelli. Quando la sala è piena ci vuole una grande professionalità>>.

Voglio concludere il mio pezzo su Roberto con alcuni cenni culinari. Cosa mangio al Focolare se vengo da te stasera (magari!)? <<Crocchette di baccalà, mazzancolle in crosta di mandorle e confettura di cipolla rossa (gettonatissime ed inventate dalle menti del Focolare), seppioline con carciofi e mentuccia… Pensa che ci sono persone che vengono qui solo per gli antipasti. Andrea è capace di farne anche 20 diversi. Durante quest’estate così calda, uno dei più richiesti è l’insalatina fresca di salmone crudo con avogado, zenzero e rafano>>. Poi ci dilunghiamo un po’ e ne vale la pena per reclamare, mai verbo è stato più azzeccato, la “paternità” dello zabaione caldo con le fragole. Circa 30 anni fa, a NYC, il giovanissimo Roberto è insieme alla delegazione italiana a cucinare per uno dei tanti eventi che si fanno e, da notare, si facevano anche allora. Un pasticcere piemontese propone un abbinamento simile e Roberto lo porta a Roma, nel ristorante del padre. Poi tanti lo hanno copiato. Oggi, sulla targa poche righe incise ricordano che lo Zabaione caldo con le fragole è nato qui.

Carla Latini

Michele Biagiola e gli spaghetti da leggere e da gustare

in Libri da

 

La naturale conoscenza della terra, di erbe aromatiche, misticanze e di quanto un orto (preferisco dire campo) ci può offrire in fatto di ricchezza di sapore e di verde, è il tesoro che fa grande la cucina di Michele Biagiola. Non un recupero di ricordi, permettimi Michele, ma un mantenere sempre vivi i ricordi. Io la vedo così.

A Futura Festival, in un incontro condotto da Valentina Conti, Michele prima di tutto ha parlato di portulachia, che si chiama così perché era l’erba che infestava i gradini dell’entrate dei portoni delle case di campagna. L’anno scorso avevo la portulachia in terrazzo, trapiantata in un grande vaso. L’avevo presa dal campo ma lei ha preferito tornare sul campo. Selvaggia come deve essere. Confermo, per chi non l’ha mai mangiata, che è un erba saporitissima con foglie carnose e “cicciotte”. Ottima da fare in insalata insieme a tante altre erbe spontanee ed aromatiche oppure anche cotta. Saltata in padella con cipolle, carote, peperoncino e dei ciliegini. Con la portulachia Michele Biagiola fa gli spaghetti più buoni del mondo. Spaghetti artigianali marchigiani con tante erbe diverse, cotte o crude, e fiori eduli. Il libro di Michele si intitola proprio “Spaghetti”. Perché sono gli spaghetti italiani ad essere conosciuti al mondo e non la “generica pasta”. In Giappone per dire pasta si dice ‘Spaghetti’.

Nel libro ci sono i segreti per riconoscere gli spaghetti artigianali da quelli industriali. Consigli per la cottura (che condivido appieno!) e ricette più o meno facili. Sicuramente ri-fattibili.

Valentina, che ammette di riuscire a far seccare anche il cactus che ha in balcone, è molto incuriosita: <<Tu sei magro Michele e mangi tanta pasta?>>. <<Si mangio spaghetti tutti i giorni. Ma la pasta non ingrassa>>. Da qui in poi, se prima mi era piaciuto molto, ora non posso non fare un solitario applauso spontaneo!

Michele sfata il “mito” della pasta risottata. Racconta che diverse sue amiche/clienti risottano la pasta pensando di fare una cosa intelligente. La pasta risottata trattiene tutti gli amidi e diventa troppo pesante da digerire. Basta una semplice mantecatura di uno, massimo due minuti, nel condimento ben caldo e fuori dal fuoco. Se gli spaghetti sono scolati ben al dente e sono dei grandi spaghetti artigianali il gioco è fatto. Concordo.

<<Come vedi il futuro del mondo della cucina?>>. Michele ammette che per fortuna se ne fa un gran parlare. Un fenomeno mediatico che non finirà presto. Ma oggi abbiamo tutti poco tempo a disposizione e finiamo sempre nel solito supermercato. Nemmeno lui che è un ricercatore di “cose buone” qualche volta riesce ad andare dal produttore a fare due parole per imparare ancora e crescere. <<Sei pessimista?>> gli chiede Valentina. <<No sono realista>>. Michele vorrebbe che la sua portulachia diventasse il simbolo della terra che vince sul consumismo e sulle leggi di marketing.

Per me lo è già diventata.

E quando Valentina gli domanda quale ricetta cucinerebbe alla persona che ama, risponde serio:

<<I miei spaghetti con verdure cotte, fiori e verdure crude. Stasera quando andate a casa raccogliete le erbe del vostro balcone, cucinate dei buoni spaghetti artigianali, conditeli con olio extra vergine e con tutte le erbe. Non importa in che percentuale. Fatelo. Sarà un piatto magnifico per la persona che amate>>.

Abbiamo toccato il cuore del nostro chef. Michele qual è il tuo piatto della memoria? Michele non esita e subito risponde: <<L’insalata di cetrioli e pomodori che mi facevano quando ero piccolo. Ancora sento quel sapore in bocca>>.

La mia storia dedicata a Michele Biagiola per Futura Festival finisce qui.

Ora vado a casa a farmi una profumata insalata di cetrioli e pomodori, quest’anno, come conferma anche Michele Biagiola, sono buonissimi. E voi che mi avete letto ora dovete assolutamente andare da Michele nel Ristorante Le Case in Contrada Mozzavicci a Macerata.

C’è anche una pizza che non avete mai mangiato…

Carla Latini

Arcimboldo, “gustose passioni” nel libro di Ketty Magni

in Cultura/Libri da

Ketty Magni è una mia cara amica. Una scrittrice di gran talento e di “gustosa passione”. Complice Valentina Conti, sono stata coinvolta nella presentazione del suo ultimo libro dedicato ad Arcimboldo in occasione di Futura Festival.

Arcimboldo è il “pittore fruttivendolo”, tanto famoso durante il Rinascimento e poi dimenticato, perché forse non capito. La sua fama riprenderà con i surrealisti. <<Ma quanto è attuale oggi Arcimboldo?>>. Valentina inizia con la domanda di rito. E Ketty ci racconta di quest’uomo irruento e passionale. Pieno di energia, intraprendenza e generosità. Un uomo che era riuscito a ritrarre Rodolfo II, l’imperatore degli Asburgo, con una pera al posto del naso. Arcimboldo si vantava di entrare a Palazzo ad ogni ora del giorno e della notte. Aveva l’amore della donna più corteggiata e ambita del momento, Ludovica Crivelli, che morirà presto, lasciandolo nella disperazione. Era ambizioso a dismisura. Amava ostentare la sua arte. Fu molto popolare all’epoca. Divenne ricco con la sua arte. <<Attuale ora sicuramente si! Arcimboldo è uno dei simboli di Expo. È la natura che entra dentro l’uomo e lo fa diventare immortale>>. Ketty è innamorata della storia del suo Arcimboldo. Lo accarezza con le parole e lo protegge. È tenera quando racconta di come si innamorò di una povera fruttivendola e di tutto quello che fece per renderla felice. Nel libro sono descritti i pranzi sontuosi e le ricette pregiate che ne facevano parte. Erano tempi in cui le portate erano assolutamente ben confezionate. <<Si mangia prima con gli occhi. Ne sa qualcosa il nostro amico Gualtiero Marchesi>>. <<Ma come hai fatto a elaborare le ricette del tempo?>>. <<Segreto professionale. Ho le mie fonti. All’epoca si mangiava dolce, si condiva con miele, formaggi, frutta e verdura. Si cominciava già a bere del vino freddo. Erano molto bon vivant, gaudenti>>. Da qui in poi lasciamo Arcimboldo ai suoi teneri ricordi e parliamo di oggi. Ketty come me conosce tanti cuochi importanti. Quelli televisivi per intenderci. Quelli mediatici capaci di far diventare un piatto a tre stelle una semplice patatina fritta confezionata. Concordiamo, da sagge visionarie del fenomeno che c’è troppa esposizione. Sono anni che lo diciamo e anni che è sempre così. Anzi aumenta. Tutti oggi sono esperti di cibo e fotografano i piatti al ristorante. Lo faccio anch’io, lo ammetto. Ma perché sto lavorando. E mi vergogno anche un pochino. Però non annuso i piatti. Quello proprio no. Dal pubblico in fondo arriva un no tassativo riguardo il naso su i piatti. C’è un pubblico attento e critico al Futura Festival. Un pubblico che con il caldo che faceva è arrivato puntuale ed ha apprezzato la storia di Arciboldo raccontata da Ketty. Valentina le domanda che libro ha sul comodino. Che libri, mi correggo. <<Non te lo dico>>. I libri sul comodino di uno scrittore, di solito, svelano la trama del suo prossimo libro.

Carla Latini

Le parole di Valentina e il violino di Marco a Tyche Live

in Cultura/Libri da

Sotto i riflettori di Tyche Live in questa occasione vi proponiamo in redazioni le parole di Valentina Capecci e il violino di Marco Santini. Una puntata che permette a Valentina di raccontarci del suo mondo di sceneggiatrice televisiva e di scrittrice. Potete cercare qui i racconti che ha editato per Tyche. Marco invece ci parla delle sue esperienze internazionali e del “contatto” con Papa Francesco. Partendo da un brano ispirato ad un’isola lontana del nord fino alla sua orchestra per archi in Germania. Due esempi di marchigiani che riescono ad esportare fuori dai nostri spazi territoriali il loro indiscusso talento. Buon ascolto.

#TycheLive

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Irene Paoluzzi, ingegnere all’estero con un libro nel cassetto

in Cultura/Libri da

Un cervello all’estero per scelta, scrittrice per passione. Irene Paoluzzi ormai da diversi anni, pur essendo giovane, torna nella sua Civitanova solo per qualche periodo di vacanza. E’ ingegnere e lavora per una società svedese di sviluppo software che recentemente l’ha spedita a Manila, capitale delle Filippine, ma che solitamente la vede impegnata a Malta. <<Quando sono partita – dice – non era ancora un periodo così nero per il lavoro qui da noi. Ma ho scelto di lavorare all’Estero proprio per una mia crescita personale>>. Ma da quando aveva 20 anni, coltiva il sogno di diventare una scrittrice. Il suo romanzo, “L’innocenza del germoglio” ha passato la fase regionale del concorso letterario La Giara. Ora è alla ricerca di un editore che lo pubblichi. Irene si racconta a Tyche in questa intervista.

Kruger Agostinelli

in collaborazione con Emanuele Pagnanini

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Futura2015: dal capitalismo dei Beatles al marketing di Cleopatra

in Arte/Cultura/Libri da

Il futuro si declina anche guardando al passato. Dai miti e dalle figure della storia, come Cleopatra e Dante, fino all’iconologia del presente, da quei quattro ragazzi di Liverpool che poi sono diventati famosi con il nome di Beatles. Il sabato del Futura Festival, a Civitanova, ha visto il suo apice la sera in piazza della Libertà, dove sono saliti sul palco prima il giornalista Federico Rampini, poi Michele Mirabella, autore, conduttore televisivo e divulgatore, grande conoscitore dei Classici. Entrambi protagonisti assoluti, con un’energia coinvolgente.

<<Cito Steve Jobs: i Beatles sono il mio modello di businnes>>. Da “Here comes the sun”, speranza per una ripresa economica, a “Yesterday”, che <<oltre alla nostalgia di un amore perduto si potrebbe estendere all’economia e al fatto che si può pensare di non vivere in un paradiso terreste>>. O “When I’m Sixty-Four”, <<emblema di quell’invecchiamento della popolazione>> che innesca scenari preoccupanti. Federico Rampini presenta un tema complesso, che ruota intorno alle regole dell’economia, in modo dinamico e accattivante, prendendo spunto dal gruppo di Liverpool. Mordendo pure quella mela di Apple per rendere amica di tutti un’economica <<troppo spesso religione esoterica, sequestrata dai teocrati>>. Ovviamente si parla anche di attualità, della Grecia e del suo rapporto con la Germania: <<In questa vicenda non ci sono buoni e cattivi – risponde il giornalista ad una domanda del pubblico -. Ci sono prevalentemente cattivi ben distribuiti in tutti i campi. Attenzione però a non trasformare l’intera Grecia in un paese di martiri innocenti>>. E come superare, se superare, il capitalismo, gli chiedono dalla platea? La replica. <<Da giovane ho creduto anche io ad una possibile fuoriuscita da questo sistema. Oggi non penso sia attuale, dal momento che ho visto crollare tanti sistemi socialisti. Cuba, pur avendo un’isola rigogliosa, importa l’80% della produzione. Bisogna quindi aprire gli occhi. Penso però che il capitalismo può cambiare e ci sono state diverse forme di capitalismo migliore nella storia. L’Inghilterra dei Beatles era capitalismo, gli Usa dei Kennedy era capitalismo>>.

Michele Mirabella dopo “Cantami o mouse” svela che sta preparando una nuova pubblicazione, che si intitolerà “Il file di Arianna”. Il suo modo di raccontare è davvero unico. Parla di letteratura, anche se ammette che <<gli italiani leggono poco. Sarà che sono intenti a scrivere troppi libri>>. Diversi i miti narrati. Come Cleopatra, <<donna cha ha inventato il marketing: dal suo modo di presentarsi a Cesare fino al modo in cui ha programmato il suicidio: come una moderna telenovela!>>

Tra gli ospiti, da segnalare anche un interessante intervento di Gilberto Corbellini, professore ordinario di Storia della Medicina e docente di Bioetica. <<Il progresso? E’ come il potere. Lo critica chi non ce l’ha. L’Italia ad esempio è ferma da dieci anni>>.

Non perdetevi oggi alle 18 la Lectio di Paolo Flores D’Arcais e alle 21.30 l’incontro con il grande scrittore David Grossman. Futura si riposa lunedì e martedì e ripartirà mercoledì. Per tornare ad indagare sul cambiamento.

#TycheFutura

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Chimena Palmieri, sette notti “da sogno” con Ligabue

in Cultura/Libri da

Chimena Palmieri, anconetana, ci racconta che è stata precoce nel leggere e scrivere: aveva appena quattro anni. Una passione che non l’ha mai abbandonata. Poi l’opportunità del primo libro edito per la Sonzogno che dal titolo potrebbe trarre in inganno. “Sette notti con Liga”. Una fan del cantautore emiliano che tratta il suo mito semplicemente come uomo. In sette racconti in cui costruisce situazioni surreali ma anche ironiche e velatamente disperate. Un taglio sorprendente e ricco di intuizioni. Poi, durante una visita alla nostra redazione, ci racconta del suo libro in attesa di pubblicazione, “Raval”. Un’attenta chiacchierata per comprendere come sia difficile nutrire la propria passione di scrivere. Ed ora speriamo di leggere a breve delle parole scritte da Chimena per Tyche Magazine.

Kruger Agostinelli

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La vita è troppo breve per bere vini cattivi, l’omaggio di Arturo Rota a Luigi Veronelli

in Cultura/Libri da

Arturo Rota è il genero di Luigi Veronelli, chi ama vino e cibo non può non conoscerlo. Luigi, Gino per gli amici, è stato la mente visionaria e illuminata che ha rivoluzionato il mondo enogastronomico italiano fin dagli anni ’70. I nostri nonni lo ricordano in Tv, su Rai1, in una trasmissione che conduceva con Ave Ninchi, guarda caso marchigiana anche lei. Si intitolava A Tavola alle 7. Un programma innovativo reso ancora più gradevole dalle battutine secche e simpatiche fra i due. Era nata una vera amicizia, una sorta di amore odio reso ancora più evidente dal fatto che Gino era interista e Ave juventina. Questi e altri aneddoti vengono raccontati da Arturo ad un pubblico attento e assolutamente molto interessato. Arturo Rota racconta. Da solo, senza Nichi Stefi (il libro Luigi Veronelli, la vita è troppo breve per bere vini cattivi, è scritto a quattro mani) che sempre lo accompagna in queste occasioni, si dona al pubblico in un monologo trascinante. Parlare di Luigi Veronelli, Gino per gli amici, senza tradire l’affetto profondo e la stima del discepolo fedele non è facile. Arturo è cresciuto con Gino. Da lui ha appreso la difficile arte di “sbagliare da solo”. Nel libro c’è la vita di Gino. Arturo e Nichi si erano dati un obiettivo: il protagonista deve essere Luigi Veronelli. Dal libro deve uscire Gino com’era. Com’erano le sue giornate, le sue amicizie, la sua assoluta generosità. A condurre Arturo c’è Andrea Nobili. Avvocato molto noto in provincia perché ex assessore alla cultura del Comune di Ancona. Amico di Arturo e fine conoscitore del mondo del vino. Aneddoti, episodi finalmente raccontati per bene che erano diventati mitici nell’immaginario collettivo. Arturo parla appassionato e noi ascoltiamo. Per mia fortuna ho avuto l’onore dell’amicizia di Gino. Così come ora ho quella di Arturo.

Chiude la serata il padrone di casa, Alessandro Starabba Malacari. Vignaiolo in quel di Offagna. Ricorda quello che accadeva a tanti produttori di vino e artigiani delle cose buone quando si veniva invitati a casa di Gino, nella mitica via Sudorno a Bergamo Alta. Si credeva di essere da soli e di poter parlare con Gino vis a vis. Invece c’erano sempre altre persone. Il tavolo era da otto. Ed ogni volta era pieno. Quindi ognuno spiegava il proprio problema agli altri e viceversa. Gino ascoltava e spesso stava in silenzio fino alla fine. Nascevano amicizie insospettabili fino allora. Tipo due vignaioli confinanti che si sopportavano come la sabbia nel letto. Il potere delle “poche parole” di Gino era sorprendente. Tutti tornavano a casa carichi e con qualche nuova soluzione ai propri problemi. E’ grazie a Gino Veronelli che l’Italia ha preso coscienza della qualità della sua cucina, dei suoi prodotti e dei suoi vini.

Chiudiamo in bellezza la serata e beviamo un Grigiano, invecchiato in una magnum. Siamo dei privilegiati. Con la presenza di Arturo poteva solo essere così. Perché la vita è troppo corta per bere vini cattivi. Non mediocri, come scrisse Goethe, ma cattivi, come avrebbe detto Gino!

Carla Latini

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