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Mangiare e bere - page 10

Alla Lanterna di Fano parte il Giro d’Italia dei Sapori. Tanti gli chef… da maglia rosa

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Una casacca da cuoco rosa Giro d’Italia indosso a Elide Pastrani, la bravissima cuoca de Alla Lanterna di Fano ha dato il via alla seconda edizione de “Il Giro d’Italia dei sapori” 2015-2016. Un’idea pensata da tre teste appassionate e profondamente amiche. Chi nel panorama enogastronomico italiano non conosce personaggi come Elsa Mazzolini, Alfredo Antonares e Flavio Cerioni, il patron appunto del locale dove si svolgerà il Giro? Elsa Mazzolini è la direttrice di una delle riviste più note e lette in Italia ed in Europa, la Madia; Alfredo Antonares è un giornalista enogastronomico, cuoco all’abbisogna, conduttore televiso e chi più ne ha ne metta; Flavio è, in questo mondo, un controcorrente coraggioso. Difensore sincero delle materie prime “reali”, sostenitore che la cucina seria serve per educare i palati a mangiare bene, fresco e stagionale. Come predica sempre il nostro Mario Mauro Mariani. Il trio ha inventato una kermesse che consiste in un vero e proprio Giro d’Italia di prodotti e di cuochi. Sono stata alla conferenza stampa.

Antonares ha spiegato il significato, nobile, del far incontrare nella cucina di Elide prodotti e cuochi importanti e stellati. Uomini che porteranno i profumi e gli odori della loro terra a Fano. Saranno i prodotti e i cuochi a parlare con i loro piatti. Ci sarà spettacolo, divertimento e cultura. Si comincia domenica 11 ottobre, a pranzo, con Le Mariette (un’associazione di più di 100 donne non cuoche che da anni divulga la cultura della sfoglia). Cucineranno il vero menu romagnolo della domenica. Sarà un tuffo nei ricordi di quando dai cappelletti in brodo si passava alle lasagne. Tutto fatto a mano e con la cura, casalinga, di un tempo. I pezzi forti del Giro, se mi posso permettere e non me ne vogliano gli altri, sono tre.

Il primo è Gino Angelini, Osteria Angelini a Los Angeles, che Alfredo presenta come uno dei migliori cuochi italiani negli States. Prima di lì Gino era al Des Bains di Riccione. Qui si sono formati tanti più cuochi di quanto possiamo immaginare. La cena del 15 novembre prevede, insieme a Gino, una ventina di suoi “allievi”. Da Riccardo Agostini, ben noto a questi schermi (potete leggere di lui QUI), a Vincenzo Cammerrucci e tanti altri. Sarà necessario soppalcare la cucina… Secondo, in ordine di tempo, il nipote del celebre Valentino Mercattilii del San Domenico di Imola. Uno dei ristoranti che ha segnato la storia della cucina italiana. Si tratta del giovane Massimo Mascia. Sarà un piacere vederlo all’opera il 23 Gennaio. Fra il 15 novembre e il 23 gennaio, si esibirà Gegè Mangano, dalla Puglia, il 3 Dicembre. Le altre date sono da destinarsi ma mese e cuoco ci sono già. Febbraio vedrà la presenza di Stefano Rufo da Isernia, Marzo Giuseppe Aversa da Sorrento, aprile Maurizio D’Urso dalla Sicilia (per lui è il secondo Giro!) e a maggio ci sarà Enrico Croatti da Madonna di Campiglio. Non sono nomi televisivi, come sottolineano i tre ideatori del format, sono cuochi che ancora stanno dietro le cucine e ogni giorno scelgono le materie prime migliori. Dice Flavio che lo chef, l’unico chef, cioè il capo in cucina, è il prodotto!

Ma veniamo al terzo pezzo forte che è stato ed è uno dei migliori cuochi italiani. Quando aveva il Ristorante in Toscana aveva accumulato tutti i riconoscimenti che esistevano, stelle, cappelli, faccini radiosi, forchette ecc… Ora che, come racconta con l’affetto dell’amico fraterno, Alfredo Antonares, fa il consulente per grandi gruppi, sta di nuovo stupendo tutti. Il suo nome è Fulvio Pierangelini. Il cuoco dell’essenziale. Purtroppo e, conoscendolo bene come lo conosco, sarà un’ardua impresa (ma Flavio ci riuscirà!) incastrare Fulvio in mezzo alle altre date già fissate. Come corrispondente di Tyche del Giro d’Italia dei sapori vi terrò informati. A dimostrazione che il trio ha inventato qualcosa di realmente importante per le Marche ci sarà ogni sera la presenza dei ragazzi dell’Alberghiero di Pesaro coordinati dal Prof Paolo Pagnoni. Un’occasione unica per loro. Un valido appoggio verrà dato anche dall’Accademia della Cucina Italiana nella figura del responsabile Marche Mauro Magagnini. Alberto Mazzoni, direttore IMT, garantirà la scelta delle cantine. Perché al Giro d’Italia si beve marchigiano! Per tutte le altre info e per prenotare 0721 884748, info@allalanterna.com. In conclusione, ha affermato Alfredo Antonares, il Giro sarà la ghiotta e colta occasione per, senza muoversi di casa, fare un vero tour gastronomico dello stivale. Vale la pena di esserci.

Carla Latini

Premio Senigallia Gualtiero Marchesi, un atto d’amore alla nostra terra

in Mangiare e bere da

Il Maestro Marchesi, si sa, ama le Marche e le frequenta spesso perché molti dei suoi amici sono marchigiani. La città di Senigallia gli ha dedicato un premio singolare nella sua complessità. Un premio che va al di là della sua storia di cuoco, artista, divulgatore, insegnante. Un premio che va all’uomo che è e che sarà. Ne conosco tanti, per mia fortuna e per l’arricchimento della mia anima, di uomini grandi ma Marchesi è unico. Unico anche quando si ricorda di tutti: dei suoi collaboratori, dei suoi allievi e dei suoi discepoli. Ma qui toccherei un argomento alquanto discusso ed io, per quanto bravina, non sono all’altezza. Per raccontarvi qualcosa di diverso ho capito da dove è nata l’idea ed ho chiamato Elio Palombi. Un elegante e colto signore milanese con un pezzo di cuore nelle Marche. Lo conosco da 20 anni e posso chiamarlo amico a ragione. Non è nuovo Palombi ad organizzare eventi macro nella nostra Regione. Ricordo Fabriano, Acqualagna, San Lorenzo in Campo… E’ stata la tragica alluvione di Senigallia a fargli pensare cosa avrebbe potuto fare per la città che rappresenta il polo marchigiano dell’enogastronomia e del turismo. Qui lavorano Moreno Cedroni e Mauro Uliassi. Quindi perché non portare a Senigallia, per rafforzare il suo valore, il più grande dei cuochi italiani conosciuto al mondo? Palombi ne parla con il sindaco ad Aprile. In pochi mesi il gioco è fatto. La scelta della fine di settembre è voluta. Il Premio città di Senigallia ha voluto chiudere in bellezza questa estate che è stata splendida, come clima e come eventi. Mi dice Palombi che il Premio avrà un seguito e continuerà in collaborazione con la Fondazione Gualtiero Marchesi. Ogni anno verrà premiato un “numero uno”. Un personaggio, non necessariamente del mondo enogastronomico, che abbia i valori umani e professionali per essere, appunto, un “numero uno”. Potrà essere anche non italiano, mi ricorda Palombi su suggerimento di Gualtiero. La serata è stata deliziata dal concerto di Lucrezia Dandolo Marchesi che ha omaggiato il nonno e gli ospiti con un bellissimo intervento musicale. Molti i vip intervenuti. Fra tutti Rosanna Vaudetti che ha condotto con grandissima grazia e professionalità, stimolando anche, con intelligenza, gli allievi dell’alberghiero, il giorno, dopo durante la lectio magistralis. A rappresentare l’imprenditoria, Domenico Guzzini e il signor Meletti. Ospiti straordinari Cino Tortorella, Mago Zurlì!, Giorgio Grai (gli appassionati di vino sanno di chi sto scrivendo) ed Eugenio Medagliani. L’uomo delle pentole più belle d’Italia. L’uomo che ha stimolato la creatività di Gualtiero con attrezzi da cucina e utensili. Fra loro, per il divertimento di tutti, è montato un “siparietto” esilarante e molto istruttivo. Hanno partecipato amici giornalisti del nostro mondo come Elsa Mazzolini con la figlia Chiara, Alfredo Antonares con il nostro Flavio Cerioni. Uno dei più attivi patron di questo nostro mondo. La presenza di Stefano Miceli, pianista direttore d’orchesta, spesso al seguito del Presidente della Repubblica ha dato ancora più pregio alla serata. Che si è conclusa con una cena ‘umile’ cucinata dallo staff dell’Hotel City. Una cena che ha toccato le note povere del pescato marchigiano ma anche di quello pregiato. A dimostrazione che , come afferma da sempre Marchesi, gli ingredienti semplici e di ottima qualità, lavorati con cura, si trasformano in un gran mangiare. Le 170 persone intervenute hanno molto apprezzato anche gli antipasti a buffet, grandi salumi e formaggi dalla nostra terra e i pasticcini al momento del caffè.

Carla Latini

Alla Lanterna di Fano: a tavola con le “autorità”… della forchetta

in Mangiare e bere da

Flavio Cerioni è un anfitrione dalle idee vulcaniche. Direi una sorta di oste, uomo di sala, albergatore riflesso nei tempi che corrono. Elide in cucina, sua moglie, è una mano raffinata ed energica. Qui, Alla Lanterna a Fano, si mangia il pesce più fresco della zona ed ogni prodotto lascia nel piatto il segno della sua tracciabilità. Flavio, che da uomo intelligente conosce i ‘suoi limiti’, si avvale di amici esperti di eno-gastronomia, mare, terra e storia della cucina italiana sia per ragionare insieme nuovi piatti (la domenica potete trovarli seduti al tavolo delle decisioni mentre degustano prove o nuovi ingredienti) sia per rendere diverse le “solite” serate a tema. Le tipiche serate ormai già viste e riviste dove il produttore, spesso di vino, racconta la sua azienda, dove un altro produttore, magari di miele, parla delle sue api e così via.

Da Flavio le serate a tema hanno un aspetto ancora più ludico. Gli esperti che possono essere Alfredo Antonares per l’enogastronomia, Fiorenzo Giammatei per la storia della cucina italiana e Fiorenzo Piccinetti per il mare ed i suoi abitanti, vengono prima presentati e poi si siedono a turno a tavola con i partecipanti. Ogni tavolo quindi avrà sempre un paio di posti volutamente vuoti per ospitare uno di loro. In questo modo i clienti superano la barriera della timidezza e della vergogna e se vogliono sapere qualcosa di più di un piatto, di una ricetta classica o di un pescato possono chiedere liberamente e senza microfono. Una cantica, immancabile, accompagna il conviviale. Ma il produttore è “obbligato” da Flavio a parlare del territorio, della collina, della vigna, del vino e poi della sua azienda. Il tema delle serate di quest’anno è stato: i prodotti del mese. La stagionalità di mare e terra. Ogni volta in cucina con Elide, oltre ai ragazzi che vedete in foto che si chiamano Patrick, Matteo e Davide, c’è una guest star ospite. Un cuoco invitato perché identificato con un prodotto di pregio. Per la serata del mese di agosto (fatta il 9 settembre perché Flavio non aveva ancora avuto l’ispirazione!), c’era il tartufo nero e non poteva mancare l’amico di mille scorribande culinarie Alberto Melagrana del Ristorante del Furlo. Dalle sue mani “uovo pochè con crema di patate al tartufo nero estivo e ventresca croccante di tonno”.

Queste serate hanno il pregio che se vuoi che non finiscono mai. Il 9 settembre abbiamo fatto le due e mezza. Lo scopo, insiste sempre Flavio, non è quello di far cassetta con il locale pieno per l’occasione, ma di fare cultura fra i suoi clienti. Di farli crescere ancora di più. Perché possano apprezzare una cucina fatta di grandi ingredienti ben lavorati e rispettati. Sembra retorica vero? Ed invece non lo è. <<Devo portare via i clienti alle multinazionali del cibo spazzatura>> spara a zero Flavio senza timore. <<Non ho fatto ferie e non ne faccio da tanto. Le mie ferie sono le soddisfazioni che mi prendo o anche le arrabbiature. Con queste so che sto costruendo…>>. In queste serate si accendono dibattiti che rendono vivo lo stare a tavola insieme. Se volete essere informati seguite la pagina Facebook di Alla Lanterna o iscrivetevi alla loro newsletter tramite il sito. Per metà novembre è gia sold out una serata top. Che è top secret ancora per poco…

Carla Latini

Chef Rubio addenta la cucina di strada marchigiana: “C’è tutto nella vostra terra!”

in Giornalista e dintorni/Mangiare e bere da

Fu mio figlio a segnalarmi Chef Rubio, un personaggio ad alto gradimento televisivo che si è imposto grazie ad un pubblico giovane ed alternativo sul canale DMAX. Non ho avuto tempo per contestare la sua scelta, mi sono ritrovato subito anche io nel club della “Rubiomania”. Simpatico, diretto, quasi un fumetto di quelli belli ed eroici che si materializza. Del resto i numeri dei social parlano chiaro sulla sua reale efficacia: 380mila followers su Facebook, 60mila su Twitter e oltre 50mila su Instagram. Insomma, un personaggio non creato dalla rete ma spontaneamente molto amato dal web. Chef Rubio si è aggiudicato nel 2014 il titolo di “Migliore Chef” ai Macchianera Italian Awards 2014 e anche i Tweet Award di Bologna. Nel 2015 è nell’olimpo della categoria cuochi per il premio “Italia a Tavola”. Ora Gabriele Rubini, questo il suo vero nome, sta per sbarcare con le storie del viaggio culinario, il terzo per la precisione, all’insegna dello street food con “Unti e Bisunti”. Sarà in prima tv esclusiva su DMAX dall’8 settembre, ogni martedì alle 21.10. Chef Rubio infatti è il rappresentante assoluto della cucina di strada, quella erroneamente considerata “sporca e cattiva”. Insomma, il mondo opposto dei ristoranti stellati. Costantemente alla ricerca e alla riqualificazione di piatti e ricette della tradizione di sempre, attraverso chioschetti e mercati rionali. Un’esplorazione gastronomica che lo vedrà questa volta anche protagonista nelle Marche, oltre che da quest’anno con puntate dedicate a Spagna, Germania e Francia. Lo intercettiamo telefonicamente per una di quelle interviste che inevitabilmente scivola nella piacevole chiacchierata fra amici.

Con “Unti e Bisunti” continui a raccontare ancora i piatti e la gente di strada dell’Italia e stavolta anche dell’Europa. Se con il cibo si identificano i territori e la tradizioni, la gente di strada è davvero così diversa da città a città e da nazione a nazione?

<<Il cibo stesso è identico nell’abitudine, ma sono gli interpreti che sono diversi. A causa del periodo sociale che vivono e soprattutto nel modo in cui il singolo si rapporta con l’elemento. Il cibo è così sempre versatile, mai noioso e si può parlare di lui senza mai arrivare ad una vera conclusione. Sono le persone che esprimono lo stesso ingrediente in maniera totalmente diversa. E’ un linguaggio della gente che mi piace>>.

Sei venuto nelle Marche. Siamo curiosi di avere delle tue impressioni. E meglio ancora se hai dei ricordi particolari della nostra terra e della nostra gente.

<<Non posso anticipare nulla della puntata ma posso dirvi che dal mare alla pianura, dalle colline alle montagne, le Marche ci hanno regalato un sacco di piatti di cui parlare. Abbiamo provato a fare un quadro a tutto tondo del panorama marchigiano, che parte dal crudo e dal bollito per arrivare all’arrosto e al fritto, cercando di essere il più possibile esaustivi nel raccontare un popolo e una terra interessante per la varietà offerta. Se ti dico che mi piace rischio di essere un ruffiano ma non è così. Siete una regione completa, avete tutto>>.

Chef Rubio in tv e Gabriele Rubini nel privato. Sicuramente riescono a convivere nella vita quotidiana. Ma non accade a volte, magari in casi eccezionali, di voler invertire i ruoli?  

<<Sono la medesima persona. A volte mi è capitato anche in interviste e quant’altro di poter far parlare Gabriele, non solo Chef Rubio. Siamo la stessa cosa: semplicemente Chef Rubio quando deve far passare meglio un messaggio a tutti usa l’escamotage della comicità, del cinismo e della strafottenza. Vie traverse per attirare l’attenzione>>.

Penso che tu sia consapevole di essere un simbolo, soprattutto per le nuove generazioni. I ragazzi ti vogliono bene e ti guardano con ammirazione. Non dico che rischi di avere delle responsabilità ma rappresenti ed esalti la periferia. In fondo trasmetti quel sano gusto della sfida e l’ironia dello sfottò. Cosa ti sentiresti di consigliare a loro per farli vivere meglio in una società che tanto giusta non è?

<<Che devono studiare, viaggiare, leggere. Solo così possono difendersi da un mondo che cerca di tendere sempre al ribasso, per far si che tutto sia sotto controllo e a vantaggio di quelli che noi chiamiamo (con accezione troppo pomposa) i potenti. Solo così i giovani avranno delle armi per combattere e per ritagliarsi un angolo di serenità>>.

Andiamo, solo per un po’ con leggerezza, sul pettegolezzo. Chef Rubio che piace alle donne è un fatto appurato. Merito dei tatuaggi, dell’atteggiamento spavaldo o dello sguardo in fondo un po’ avventuroso e romantico che hai? Insomma ti senti un oggetto del desiderio o piuttosto un uomo che non deve chiedere mai ?

<<Piaccio alle donne? Me lo dite ogni volta, ma è una questione che mi interessa fino ad un certo punto. Piaccio molto anche agli uomini ma non è questo l’obiettivo per cui mi metto in discussione. Mi fa piacere ma finisce nel momento stesso in cui me lo fate notare. Credo che l’interesse vari ogni volta da persona a persona. Può colpire la capacità di far ridere, la fisicità, il tatuaggio o quello che vuoi. Ogni cosa può colpire in maniera differente. Non siamo tutti attratti dalla stessa cosa. E questo è un bene>>.

Apprezzato nel rugby, chef vincente. Se ci fosse un sogno da realizzare quale sceglieresti? Protagonista in un film, cantante in una band di hard rock, dentro un’astronave verso Kepler 452b, il pianeta della nuova galassia che assomiglia alla Terra… Oppure scegli tu!  

<<Fare fotografie, recitazione o scrivere sono caratteristiche che posso coltivare e che sto coltivando. Sono assolutamente nelle mie corde. Magari cantare una canzone non più sotto la doccia ma di fronte a 100mila persone è un’altra cosa. Quindi direi che vorrei essere una rock star d’altri tempi>>.

Noi di Tyche ci stiamo impegnando per diventare influenti nei concerti quindi ti facciamo esibire noi!

<<Beh allora vi chiedo di costruirmi una macchina del tempo, così mi portate a vedere Bob Marley o Freddie Mercury a Wembley. Mi raccomando ricordati pure gli Ac/Dc in Australia>>.

Mensilmente facciamo filosofeggiare i nostri intervistati su una parola, questa volta tocca a TYCHE. Ti aiuto. Nella mitologia greca era la personificazione della fortuna. E allora la fortuna che ti fa venire in mente?  

<<La fortuna premia gli audaci, è cieca e “a chi tocca nun se ‘ngrugna”. Però tutto questo è affascinante. C’è chi si danna per arrivare ad un risultato e poi non ci arriva mai, chi ci arriva all’ultimo, chi nel momento più inaspettato. E c’è chi invece con il minimo sforzo fa jackpot. È il fascino di quello che viene chiamato Tyche>>.

Ultima domanda a proposito della parola TYCHE, quindi dedicata ai nostri lettori, chiediamo a Chef Rubio: che piatto ti viene in mente di dedicarci e ci offriresti da mangiare?

<<Non ho dubbi, vi preparerei una ricetta orientale. Un biscotto della fortuna fatto magari in casa, con una cialda doc a sorpresa al posto del bigliettino. In base al gusto del lettore>>.

Kruger Agostinelli

Ramona Ragaini, il mestiere di rendere bello un ristorante

in Mangiare e bere da

Una cena da Andreina, a Loreto, la consiglio a tutti. Assolutamente necessaria per farsi del bene e per fare del bene a chi amate. Le indubbie capacità di Errico Recanati, le sue versatili e tenere (per me) invenzioni sono note. Errico è un cuoco maturo e sicuro. Molto divertente. Perché la cucina, tolti i puristi angoscianti, è divertimento. E io, mentre mangio, voglio ridere. La moglie di Errico, nonché mamma di due cuccioli biondi, si chiama Ramona Ragaini. Ma questo lo sapete già. D’ora in poi, nel pezzo che sto scrivendo, sarà solo Ramona.

Bella, elegante nel portamento, sorridente senza invadenza, bionda con labbra rosso corallo. Sobria nel vestire. Competente ed intelligente nel consigliarvi, coccolarvi, indicarvi verso la scelta del vino giusto. Durante il Congresso Identità Golose di quest’anno, Ramona ed altri suoi colleghi che si definiscono “noi in sala o quelli della sala”, hanno cercato di far notare ad un pubblico molto preparato, quello appunto di un congresso gastronomico, l’importanza della sala. Quando arrivate in un ristorante “famoso, premiato dalle guide e stellato” vi accoglie il cuoco? No. Vi accoglie il Maitre, il sommelier, il cameriere. Ramona, che sarebbe Maitre e sommelier insieme, con me gioca e si definisce “cameriera”. Mi sta bene. Grande onore anche a chi fa “solo” il cameriere o la cameriera. Mi domando, e con Ramona abbiamo discusso di questo, ma ci rendiamo conto noi clienti di quanto, qualche volta, siamo difficili da servire?

Così l’altra sera, appunto da Andreina, mentre gustavo il menu “Errico” che è come farsi rincorrere dal Bian Coniglio e pescare nella baia nell’Isola che non c’è, sentivo, involontariamente, commenti e consigli, esperienze e sicurezze, nostalgie e falsi miti, della bella clientela. Ramona innamorata del marito, dei loro piccoli, del lavoro e del vino, si sveglia ogni mattina conscia si essere l’assist con il quale Errico farà sempre canestro. Un grande cuoco, e non lo dico solo io, ha sempre bisogno di qualcuno in sala che racconti il suo piatto. Che trasmetta le emozioni e gli odori della cucina. La sala è il 60% del successo di un ristorante. Forse anche di più. Ovvio quando il cuoco esce la standing ovation è per lui. Ma chi per tutto il tempo ha curato il servizio, cambiato le posate, controllato la temperatura dei vini, riportato tovaglioli caduti, tolto cloche come fosse una danza, sorriso ai mille cambiamenti al momento dell’ordinazione del dessert merita un “posto al sole”. Soprattutto mentre gli state raccontando di tutti gli altri stellati che, beati voi, vi siete mangiati e di come vi siete trovati ecc… Per cui la prossima volta che vi fate un viaggio per andare da un cuoco big ricordatevi della sala. Un sorriso di Ramona, come quello dei suoi colleghi professionisti, ha un grande valore. Che completa in toto la vostra esperienza.

Carla Latini

I vincitori del Gelato Festival e i segreti per riconoscere un buon prodotto

in Mangiare e bere da

Leonardo Paialunga Il Pinguino di SenigalliaEstremamente dolce il confino fra vincitori e vinti al Gelato Festival di Senigallia. Noi di Tyche Magazine eravamo in giuria. Diciamo subito chi si è aggiudicato il primo premio? Giovanna Bonazzi, unica non marchigiana fra i cinque concorrenti. Rappresentava infatti la gelateria La parona del gelato di Verona, con il suo Cappuccetto Rosso. Gli ingredienti del successo sono stati latte, panna, zucchero, esse di bosco, croccante (biscotti), lamponi e come optional una pipetta con rosolio di lamponi. Mentre la nostra giuria tecnica ha premiato Leonardo Paialunga, della gelateria Il Pinguino di Senigallia, con il gusto in gara Tramonto di ponente. A basi di cioccolato, amarene e granella di amaretti.

Giuria Gelato Festival Senigallia 2015Far parte della giuria diventa paradossalmente un impegno, perché questo “lavoro” si consuma in un goloso assaggio, che deve essere diviso in tanti piccoli ma indispensabili giudizi. Ci piace descriverlo, per rendere più professionale la degustazione su coppetta o su cono, grazie alla spiegazione di Antonio Mezzalira, direttore di Gelato Festival . Come partenza va detto che si è in grado di dare un giudizio dopo tre palettate: la prima per raffreddare il palato, la seconda per comprendere la consistenza del gelato ed infine per affrontare l’analisi del gusto. Sono otto i quesiti che permettono di determinare la qualità di un buon gelato artigianale:

1) Coerenza del colore con il gusto; ovvero il colore deve risultare verosimile al gusto dichiarato.

2) Comprensione immediata del sapore; se il gelato è buono e genuino, più è facile identificarne ogni diverso sapore e percepire l’equilibrio degli aromi.

3) Livello di dolcezza; ovvero, per quanto sia un parametro personale, il gelato deve avere un equilibrio di dolce. Poiché se eccessivo risulta stucchevole.

4) Livello di cremosità; una sensazione indispensabile. Guai se si avverte untuosità eccessiva o una consistenza troppo acquosa.

5) Percezione di freddo; l’impatto termico con il palato non deve mai essere eccessivo.

6) Presenza di cristallizzazione; ovvero se avvertite dei cristalli di ghiaccio è chiaramente un difetto. Come del resto la sabbiosità di cristalli di zucchero o di lattosio.

7) Persistenza del sapore; il gusto del gelato deve rimanere presente in bocca per qualche istante. Se invece sparisce subito, o se resta troppo a lungo, non è un buon segno.

8) Velocità di fusione; se è troppo rapida dimostra una bilanciatura imperfetta degli ingredienti. Se invece non si scioglie, ciò potrebbe essere segnale della presenza di ingredienti ambigui per un gelato artigianale.

Ed ora buon gelato e permettetemi di citare, anche se non ha vinto ma è stato molto di mio gradimento, quel Mare di Inverno ispirato ad Enrico Ruggeri, proposto da Joseph Guerrera, della gelateria Joseph di Marotta. In linea con gli altri partecipanti, un gelato composto rasentando la filosofia della pasticceria. A base di latte, panna, mascarpone, noci e addensanti naturali. E comunque siano i vostri gusti, sempre viva il gelato artigianale italiano.

Kruger Agostinelli

A Futura Festival si corteggiano vino e filosofia

in Mangiare e bere da

A Futura Festival il vino ha incontrato la filosofia. Non era certo la prima e non sarà l’ultima volta. Protagonisti dell’incontro, condotto con grande professionalità e divertimento da Valentina Conti, il filosofo Massimo Donà, il giornalista Carlo Cambi, i produttori marchigiani Angela Velenosi, Stefano Antonucci e Mosè Ambrosi. Cosa ha detto il vino alla filosofia e la filosofia al vino? Prima di tutto che si amano e che sono assolutamente complementari. Il vino rappresenta, dice Donà, il frutto della terra elaborato dall’uomo che più conserva e rivela storie, oggetti e passato che torna. Il vino gelosamente tiene dentro di sé il tempo e lo lascia andare ad ogni annata, ad ogni bicchiere, dice Carlo Cambi, noto giornalista, scrittore di enogastronomia. Quindi il vino fatto dall’uomo che fa “godere” gli uomini. Fino al penultimo bicchiere. Dopo l’ultimo c’è l’oblio. Ma se lo chiamiamo già penultimo difficile fermarsi. E’ un piacere ascoltare il duetto fra i due che diventa terzetto quando Valentina fa le sue battute colte ed acute. Poi la parola va ai vignaioli. Le domande che non sono retoriche, suonano così: che senso ha nel mercato globale aver ripreso vitigni autoctoni come la Rebona, aver creduto nel Verdicchio e nel Rosso Piceno, aver puntato su Pecorino e Passerina? Con quale filosofia aziendale si propongo al mondo i vini marchigiani? La bellissima Angela (ammazza, per lei il tempo non passa mai!) con la sua naturale e garbata gentilezza, spiega che sarebbe molto bello fare solo i vini che vengono dal cuore e dalla passione. Spiega, però, che i mercati cambiano. Prima nel mondo chiedevano quanto tempo di invecchiamento aveva un vino prima di comprarlo; oggi comprano subito, poco per volta. La domanda è per vini (lo scrivo io e non l’ha detto lei) internazionalizzati. Per cui fatto buon viso a cattivo gioco, si produce, anche volentieri, quello che chiede il mercato. Il conto economico è fondamentale. Insieme, però, per Angela c’è il fuoco, il calore di un vino che ama profondamente e che le dà grandi soddisfazioni che si chiama Roggio del Filare. Roggio vuol dire, appunto, fuoco, calore. Più lapidario, l’eclettico Stefano Antonucci, che Valentina presenta come un uomo molto originale. Afferma che i suoi vini li fa come piacciono a lui. Gli piace bere ed i vini vanno bevuti. Poi scopre un tenero lato umano quando racconta di come apprezza le visite di clienti che si fanno 700/800 km per arrivare da lui in cantina ad assaggiare i suoi vini. Sincero come sempre si meraviglia perché, dice: in fondo vicino a me ci sono solo Uliassi e Cedroni… scusate se è poco, aggiungo io. Mosè Ambrosi è il più giovane dei tre produttori invitati da Valentina. Giovane nel senso che è giovane la sua produzione. Lui produce Rebona. Mai assaggiata la Rebona, mi manca. Ma poi rimedierò a questa mia mancanza. Mosè viene da un altro mondo che è quello delle calzature. La terra lo ha chiamato a sé. Ne ha respirato l’odore e si è “imbarcato” nel rutilante mondo del vino. Ringrazia con devozione i due big a suo fianco, Angela e Stefano, e ammette che nei suoi primi viaggi all’estero, i loro vini sono quelli che si trovano di più nelle carte dei ristoranti. Donà, a questo punto, torna sui temi mitologici e ricorda le Baccanti e Dioniso, la divinità bella e delicata che scatena le più profonde trasgressioni in donne che in quell’epoca lì avevano il preciso ruolo di mogli e di madri. Quindi il vino che ti porta ad essere te stesso. Non a trasformarti ma essere te stesso, conferma Carlo Cambi. E da qui in poi ricomincia il duetto colto che incanta la platea. Stanno per concludere quando Valentina tocca il tasto del vino biologico. Angela nel suo ruolo di madrina di Expo per la Regione Marche, conferma l’impegno di tutti i produttori marchigiani verso una conversione al biologico o comunque verso una coltivazione della vigna che rispetti l’ambiente. Stefano Antonucci, non avevo dubbi, confessa che sta facendo anche lui un bio, che in pratica ci è stato quasi costretto, ma afferma che, siccome lui i suoi vini vuole berli e lui beve sempre bene, il suo bio non avrà “puzzette” e torbidezze. Si ride. Ma è vero. Categorico invece è Carlo Cambi: no al biologico, è solo una moda. Come tante. Un vino bio non invecchierebbe mai. E’ l’uomo che fa il vino dalla vigna. In conclusione ci fa schiattare d’invidia dicendoci che qualche sera fa si è bevuto un Biondi Santi di prima del 1900. Un’emozione unica. Scende il sipario sul palco ma si apre a sinistra della platea un tavolo dove classici bicchieri da Chardonnay, che vanno bene per qualsiasi vino, aspettano di essere riempiti dai prodotti che i vignaioli sul palco ci hanno raccontato. E si finisce bene. Senza tarallucci ma con tanto vino di assoluta grande qualità marchigiana.

Carla Latini 

La Pesca Saturnia e lo chef Michele Biagiola, sintonia al primo morso

in Mangiare e bere da

 

La Pesca Saturnia, soprannominata da appassionati a addetti ai lavori la Rolls Royce delle pesche, prodotta in via esclusiva dalla azienda Eleuteri di Civitanova, sulle colline maceratesi, è stata protagonista in un intero menu dello chef Michele Biagiola del ristorante Le Case di Macerata. Il laboratorio ha coinvolto un ristretto numero di addetti ai lavori: oltre allo chef e “all’ambasciatore” della Pesca Saturnia Marco Eleuteri, erano presenti Francesco Annibali, giornalista enogastronomico; Ugo Bellesi, giornalista e grande gourmet maceratese, presidente della sezione locale della Accademia Italiana della Cucina e la fotografa civitanovese Monica Palloni. Ad aprire il menu quell’Orto nel Piatto che si è guadagnato persino la lode di Gianni Mura sulle colonne di Repubblica. La Pesca Saturnia in questo caso è andata a sostituire la zucca di base. Un fondo delicatamente fruttato per la piccola enciclopedia di erbe aromatiche poste a rifinitura. Un piatto che è una sorta di testamento culinario, una dichiarazione di profondo amore dello chef verso il mondo vegetale. A seguire Scampi crudi di Civitanova con pizzaiola di Pesca Saturnia. Un “solo materia prima” che ribadisce la complicità tra la pesca e i crostacei più pregiati e che riesce ad essere anche un’interpretazione ‘campagnola’ di un piatto di pesce, con i fiori e l’origano sempre in primo piano. Dal lusso degli scampi all’esaltazione della cucina umile, ma senza nostalgia e retorica, nel Brodo di Pesca Saturnia, peperoncini, capperi e portulaca. Erba spontanea, carnosa. Un ingrediente povero per eccellenza. Il risultato è stato forse il piatto migliore del viaggio, un’esplosione piccante e vegetale in prospettiva fruttata, fatta di contrasti e tinte forti. Se gli Spaghetti alla puttanesca di Pesca Saturnia con alici, acciughe e olive taggiasche mostrano, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la potenza e la complessità aromatica – veramente unica – del frutto, capace addirittura di stemperare il sapore violento delle acciughe mantenendo una forte nota minerale al piatto, le Costarelle di maiale alla brace con Pesca Saturnia spingono sulla gola: piatto poco tecnico, lussurioso e antiborghese. Quello che ho scelto nella foto qui sopra. Finale sul velluto, con la Crema bruciata, Pesca Saturnia e basilico. Al servizio e agli abbinamenti del sommelier Matteo Magnapane, capace ormai di giocare sui sapori mantenendo sempre coerenza e riuscendo a non distrarre l’attenzione della centralità del piatto, va una nota di merito per il Riesling Trocken (ovvero secco) 2014 di Dr. Loosen, mostro sacro del vino tedesco, abbinato alle costarelle: un binomio semplicemente perfetto. Come vi ho già scritto, il menu potrà essere degustato (forse con alcune varianti) anche venerdì 31 luglio a cena, sempre alle Case, ad un prezzo promozionale. Tenetevi aggiornati.

Carla Latini

 

 

 

da Errico la cucina strappa un sorriso, tra birra e…baccalà

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E’ raro vedere decine di giovani affollare ristoranti stellati. I motivi, vari ed eventuali, sono facilmente comprensibili. Succede però che Errico e Ramona (ristorante Andreina a Loreto) ci riescano. Succede che le loro feste d’estate siano “feste giovani”. Bagnate da una birra eccellente che rende l’atmosfera più frizzante. Sono stata alla finale di “Cucina da Errico”. Peccato non aver seguito le altre ‘puntate’. Ogni concorrente partecipa con il suo tifo personale. La formula sembra semplice ai non addetti ai lavori. In realtà solo due professionisti come Errico e Ramona possono avere le capacità tecniche per reggere una “singolar tenzone” come questa. Tornate con me dalla parte degli spettatori, che è meglio, e lasciamo Errico in cucina con i 5 finalisti.

In giardino l’aperitivo di benvenuto profuma di fritto, delicato, di hamburger in piccoli e morbidi panini, di fresche composizioni di frutta e verdura. In fondo qualcuno stappa con stile e nonchalance una birra molto buona che si chiama, Kukà. Matteo Bora (il produttore) mi racconta che piace molto ai cuochi perché si abbina bene. La trovo perfetta per la serata. Frizzante al punto giusto. E rinfrescante. Perché fra poco i cuori dei partecipanti saranno molto caldi. Il cuore del cuoco batte forte in cucina, accanto ai fuochi. Ci sediamo nell’altro giardino, quello grande sul retro. Conto le tavole imbandite da 10 sedute ognuna. Evito di fare le moltiplicazioni del caso e mi lascio contagiare dall’allegria e dai toni accesi degli spettatori. I tifosi di cui vi ho scritto all’inizio. Cominciamo con l’antipasto e con Massimiliano Vallesi: insalatina di cappone con dadolata di patate al mosto cotto e scorza di arancia. La giuria scrive la sua valutazione in silenzio. Al mio tavolo il giudizio è unanime: molto buono. Francesco Marcone propone: baccalà su vellutata di topinambur con porro e pepe di Sichuan. Solito silenzio della giuria. Noi apprezziamo con mucho gusto. Questo piatto fa parte delle mie preferenze. Sara Sguerri ha una ricetta da ben equilibrare: capesante su cipolle di Tropea e crema allo zafferano. Ci aspettiamo in bocca troppa dolcezza ma ci sbagliamo. Brava Sara. Applausi sporadici qua e là testimoniano la presenza della tifoseria. Ma finora la “bella gioventù” a tavola è discreta. Prende il microfono Luca Paolorossi ed è una standing ovation con tanto di ola. Il suo piatto è coraggioso. Ci vuole una certa voglia di sfida nel proporre agnello al limone e taglio sartoriale. L’agnello spesso divide i palati. Il mio è dalla parte dell’agnello. Ci piace. Gli applausi si fanno sempre più sonori. Il dolce di Tina Tarabelli, l’ultima degli sfidanti, è dedicato all’anice.

E’ l’ora del verdetto. Chi vincerà? Errico dice poche frasi e torna in cucina. Ramona, da brava conduttrice, prende tempo, ricorda gli sponsor, ricorda gli amici… ed ecco cosa ha deciso la giuria. Ci credete se vi scrivo che siamo tutti in piedi? Vince il baccalà di Francesco Marcone. Lo avrei fatto vincere anch’io. E come in tutte le finali che si rispettino saltano i tappi, la Kukà finisce nei calici con la sua schiuma bianca e densa che brilla nella notte. Alla prossima festa!

Carla Latini

Semplicemente alimentare: a Cagli la genuine proposte della Ketti

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ketti cagliMaria Enrichetta Pompili, per tutti la Ketti, è il “suo posto” e “il suo posto” è lei. Da 16 anni si chiama semplicemente “Alimentare, luogo di vendita e degustazione”. Ora lo fan tutti ma 16 anni fa Ketti è stata veramente un’acuta visionaria. Convinta che: “se assaggio poi compro”. Oggi mi racconta che non è stato facile. Anzi, definisce il suo percorso tortuoso. Erano tempi in cui il cibo, il vino, quelli veri e di qualità, facevano fatica a farsi capire. La Tv e i media ne raccontavano timidamente. Non come adesso, quando sarebbe il caso di prendersi un time out e riflettere un po’. Ketti ritiene che c’è troppo spettacolo intorno al cibo. Più intorno al cibo che al vino.

Ma torniamo a 16 anni fa. Ketti (che i suoi anni li porta benissimo) lavorava in uno studio notarile, poi la sua vita cambia direzione. Fa una serie di corsi per imparare (se vuoi raccontare devi prima aver imparato la storia) su vino, olio, pasta, pane, piazza, formaggi e salumi. Diventa una brava cuoca. Tutto quello che mangiate dalla Ketti a Cagli è fatto da lei. È aperta 7 giorni su 7, dalle 7 della mattina al dopo cena. Da 3 anni la affianca, a cena e dopo cena, il suo socio Glauco Marconi. Un partner simpatico e socievole, sempre con la battuta pronta. Con loro c’è anche un tirocinante alla volta che impara un mestiere. Anzi, tanti in un colpo solo.

La prima colazione offre brioche fatte con il lievito madre, ripiene di creme, confetture e marmellate Made in Home o di amici artigiani; a metà mattina salati sfiziosi con i vini e le bolle marchigiane e non. Adesso che è caldo, troverete la pasta alla Norma e la pasta alla mediterranea, con pomodori, capperi, alici. Poi il “misto alimentare” che intorno a fette di melone, assolutamente locale, vede ruotare a scelta, mozzarella, bresaola, prosciutto, salmone. A cena lo scenario si ripete e si arricchisce di hamburger vegetali. L’estate con le melanzane e l’inverno con le lenticchie. Si arricchisce anche di ricette antiche come, ad esempio, le lumache di terra (solo a giugno) che Ketti offre sia nature, con il sughetto appena biondo di pomodoro profumato da tante erbe aromatiche, sia come salsa per condire gli spaghetti. In apertura, d’inverno, a menu, ci sono le zuppe di legumi; d’estate le zuppe fredde come yogurt e cetrioli. Sarò ripetitiva ma vale la pena di riscriverlo: tutto qui è fatto e pensato da Ketti.

Quando le chiedo che tipo di clientela è la sua, prima di rispondermi riflette un po’. Poi, sicura, mi dice: <<Tutta>>. Come tutta? <<Sì, tutta. Dai i cittadini locali, di qualsiasi età, che vanno a prendere il caffè la mattina, ai giovani della metà mattina, ai turisti della colazione, agli anziani (uomini) del pomeriggio, ai giovani, giovanissimi, dell’aperitivo, per arrivare alla cena dove ritornano a essere i “tutti” della mattina e al dopocena che rivedo giovani, meno giovani e turisti>>.

Cagli è un grande paese e la vita di paese, grazie alla volontà degli abitanti, è sempre “accesa”. Come le luci del teatro che, nei momenti di pausa, ospita gli artisti che provano i loro spettacoli. Per cui è facile a Cagli incontrare dei super big della canzone piuttosto che della prosa mentre fanno “le vasche” lungo il corso.

Ketti ama Cagli. Si capisce subito dalla passione che mette nel raccontarmi cosa succede in città, l’estate. Tutti i venerdì sera ci sono i “Venerdì di Cagli” che attraggono i turisti e gente dei paesi vicini e i vacanzieri della costa. Ogni venerdì c’è un tema diverso, dallo sport alla magia. Il bello di questo bello è che tutti i pubblici esercizi collaborano insieme. E insieme si sono inventati la “Griglia in piazza”, i “Mercatini della terra”che offrono anche terre per dipingere, “Cagli delle musiche” che riempie piazze, vicoli e piazzette con lirica, jazz, classica, dialettale ecc. E magari, nel frattempo, da Ketti si degusta un vino locale abbinato a salumi da urlo.

Mentre parlo con lei sento che saluta un amico. È Gabriele della Gioconda. Lui, mi dice, non è come me. Gabriele è un ristoratore vero (vi scriverò di lui più in là). Con Gabriele Ketti si confronta su tutto e insieme, in una sorta di simbiosi enogastronomica, tengono alto il livello delle scelte e delle offerte.

Ammettete che vi ho fatto venire voglia di andare a Cagli dalla Ketti. Lei è sempre lì. Ditele che vi mando io. Ketti è in via Leopardi 18. Risponde lei allo 0721/781950. Risponde sempre lei a info@alimentarecagli.com

Carla Latini

 

 

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