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Giro d’Italia dei Sapori

Cucina greca fra zafferano e bottarga alla conquista del Giro d’Italia dei Sapori a Fano

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Gustando il dionisiaco cibo degli dei con lo zafferano e la bottarga ellenici

Zafferano e bottarga sono eccellenze già da sole. Se poi sono eccellenze elleniche valgono il doppio. Lo zafferano è il più antico del mondo e proviene da 1600 ettari coltivati in biologico e lavorati dalla cooperativa che, anni fa, ebbe l’incarico di riportare in vita e mantenere la varietà Krokos, che è unica. La bottarga è confezionata con il metodo che, forse, i greci appresero dagli egiziani. Viene appena salata, poi sciacquata in acqua di mare purificata e conservata in un guscio di cera d’api.  Così si apre e si taglia come un salame. Rimanendo morbida.
Per questa serata esclusiva ho chiamato i miei amici più cari. Quelli con cui amo discutere di cibo, vino, vita, champagne e profumi. Ilde Soliani arriva per ultima, principessa papessa può permetterselo, con Marco Bargnesi il suo geniale fotografo. Poco prima era arrivato Roberto Coppi con la sua bella moglie. Ilde lo chiama subito Harry Potter e lui rispolvera il sogno di scrivere un libro autobiografico ambientato in Grecia. Cominciamo bene…
Accanto a me è seduto Giorgio Bakagias. È grazie a lui che assaggiamo queste meraviglie e altre ne assaggeremo. E’ grazie a lui che in cucina con Elide Pastrani, siamo alla Lanterna a Fano, c’è Theo Karathanasis, chef ufficiale dello zafferano ellenico.  Vicino a Giorgio c’è il mio amico cuoco Maurizio Digiuni. Il suo blog ‘Una lacrima sul frigo’ la dice lunga. Leggiamo e commentiamo il menu. Ma Giorgio ci prega di assaggiare prima di commentare perché certe voci e parole non rendono giustizia ai veri sapori. Obbedisco per prima e aspetto l’antipasto che mi sono permessa di consigliare a Flavio Cerioni e Elide. Ho già provato la bottarga sia nature e sia in insalata con arance e finocchi. Un gin tonic allo zafferano, ben ghiacciato ci ricorda che dopo stasera nulla sarà come prima. Il ritmo si alza e diventa incalzante con una meravigliosa fetta di feta fritta, impanata con sesamo e pistacchi, e adagiata su una crema di zafferano (nella foto di copertina). Kruger, il mio ‘capo’ seduto al tavolo dei vip (ha condotto lui la serata) esclama estasiato: “ Era tanto che non mangiavo un piatto buono così!”
In cucina Elide e Theo parlano in fiammingo. Il passato di entrambi ha origini olandesi. Ma che combinazione fortunata. La composizione che studiano con i peperoni rossi e gialli è quasi una sfida Italia/Grecia. Il rosso, quello ellenico, è ripieno di bulgar (grano spezzato trattato con lo yogurt), zucca, carota, menta. Sapori prepotenti, dolci e freschi  insieme. Il giallo, l’italiano, è ripieno di ricotta allo zafferano. È tono su tono così come il suo sapore. Italia Grecia 1 a 1. Quando in tavola viene servita la Trahana scende un religioso silenzio. Anche Ilde contempla questa zuppa e non parla. Molto strano per lei. Assaggiamo dubbiosi. Sorrisi gaudenti si stampano sui volti dei miei amici.
Cucchiai golosi cercano altra zuppa da portare al palato. In pratica è un brodo di pollo fatto solo con le cosce, ci spiega Giorgio traducendo Theo, dove viene cotto il bulgar. La pallina bianca nel centro è yogurt e ricotta. Il giallo, manco a farlo apposta, è dato dallo zafferano. Il pepe nero macinato grosso esalta ancora di più questi sapori e profumi a noi ‘sconosciuti’. Elide risponde alla provocazione seguendo il suo cuore ed una ricetta che fa spesso con la bottarga sarda abbinandola alla crema di asparagi. I trucioli di Gualtiero Marchesi sono quasi trionfali con fette lucide e brillanti.  Mentre Theo gira fra noi e si becca, in inglese, complimenti e critiche di Ilde, Maurizio interroga Giorgio e gli spiega come la farebbe lui la bottarga degli Dei. Giorgio ride e si accordano per vedersi a Grottamare. “Vengo anch’io” dice Ilde che sembra presa dalle parole che scambia con Theo e invece segue tutto e tutti con la coda dell’occhio. Due interpretazioni diverse rivelano la grande cuoca che è Elide. I bocconcini di baccalà con favette fresche e salsa di zenzero e zafferano danno un tocco speciale a questa cena. Come un attimo di stand by. Che ci sta bene. Il ritmo riprende ed è rock (come noi quando siamo contagiati da Ilde!) con i medaglioni di filetto di vitello in salsa di bottarga. Qui Elide ha usato la bottarga al posto del tonno per un inusuale vitel tonné.
Intanto Theo, tornato in cucina, ci prepara il predessert: una coppa di yogurt con sciroppo allo zafferano e spezie varie. Cromatismi vivaci all’occhio e al palato. “Da paura!” è Ilde che parla. Segue un dolce all’altezza del predessert dove una spuma candida di yogurt accompagna il cioccolato fondente che ricopre il gelato al pistacchio. Tutto ellenico anche qui. La serata si chiude con infuso allo zafferano tiepido e grappa allo zafferano. Buonissima. Fatta personalmente da Theo. Rimaniamo a chiacchierare felici. Qualcuno dopo la seconda grappa tira fuori il greco scolastico. Theo ride. “Noi greci siamo accoglienti ma anche voi italiani non siete da meno.” Adesso vediamo che si inventa Maurizio Digiuni. Vi tengo informati.  Alla prossima.

Carla Latini.

QUI LE FOTO Giro d’Italia dei Sapori 2017-2018 3°edizione: La Grecia, eccellenza ellenica al Ristorante alla Lanterna di Fano (PU) 4 aprile 2017

Giro d’Italia dei Sapori con Enrico Croatti: un viaggio tra Romagna, Madonna di Campiglio e Los Angeles

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Non sai mai cosa ti aspettarti durante le serate di Flavio e Elide alla Lanterna di Fano. Questa volta la complicità di Elsa Mazzolini ci ha regalato di nuovo la presenza di Gino Angelini. Lo ricordate a novembre dell’anno scorso? Il primo giugno Gino ha reso omaggio a Enrico Croatti, suo allievo in Romagna e suo sous chef a Los Angeles per tre anni. Il giovane Enrico, che ha poco più di trent’anni, ha girato il mondo tanto per rimanere in tema. La sua cucina è piacevolmente contaminata da stili diversi, da ricordi di casa, da vite vissute fra il Restaurante Akelare, tre Stelle Michelin, di San Sebastian (Spagna) e Les Terrasses de Lyon del Relais & Chateaux Villa Florentine di Lione, fra il Grand Hotel Miramonti Majestic di Cortina d’Ampezzo e, sempre a Lione con Paul Bocuse a l’Auberge du Pont de Collonges. Oggi è dal 2008 l’executive chef del rinomato ristorante Dolomieu del DV Chalet Boutique Hotel & Spa di Madonna di Campiglio. Nel 2013 ha preso la sua prima Stella Michelin.

pateIn mezzo ad abbracci, baci e pacche sulle spalle risuona piacevole l’accento romagnolo mai sopito. I due sono in sintonia e vediamo che succederà in cucina. Il pubblico in sala e quello delle grandi occasioni. Non a caso ci sono le Mariette. Che adorano Gino. E Gino ricambierà l’affetto dopo qualche giorno cucinando a 4 mani con Enrico nella loro scuola di cucina. Alfredo Antonaros introduce Enrico Croatti. Romanza la sua vita. E noi aspettiamo il paté preparato in omaggio a Gino Angelini. È il patè di Gino. Un grandissimo piatto, dice Flavio. Ce ne saranno altri nel corso della serata: sopra un carpaccio di gambero un biscotto di nocciola contiene il patè di Gino. Beviamo un Trento Doc Rosè, Antares 2011. Cominciamo alla grande. Poi arriva una portata che giustifica quanto ho scritto sopra (la sua cucina è piacevolmente contaminata da stili diversi, da ricordi di casa, da vite vissute): le poveracce da Rimini a Madonna di Campiglio. Un viaggio su una piacevole pappa al pomodoro fatta con gli ingredienti dei canederli con piccole vongole senza guscio rese eteree da una nuvola che sa di prezzemolo. La contaminazione provoca e le persone si scambiano idee. Per i turanici alle canocchie cambiamo vino. È una Nosiola Selezione Argiller L’Ora 2013. Bariccata a dovere da non sembrare una Nosiola. La Nosiola a un nostro Bianchello del Metauro. Immaginatelo in barrique! I turanici alle canocchie erano degli spaghetti fatti con un grano duro speciale che per l’occasione sono stati triturati e ridotti in piccoli pezzi come fosse un risotto. L’amido dona una mantecatura importante e rilascia il sapore forte del grano duro. Poi Enrico Croatti ci ri-stupisce con la cottura, incredibile, di uno scalogno. Che è uno protagonisti del piatto lattonzolo iberico, mazzancolle e scalogno. Il lattonzolo è un maialino da latte cotto a bassa temperatura, la mazzancolla è caramellata nel caramello, lo scalogno sembra crudo ma non lo è. In bocca rimane croccante ma è cotto. Da mangiarne altri cento. Sempre di iberica memoria ecco arrivare la carne salada estemporanea nell’idea di un Rossini. suggestioni di primaveraCruda, battuta a coltello finemente, si presenta in polpettine, c’è tartufo, c’è la salsa. Ritorna il Trentino, prepotente. Intanto con un rosso Trento doc Rebo 2014, poi con suggestioni di primavera. È un pre-dessert? Non lo so. So che è strepitoso, sorprendente. Bello nei colori della misticanza montana tipica trentina. Con quelle foglie dalle nervature rosso porpora. Sotto a questa che sembra una semplice ma ricercata insalata c’è un cremoso di cioccolato bianco con un sorbetto agli asparagi. Il tutto, a conferma delle mie parole strepitoso, sorprendente, è dentro una coppa Martini. Il dessert che chiude la cena, prima della piccola pasticceria che assume un aspetto internazionale, ci porta in Sicilia. Mandorle e caffè, il mio primo viaggio in Sicilia è un dolce molto ben fatto. Candido. Beviamo un Goldtraminer 2014. Gino Angelini abbraccia il suo allievo. Gino è sempre orgoglioso dei successi dei suoi ragazzi. Ma ogni tanto li vuole rivedere. Li vuole accanto a se. Maestro paterno? Maestro che non smette mai di essere tale. Il Giro d’Italia dei Sapori con Enrico Croatti ha preso una “volata” internazionale. Alla prossima! Flavio Cerioni ci terrà informati sui social quando sarà.

Per info e prenotazioni: 0721881718, 335367146 info@allalanterna.com

Carla Latini

Al Giro d’Italia dei Sapori la Sicilia di Maurizio Urso: gusti e colori scoppiettanti come fuochi d’artificio

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Uno degli scopi “benefici” della formula “Giro d’Italia dei Sapori” è quello di farvi provare un viaggio che non vi sareste potuti permettere. Appurato che il viaggio diventa sempre più difficile da realizzare. Siracusa è una delle più belle città della Sicilia. In realtà le amo tutte e tutte le città “valgono il viaggio”. In ognuna c’è il cuoco sapiente che la rappresenta e la esalta. A Siracusa c’è Maurizio Urso.

Urso Giro d'Italia dei Sapori 2Ho avuto la fortuna di approfondire la sua conoscenza durante la cena della presentazione della Guida Eurotoques di cui Maurizio è presidente per la sua regione. Maurizio è anche presidente di Italcuochi, l’associazione italiana che raccoglie i più versatili e creativi chef. Quelli che piacciono al maestro Gianfranco Vissani. Di cui Maurizio è amico e spesso valida spalla. In Maurizio regna l’anima dell’antico Monsù, come mi conferma Elsa Mazzolini che, se ancora non l’avete imparato, è ideatrice del Giro insieme a Alfredo Antonaros e Flavio Cerioni (patron della Lanterna a Fano dove si svolge il Giro). Il Monsù era il cuoco delle famiglie nobili e ricche. Quello che, all’occorrenza, era capace di organizzare pranzi sontuosi e ruffiani che si “francesizzavano” con stile. Era capace di conservare, gelosamente, le tradizioni delle “cucine” povere fra terra e mare. Scrivo “cucine” perché la Sicilia è fatta di tante cucine. Dalla povera, che utilizzava solo il raccolto e pescato fresco, a quella evoluta che si ispirava alle “contaminazioni” di altre culture. Quella dei Monsù era il massimo. Il Monsù doveva essere diplomatico e attento come un cerimoniere di corte. Ora comprendo perché Maurizio riesce sempre a fare “squadra”. Comprendo meglio anche la sua cucina e l’affetto sincero che la circonda. 
Arrivo alla Lanterna, come sempre, qualche quarto d’ora prima. Trovo Maurizio in cucina con i suoi ragazzi. Non resisto e mi faccio fotografare con loro, con i loro cappelli, di fronte ad una immensa padella colma di vignarola. <<Ma che dici? Vignarola? Questa è la frittedda!>>. Carciofi, fave, piselli e cipolla che faranno da base, contorno, al dentice in campagna. Il piatto forte del nostro Monsù. Che è anche un “dizionario” gastronomico vivente. Le danze gastronomiche cominciano quando l’ultima “Marietta” si siede a tavola. Le Mariette, sapete già tutto di loro, coccolano Maurizio chiamandolo “Ursetto” e lui “storpia” vezzeggiando alla sicula i loro nomi. Così Valeria diventa “Valeriuzza” e così via! Il Tonno vestito al sesamo su maionese senza uovo al latte di mandorla e lampone racchiude in un sol boccone la filosofia di Maurizio. Concretezza, solidità, tradizione e il tocco di colore e sapore diverso dato dal lampone. Urso Giro d'Italia dei SaporiQualcuno farebbe il bis. Lo scooby-doo di alici con beccafico, spuma di cavolo vecchio di rosolini e wafer di sesamo a cacio merita la foto. In questo piatto ci sono ricordi di classici ripieni dedicati alla cacciagione che nella cucina povera rendevano omaggio alle alici. Le regine incontrastate del mare. Nel piatto spunta il “cacio”. Altro ingrediente presente spesso, fra terra e mare, nelle ricette sicule. Una parentesi a parte merita
il cavolo vecchio di Rosolini. Che Maurizio ci racconta così: <<Rosolini è un paese fra Ragusa e Siracusa conosciuto fin dai tempi dei Bizantini per le saline e la vocazione all’agricoltura. Il cavolo vecchio veniva coltivato ai bordi delle saline. Simile al fratello toscano nero ha foglie grandi e carnose. Con un verde più delicato. Adatto a ‘grassare’ cibi importanti>>.
I fuochi d’artificio (come scritto sul titolo) iniziano a “scaldarsi” e cominciano a “scoppiettare” quando arriva il Risotto al fumo di alloro, mirepoix di spada, arancia e limone femminello. C’è chi sente tutti i sapori distinti; chi “sperava” in un risotto all’onda; chi cerca il pesce spada; chi si fa travolgere dagli agrumi consistenti in bocca e “scoppiettanti” appunto di colori; chi “pesca” il pistacchio “maltagliato” che viene, veramente, da Bronte. Chi fa il tris. Elsa domanda: <<Hai imparato da Vissani a fare il risotto così?>>. E Maurizio: <<E’ lui che ha imparato da me!>>. Ecco che il Monsù che è in lui ritorna, gentile. Monsù, per chi non lo sapesse, è l’abbreviativo di Monsieur (Signore) dal francese. Il piatto forte di cui vi ho anticipato prima , il dentice in campagna, si “poggia” sulla frittedda ed è circondato da creme di peperoni rossi e gialli. Il dentice, complice la provocazione di Elsa che Maurizio ha colto prontamente facendola sua, si presenta in veste di involtino ed è pure in verticale. Sopra di lui, come a proteggerlo, una sottile fetta di pane. E a proposito di pane… Elide, la cuoca della Lanterna, nonché moglie di Flavio, sostiene il Giro con la sua brigata e con i pani, straordinari, che è capace di fare. Perché anche di solo pane si può godere.

Godere è il verbo esatto che deve precedere il dessert di Maurizio Urso. Che spiazza tutti quelli che si aspettano Sicilia anche e soprattutto nel dolce finale. Che ci sarà. Tranquilli. Ma non ora. Ora arriva un calice stile Martini ma più grande (gli esperti sanno come si chiama… io no) con Fragola in Zephir di fiore di Ibiscus, coulis di pere speziato al finocchietto e gelato di yogurt e limone. Tante note che non si sovrappongono ma che, come spesso succede nei piatti di Urso, si accentuano, diventando protagoniste di qualche boccone. Poi, per i nostalgici e per quelli che la Sicilia è arancia, cioccolato e mandorla (come dar loro torto?) volano al centro dei tavoli vassoi ricolmi della più gaudente pralineria che potete immaginare. Chiudete gli occhi e vedrete: scorzette di arancia con o senza cioccolato, amaretti, cannoli mignon, cioccolatini. Una malvasia delle Lipari bagna il nostro finale. Maurizio è rimasto a parlare con gli ospiti (più di 100 persone) fino a tarda notte.

La prossima tappa del Giro sarà a Madonna di Campiglio, il primo Giugno, con Enrico Croatti del DV Chalet Boutique. Con lui, forse?, Gino Angelini. Già celebrato su queste pagine. Per info e prenotazioni info@allalanterna.com tel. 0721.884748 – cell. 335367446 sino all’esaurimento dei posti disponibili.

Carla Latini

Un pullman di “Mariette” per Giuseppe Aversa. La magia del Giro d’Italia dei Sapori

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Le serate del Giro d’Italia dei Sapori sono come la “scatola di cioccolatini della mamma di Forrest Gump”. Non sai mai quale piacevole sorpresa ti aspetta. Flavio Cerioni ed Elsa Mazzolini con la complicità di Alfredo Antonaros sanno perfettamente come stimolare la curiosità e appassionare gli affezionati frequentatori del Giro.

Arrivo verso le 19.30 e trovo Stefano Rufo (protagonista del precedente Giro di cui ho già scritto QUI). Scherzando gli chiedo se ho sbagliato serata. <<Sono qui per dare una mano a Giuseppe Aversa>>. Faccio due battute con lui per Elisabetta Podrini. Parliamo di pasta. Di spaghetti alla chitarra, di condimenti e dei suoi fantastici ravioli scapolesi. Poi ecco Giuseppe Aversa. Stella Michelin a Sorrento. La sua cucina viene percepita come solare, elegante, corposa, avvolgente, ironica. Come lui. Dalle prime parole di Giuseppe emergono sentimenti sinceri. Sentimenti che legano il territorio, il cibo e le emozioni delle persone. Sia di quelle che lo preparano che di quelle che lo mangiano. Giuseppe sogna un mondo migliore dove il tempo passato a tavola sia dedicato al rispetto e all’amore per noi stessi e gli altri. Mi sento avvolta da una strana e bella sensazione di calore. Questo sud cost to cost, fra Rufo e Aversa sta avendo il suo effetto. Ed ancora non ho bevuto le bolle che Lentieri ha gentilmente offerto. Stasera beviamo Franciacorta in una serata sorrentina. A conferma che qui, alla Lanterna di Fano, le piacevoli sorprese non finiscono mai. Stiamo per sederci a tavola e mi godo, con gli occhi, il menu. Bevo il primo vino Franciacorta brut. Cominciamo bene. Stiamo aspettando “Le Mariette” (che hanno aperto il Giro d’Italia dei Sapori di cui vi ho già scritto QUI). Hanno prenotato un pulmann solo per Giuseppe. Sono circa 60. Entrano come una sciame di api regine profumate di semola e farina. Riempiono la sala di allegria.

Pronti via! Ho l’onore di avere accanto a me Dadi Gordini (La “Marietta” che è nella foto in home con Giuseppe Aversa. La foto è della sorella di Dadi, Valeria). Mangiare i piatti di Giuseppe accanto a Dadi è un grande onore per me. La Tartara di palamito su croccante di sfogliatella, yogurt acido e limone confit ci scoppietta in bocca. Ecco il cuore di Giuseppe. La sua ironia si manifesta subito con Polpo e Calamaro. Un piatto geometrico dove polpo e calamaro hanno misure, consistenze e colori che stimolano le nostre conversazioni. Io e Dadi usiamo le dita. E così fanno gli altri di fronte a noi. Il nostro Brut Lantieri “tiene il tempo” con le sue bolle definite. Giuseppe ha portato a Fano la sua terra ed una pasta secca che stimo e condivido. Con il Tubettone con cozze e patate e scaglie di ricotta secca inizia un viaggio. Un viaggio che profuma di tradizione ed ha il sapore morbido e avvolgente della pasta di grande qualità. Che si esalta e non si copre. Dadi Marietta conferma. E lei di pasta se ne intende. C’è un secondo piatto di pasta. Un azzardo ben riuscito. Le persone in sala sono più di 120 e per fare la Lingua di Passera con scorfano al limone, salsa di bottarga e pomodoro ci vuole un bel coraggio. Aumenta la mia sensazione iniziale di calore. Imputabile ora anche alle bolle del Satén. Giuseppe esce poco dalla cucina. Ma ci promette che dopo la spigola sarà con noi. Il piatto forte racconta una storia di “mangiafoglie”, come li chiama simpaticamente Aversa. Di un popolo di mare che con le “foglie” sfamava la sua vita. La scarola alla napoletana è una versione di questa “insalata povera invernale” che mi piace molto. Sopra di lei scottata sulla “cute” c’è un trancio di spigola e sotto una salsa all’acqua pazza. Risento lo scoppiettio degli antipasti. Io e Dadi apprezziamo molto anche l’abbinamento con il Franciacorta Rosè. Poi facciamo un giro per la sala a salutare le altre Mariette e amici ritrovati scesi da Forlì e Cesena. L’uscita di Giuseppe Aversa in sala strappa l’applauso. Elsa Mazzolini dice poche parole che descrivono Peppe. Già ben introdotto da Alfredo Antonaros. In sala Peppe ripete il suo desiderio di trasmettere il calore di casa. Il calore della cucina fatta con amore. Un altro applauso conferma che ci è riuscito. <<Come vi faccio pulire la bocca? Con un decotto di mela Annurca al posto del solito sorbetto. Il decotto faceva digerire ed apriva lo stomaco al dolce>>. Da rifare da riproporre questo decotto di mela Annurca. Buonissimo. Quando arriva il dolce ricominciamo a parlare. La signora di fronte a me, che era con me anche alla cena di Stefano Rufo, è napoletana e sa com’è fatto il Migliaccio napoletano. Una pasta che ricorda al palato la pastiera. Il nostro è con soffice di ricotta e gelato di arancia e cannella. Con il Migliaccio ci servono un vino di Visciola locale marchigiano. Rileggendo quanto ho scritto, forse, mi sono lasciata andare dall’emozione provocata da una materia prima che mi appartiene. A cui sono legata: la semola, la farina, gli impasti. Giuseppe ci ha fatto fare un viaggio indimenticabile e Dadi “Marietta”, accanto a me, ha fatto il resto. Il prossimo Giro sarà il 18 aprile. Con Maurizio Urso che salirà dalla sua Siracusa. Lo conosco bene e vi garantisco che sarà una serata magica. In fondo come tutte le altre. Per prenotazioni chiamate Flavio Cerioni alla Lanterna 0721.884748 – 335.367446 – info@allalanterna.com

Carla Latini

Tappa molisana per Il Giro d’Italia dei Sapori con lo chef Stefano Rufo

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Giovane e di bell’aspetto, Stefano Rufo ha portato al Giro d’Italia dei Sapori la sua spontaneità, la sua arte culinaria, la sua memoria di profumi e sapori e gli “introvabili” prodotti della sua terra: stiamo parlando di Rocchetta a Volturno, in provincia di Isernia.

Con lui, lo scorso 18 febbraio, abbiamo scoperto, per la prima volta, quanto sia di carattere e fondata su solide basi tradizionali e culturali questa cucina del territorio che qualcuno, immagino Alfredo Antonaros, ha definito una sorta di “archeologia alimentare”. Mi sento in obbligo e sono felice di farlo, di aprire una parentesi “graffa” per confessarvi che Stefano Rufo è una scoperta di Elsa Mazzolini (vedrete quante saranno le sorprese!). Che quando fiuta non sbaglia un colpo. Stefano viene introdotto ai partecipanti (ancora una volta la sala delle feste di Flavio e Elide Cerioni alla Lanterna è sold out) così: “In una sorta di nido delle aquile, sperduto tra le montagne, Stefano Rufo, giovane chef della Locanda Belvedere di Stefano, che gestisce insieme alla famiglia, opera una sorta di archeologia alimentare e di appassionato recupero della più autentica tradizione molisana, valorizzata in chiave contemporanea. I piatti della memoria, grazie ad una rilettura più attuale, acquisiscono quella brillantezza e quella ricchezza di sapori che solo una sana disinvoltura nell’approccio e una tangibile abilità possono spiegare”.

Un distinto signore al mio tavolo mi sussurra: <<Quest’uomo è un poeta!>>. Sta parlando di Alfredo Antonaros. Ebbene sì, io Alfredo non smetterei mai di ascoltarlo! Stefano introduce ogni piatto. Così facendo ci presenta la sua famiglia. La base da dove parte la sua indiscutile arte. Le polpette della nonna sono la prima sorpresa. Polpette povere che strada facendo perdevano tutta la poca carne macina all’interno. Si vede che alla nonna quella carne serviva altrove. Queste polpette “finte” ci danno l’illusione sia all’olfatto che al gusto di essere vere. Vengono servite con quello che Stefano battezza airbag di maiale. Piccole cotiche essiccate e fritte. Che volano felici insieme alle polpette. Il mio tavolo mugugna di piacere e discute. Lo scopo principale del Giro d’Italia dei Sapori è far ragionare le menti mentre mandibole e mascelle lavorano. Ma la polenta non era solo prerogativa della tradizione gastronomica del Nord Italia? Contaminazioni di popoli e culture ci permettono oggi di ricordare il Tardaglion (si chiama così nel dialetto locale), una polenta lavorata con il cavolo nero (ma non era toscano?). L’aglio la fa da padrone. Piacevolmente direi. E molti fanno il bis. Nella cucina molisana l’aglio non manca mai. Stefano gli toglie l’anima e l’alleggerisce con grande grazia. Facendolo rimanere, però, protagonista del piatto. Aglio fritto croccante. Buonissimo. Mangiato mai il ragù di capra? Accanto a me, arrivato tardi ma arrivato (e quindi siamo contenti che sia arrivato), c’è Davide Eusebi. Un palato eno-gastronomico che conosco e stimo da molto tempo. Mi racconta di un viaggio in Sardegna e di quante versioni di “capra” ha mangiato. Il profumo del ragù di capra esce dalla cucina ed escono anche i ravioloni scapolesi che sono una De.Co locale. Ravioloni a ragione: due “rettangoloni” che riempiono il piatto coperti di ragù. Presa a parlare con Davide faccio una cosa che non si dovrebbe fare mai. Ma la fa anche Davide e quindi sono perdonata. Li lasciamo freddare e li mangiamo che sono appena tiepidi. Stefano supera la prova, non voluta ma capitata, alla grande. Il raviolone, una volta fungeva da primo, secondo e contorno. Il ripieno di Stefano è amalgamato ma gradevolmente separato. In bocca non grasso e molto gustoso. All’interno c’è salsiccia secca con finocchietto selvatico che si sente, poco peperoncino piccante, pancetta magra e guanciale, verdura dolce tipo bietola o spinaci, patate, ricotta secca di capra grattugiata. Un ripieno ricco ed importante.

L’ennesima sorpresa della serata è a seguire dentro il piatto forte che Stefano, confessa, ha affrontato per la prima volta. Qualcuno gli ha consigliato di fare una ricetta tipica degli Appennini. La ricetta ricca della domenica ricca dei pastori. L’agnello delle Mainardi, un’oasi protetta, è con cacio e uova accanto ad una cicoria di campo saltata. Una fricassea alla quale Stefano, volutamente, ha tolto il limone. La mia tata Pasqualina, nativa di Controguerra in provincia di Teramo, la faceva sbattendo le uova e il pecorino con succo di limone e scorza di limone grattugiato. La mamma della signora davanti a me, che viene da Salerno, non metteva mai limone. Stefano si ferma con noi. E il dibattito “limone si limone no” si accende! Flavio ci osserva e non parla. Anche in questo caso molti fanno il bis.

Il dolce è una torta, riduttivo chiamarlo tortino, che prende il nome dal ristorante di Stefano, con nocciole tostate, mele, scaglie di cioccolato e olio evo. Accanto la stessa crema della zuppa inglese con il passito della cantina Angelo D’Uva. Il vignaiolo molisano che ha accampagnato Stefano nel suo menu. Un’altra scoperta di questa sera è stata la Tintilia. Un vitigno di origine spagnola. Perché in questa terra le contaminazioni abbondano. La scoperta di Elsa ha fatto la sua grande figura. Felice e stupito questo giovane “pastore”, bello come solo loro sanno essere, è felice e rimane a parlare fino a notte fonda con tutti quelli che ancora non vogliono tornare a casa. Succede anche questo alla fine di un Giro d’Italia dei Sapori. La prossima tappa si fermerà a Sorrento con Giuseppe Aversa. Sarà il 7 Marzo. Affrettatevi a prenotare. Magari fatevi mettere al tavolo con me. Che ci divertiamo. Per prenotazioni e info: 0721 884748, 335 367446 e info@allalanterna.com.

Carla Latini

Il Giro d’Italia dei Sapori a Fano incorona Massimiliano Mascia e il suo “uovo in raviolo”

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

“A tavola con il Re”. Mai titolo potrebbe essere più “azzeccato” per la prima serata, targata 2016, del format il Giro d’Italia dei Sapori che si è tenuta alla Lanterna a Fano da Flavio Cerioni. Questa tappa si è fermata a Imola, al San Domenico, con il giovane e bello Massimiliano Mascia. La storia del San Domenico di Imola è diventata una leggenda italiana nel mondo. L’intuizione l’ebbe Gianluigi Morini, nel lontano marzo 1970, introducendo, per la prima volta nella ristorazione italiana, l’ idea di “cucina di casa” che lo aveva da sempre affascinato durante lunghi anni di ricerche e di letture. Fino a quel momento questo tipo di cucina era stato patrimonio di pochissime grandi famiglie italiane nelle quali solo un cuoco professionista aveva la responsabilità delle cucine.

Massimiliano Mascia rappresenta la terza generazione del San Domenico. Da anni affianca lo zio, lo chef Valentino Marcattilii, nell’organizzazione e nella gestione della cucina, così come per ben sette anni, all’apertura del San Domenico, Valentino aveva fatto a fianco di Nino Bergese “cuoco dei re”, consigliato a Morini da Luigi Veronelli. Il percorso di Mascia inizia a soli 14 anni: per 5 anni, fino al diploma alberghiero, alterna la presenza in cucina con gli studi e, terminata la scuola, inizia i suoi viaggi per ampliare le proprie conoscenze. Tra le sue esperienze italiane, il Ristorante Vissani e il Ristorante Romano di Viareggio, quella statunitense all’Osteria Fiamma di New York e quelle francesi prima alla Bastide Saint Antoine e infine a Parigi, da Alain Ducasse al Plaza Athenée. Oggi, a 30 anni, Massimiliano garantisce la continuità dello “ stile San Domenico”, una perfetta filosofia fatta di rigoroso impegno a innovare e ad esaltare la tradizione gastronomica italiana nel segno, sempre, della massima eleganza e del fornire all’ospite la rara emozione di sperimentare il fascino colto, raffinato e borghese dello stare a tavola. Con un tocco assolutamente personale e di grande classe. I piatti che ci ha proposto sono stati un crescendo di sapori, colori e profumi. Ricchezza di ingredienti di qualità e rarità. In porzioni equilibrate che hanno permesso a tutti di mangiare ed arrivare al dessert leggeri e felici. Alfredo Antonaros ci ha guidati alla degustazione con il suo raccontare piacevole e stimolante condividendo con il pubblico la storia di Nino Bergese. Il cuoco dei Re, degli Agnelli ecc. Nino aveva un piccolo ristorante a Genova, frequentato anche dal papà di Fabrizio De Andrè, dove si fermava il gota dell’Italia di allora. Poi Alfredo ha lasciato la parola a Massimiliano, Max per gli amici. Max con occhi buoni ed affettuosi ci ha raccontato della sua vita, delle sue passioni e del perché un ragazzo decide di fare il cuoco. Ha sorvolato i sacrifici di questo mestiere, i rientri in macchina ad orari assurdi e le alzatacce in altrettanti orari assurdi, come fossero normale routine. Sicuro e fiero ci ha spiegato come sta vivendo questa responsabilità, come si rapporta con piatti storici dei quali vuole mantenere l’assoluta originalità rispettandoli e, questo lo scrivo io, quasi migliorandoli. Mi posso permette di scrivere ciò perché ho assaggiato l’uovo in raviolo di Valentino e l’altra sera ho assaggiato quello di Max. Mi fermo qui e vi racconto cos’è l’uovo in raviolo. Uno dei tre piatti che hanno fatto la storia della cucina italiana insieme al riso e oro di Gualtiero Marchesi e alla passatina di ceci e gamberi rossi di Fulvio Pierangelini che sarà l’ultimo cuoco del Giro d’Italia dei Sapori.

alici max masciaImmaginate una sfoglia sottile con farina uova e spinaci, quindi verde primavera, immaginate un rosso d’uovo crudo poggiato sopra e chiuso in un raviolo rotondo come il rosso. Il piatto viene preparato a tavola (bellissimo da vedere) in una danza veloce dentro l’acqua che bolle. Scolato in un batter d’occhio il raviolo viene adagiato su una crema di burro di malga e parmigiano reggiano e coperto con i tartufi di stagione. Il rosso all’interno del raviolo, che è ben cotto, rimane morbido ed esce, vezzoso, ad incontrare la crema e i tartufi. Pura poesia che Max ha saputo realizzare per più di 60 persone. Con lui nella cucina della Lanterna, Elide Pastrani ed i suoi ragazzi che hanno diviso la cucina anche con i ragazzi di Max. Una brigata eccezionale. Una cena che nessun gourmet marchigiano avrebbe dovuto perdere. Accanto ad Elsa Mazzolini, che insieme a Flavio e ad Alfredo è l’ideatrice del Giro, c’era, guest star, Ilario Vinciguerra che, oltre ad essere uno chef popolare per via delle sue partecipazioni a Detto Fatto Rai2, è uno dei migliori cuochi italiani celebrato in Italia e all’estero. Avrete capito che è stata una “seratona”? Max ha cominciato con una spugna di melanzane affumicate, alici impanate con patate essiccate, crema di patate e crumble di parmigiano. Ha continuato con una morbidella di robiola e polenta. Poi l’uovo di cui sopra, un controfiletto con verza, nocciola e salsa di tartufo nero per arrivare al dolce, una barretta al cioccolato con gelato di crema alla saba di San Giovese. La prossima puntata del Giro è il 18 marzo con Stefano Rufo che viene da Isernia. Un’altra bella storia italiana. Per prenotazioni ed informazioni info@allalanterna.com tel. 0721.884748 – cell. 335367446.

Sino all’esaurimento dei posti disponibili.

 

Carla Latini

 

 

 

 

 

 

 

 

Gegè Mangano e i profumi del Gargano per il Giro d’Italia dei sapori a Fano

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

La Lanterna di Fano, insieme a Flavio Cerioni e Elide Pastrani, è stata travolta e stravolta dall’energia di Gegè Mangano. Se l’è portata tutta da Foggia e noi l’abbiamo, con grande gusto, assorbita. A cominciare dal “panino del muratore”. Le tappe del Giro d’Italia dei Sapori di Flavio e Elide Cerioni con Alfredo Antonares e Elsa Mazzolini sono sempre più affollate. Affollate da un pubblico attento, incuriosito, con tanta voglia di divertirsi e imparare. Perché lo scopo è questo. Flavio, che se gli lasciate il microfono vi sommerge di verità (ci sveglieremo un giorno o l’altro?), in questi appuntamenti impara, cresce, racconta. Elide, grandissima cuoca mignon, mi dice che è bello capire come fanno gli altri. Ed allora: pronti, via per la terza tappa! In cucina c’è Luigi Mangano, per gli amici Gegè. Il suo ristorante si chiama Li Jalantuumene ed è a Monte Sant’Angelo in provincia di Foggia. Suoi amici al tavolo con noi – fra poco vi dico chi sono – ci raccontano che, in tempi non sospetti, quindi anni fa, Gegè serviva i suoi piatti anticipando il servizio con champagne e bolle di “alto lignaggio” solo per introdurre la cena. Magnum aperti in mezzo alla sala. Potrei ubriacarvi di parole e bolle senza fine ma la cena di Gegè alla Lanterna merita di essere ricordata con attenzione e senza distrazione. Terra: Gargano. Profumi: sole, mare, calore. Odori: verdure strascicate, mandorle, amore. Ora a me il compito difficile di riassumere quanto scritto. Il panino del muratore era il classico panino, la galuppetta o come volete chiamare voi il pranzo da asporto, dei lavoratori che non potevano rientrare a casa. Si mangiava bene, anzi meglio, senza pause pranzo con paste riscaldate al micro-onde, “camogli” e panini schiacciati in mezzo a piastre incandescenti. Il panino del muratore di Gegè è bagnato nell’uovo e fritto, intendo le due parti sopra e sotto senza farcia, riempito con alici marinate, cicoriella di campo e pomorodino dell’anno prima conservato in salamoia (buonissimo e schizzantissimo!). Le nostre mani si ungono. Mi giro e qualcuno/qualcuna usa forchetta e coltello. Ma è un panino e va mangiato con le mani! Lo dice anche Gegè quando introduce questo antipasto con la presenza colta e preparata di Alfredo Antonares. Ormai siamo, almeno tanti quanto basta, muratori foggiani. Quindi ci meritiamo le fave. In qualsiasi modo siano. Gegè ce le velluta (divine!) e le decora con un fungo cardoncello e un gambero fritto in tempura. Al nostro tavolo ci sono due giovani pastai (gli amici di Gegè di cui sopra) che Gegè protegge e promuove. L’unico primo piatto della serata sono i ravioli dei giovani produttori. Sfoglia di semola di grano duro e ripieno di podolico (che è un formaggio) e mugnoli (che sono i fratelli broccoli delle cime di rapa). Conditi solo con bottarga di muggine di Lesina. La sfoglia è trasparente. I mugnoli sotto sono evidenti e verde scuro. Non fanno grinze né “buchette”. Sono buonissimi e gaudenti in bocca. I giovani produttori si prendono tutti gli applausi. Loro sono Casa Prencipe. Gegè entra e esce dalla cucina. <<Mi sento una star>> dice ai partecipanti. Un altro applauso e si sentirà una rock star. Con il microfono in mano ci spiega la passione dei giovani pastai Prencipe e di come gli sta vicino per farli crescere. Intanto arriva ai nostri tavoli una guancia di maialino cotta a bassa temperatura con un tortino di foglie di papavero e miele di castagno. Tenerezze a fine cena. Prima di arrivare al dolce. Gegè ci ha portato le ostie ripiene di mandorle. Per farvi capire meglio, Monte Sant’Angelo, il paese dove vive e lavora Gegè, è sulla strada di passaggio verso gli imbarchi per la Terra Santa. Le suore, negli anni, usavano le ostie avanzate, per farne dei “panini” con miele e mandorle. Gegè ci fa assaggiare la versione “morbida” con miele di acacia. Insieme al dessert che ci riporta bimbi contadini: mousse di ricottina su crema di cioccolato al profumo di Strega. Unico sapore dolce in questo dolce sono croccanti scorzette d’arancia. La terza tappa del giro d’Italia dei sapori con un vincente Gegè psichedelico, si conclude con le creazioni di Paolo Brunelli (più volte menzionato sulle pagine di Tyche). Abbiamo bevuto marchigiano all’inizio e alla fine con il brut passerina spumante dell’Azienda San Giovanni a Offida e il passito di Bianchello dell’Azienda Bruscia a San Costanzo. Nel mezzo Nero di Troia e Crusta. Senza e con barrique. La prossima tappa sarà il 23 gennaio con il San Domenico di Imola. Vi tengo aggiornati. Per le prenotazioni: 0721 884748/ 335 367446/ info@allalanterna.com.

Carla Latini

Il pranzo della domenica delle Mariette al Giro d’Italia dei Sapori

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Le Mariette, le “sfogline” più conosciute d’Italia, hanno inaugurato il Giro d’Italia dei sapori al ristorante La Lanterna di Flavio Cerioni. Ma chi sono e cosa fanno le Mariette con questo nome così buffo da sembrare quasi una compagnia teatrale? Sono più di cento e sono tutte romagnole. Età indefinita. Dalla ragione in su. Non sono cuoche, esclusa una che lavora in una mensa scolastica. Amano e tramandano la sfoglia. Quella vera fatta a mano. Insegnano, cucinano, raccontano. Svolgono un ruolo fondamentale nella Scuola di Cucina di Casa Artusi a Forlimpopoli. Le loro specialità sono la pasta sfogliata, tirata con il mattarello, la pasta ripiena, la piadina, il pane e i piatti tipici dell’Artusi. I classici della cucina romagnola di casa. Il pranzo che le Mariette hanno preparato per gli amici della Lanterna si è svolto di domenica. Un tavolo “vip” ospitava gli ideatori del Giro: Elsa Mazzolini, Alfredo Antonares e lo stesso Flavio Cerioni. Che non è stato seduto mai. Sempre in giro per la sala a coccolare i clienti. In cucina, con le Mariette, la bravissima Elide Pastrani. Una cuoca con una grande sensibilità olfattiva. Nulla da invidiare alle Mariette. Ma il gioco: a quante mani?, 16? 18? È riuscito molto bene. Si voleva, volutamente, riproporre il classico pranzo della domenica. Ai tempi in cui si mangiava, bene, solo una volta a settimana. La pasta sfogliata a mano era un cult. Ripiena e al forno. Ma andiamo per ordine. L’antipasto è il cappone in galantina con la composta di cipolla rossa. Un piatto quasi regale. Direi sontuoso nella sua complessità. I cappelletti all’uso romagnolo sono ripieni di formaggi vari, senza carne. Tanto grandi da riempire, ognuno il cucchiaio. Uno per uno, in un boccone all’altezza del cappone. Un boccone da re. Le lasagne della domenica stavolta sono in bianco. Con spinaci e altre verdure. Una densa e morbida besciamella le lega rendendole voluttuose e molto gustose. Avete capito che le Mariette non scherzano. Volete la tradizione romagnola? Eccola qui. Il piatto forte è un filetto di maiale all’aceto balsamico con scalogno in agrodolce alla Saba e sformato di carote e spinaci. Da notare, se non ve ne siete accorti, il ripetersi degli ingredienti nelle portate. Una cosa che si fa quando si cucina a casa. Se comprate gli spinaci in abbondanza perché sono belli e convenienti li declinate in quasi tutte le portate oppure no? Certo che si. Un cuoco ‘vero’ non lo farebbe mai a meno che non si tratti di un menu tematico. Ma le Mariette non sono cuoche e si comportano come farebbero a casa. Il dolce che ha chiuso l’allegro conviviale è la zuppa inglese con l’alchermes che fa tanto colore. I vini che hanno accompagnato i piatti sono stati, come da copione, tutti marchigiani: Garofoli, Lucarelli, San Lorenzo, Conti di Buscareto. Alla fine applausi e domande. Elsa e Alfredo si complimentano, chiedono informazioni e disquisiscono sulle quantità del sale utilizzato e su come cambiano, paese per paese, le tradizioni culinarie. Cavilli divertenti che fanno rimane gli ospiti seduti ancora un po’ a bere il caffè, rigorosamente corretto al Varnelli. Dopo un pranzo luculliano come questo ci sta! Prossimo appuntamento del Giro d’Italia dei sapori il 15 Novembre con Gino Angelini da Los Angeles. Io per Tyche ci sarò per voi. Provate a chiedere se ci sono ancora posti liberi info@allalanterna.com 0721884748.

Carla Latini

Alla Lanterna di Fano parte il Giro d’Italia dei Sapori. Tanti gli chef… da maglia rosa

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Una casacca da cuoco rosa Giro d’Italia indosso a Elide Pastrani, la bravissima cuoca de Alla Lanterna di Fano ha dato il via alla seconda edizione de “Il Giro d’Italia dei sapori” 2015-2016. Un’idea pensata da tre teste appassionate e profondamente amiche. Chi nel panorama enogastronomico italiano non conosce personaggi come Elsa Mazzolini, Alfredo Antonares e Flavio Cerioni, il patron appunto del locale dove si svolgerà il Giro? Elsa Mazzolini è la direttrice di una delle riviste più note e lette in Italia ed in Europa, la Madia; Alfredo Antonares è un giornalista enogastronomico, cuoco all’abbisogna, conduttore televiso e chi più ne ha ne metta; Flavio è, in questo mondo, un controcorrente coraggioso. Difensore sincero delle materie prime “reali”, sostenitore che la cucina seria serve per educare i palati a mangiare bene, fresco e stagionale. Come predica sempre il nostro Mario Mauro Mariani. Il trio ha inventato una kermesse che consiste in un vero e proprio Giro d’Italia di prodotti e di cuochi. Sono stata alla conferenza stampa.

Antonares ha spiegato il significato, nobile, del far incontrare nella cucina di Elide prodotti e cuochi importanti e stellati. Uomini che porteranno i profumi e gli odori della loro terra a Fano. Saranno i prodotti e i cuochi a parlare con i loro piatti. Ci sarà spettacolo, divertimento e cultura. Si comincia domenica 11 ottobre, a pranzo, con Le Mariette (un’associazione di più di 100 donne non cuoche che da anni divulga la cultura della sfoglia). Cucineranno il vero menu romagnolo della domenica. Sarà un tuffo nei ricordi di quando dai cappelletti in brodo si passava alle lasagne. Tutto fatto a mano e con la cura, casalinga, di un tempo. I pezzi forti del Giro, se mi posso permettere e non me ne vogliano gli altri, sono tre.

Il primo è Gino Angelini, Osteria Angelini a Los Angeles, che Alfredo presenta come uno dei migliori cuochi italiani negli States. Prima di lì Gino era al Des Bains di Riccione. Qui si sono formati tanti più cuochi di quanto possiamo immaginare. La cena del 15 novembre prevede, insieme a Gino, una ventina di suoi “allievi”. Da Riccardo Agostini, ben noto a questi schermi (potete leggere di lui QUI), a Vincenzo Cammerrucci e tanti altri. Sarà necessario soppalcare la cucina… Secondo, in ordine di tempo, il nipote del celebre Valentino Mercattilii del San Domenico di Imola. Uno dei ristoranti che ha segnato la storia della cucina italiana. Si tratta del giovane Massimo Mascia. Sarà un piacere vederlo all’opera il 23 Gennaio. Fra il 15 novembre e il 23 gennaio, si esibirà Gegè Mangano, dalla Puglia, il 3 Dicembre. Le altre date sono da destinarsi ma mese e cuoco ci sono già. Febbraio vedrà la presenza di Stefano Rufo da Isernia, Marzo Giuseppe Aversa da Sorrento, aprile Maurizio D’Urso dalla Sicilia (per lui è il secondo Giro!) e a maggio ci sarà Enrico Croatti da Madonna di Campiglio. Non sono nomi televisivi, come sottolineano i tre ideatori del format, sono cuochi che ancora stanno dietro le cucine e ogni giorno scelgono le materie prime migliori. Dice Flavio che lo chef, l’unico chef, cioè il capo in cucina, è il prodotto!

Ma veniamo al terzo pezzo forte che è stato ed è uno dei migliori cuochi italiani. Quando aveva il Ristorante in Toscana aveva accumulato tutti i riconoscimenti che esistevano, stelle, cappelli, faccini radiosi, forchette ecc… Ora che, come racconta con l’affetto dell’amico fraterno, Alfredo Antonares, fa il consulente per grandi gruppi, sta di nuovo stupendo tutti. Il suo nome è Fulvio Pierangelini. Il cuoco dell’essenziale. Purtroppo e, conoscendolo bene come lo conosco, sarà un’ardua impresa (ma Flavio ci riuscirà!) incastrare Fulvio in mezzo alle altre date già fissate. Come corrispondente di Tyche del Giro d’Italia dei sapori vi terrò informati. A dimostrazione che il trio ha inventato qualcosa di realmente importante per le Marche ci sarà ogni sera la presenza dei ragazzi dell’Alberghiero di Pesaro coordinati dal Prof Paolo Pagnoni. Un’occasione unica per loro. Un valido appoggio verrà dato anche dall’Accademia della Cucina Italiana nella figura del responsabile Marche Mauro Magagnini. Alberto Mazzoni, direttore IMT, garantirà la scelta delle cantine. Perché al Giro d’Italia si beve marchigiano! Per tutte le altre info e per prenotare 0721 884748, info@allalanterna.com. In conclusione, ha affermato Alfredo Antonares, il Giro sarà la ghiotta e colta occasione per, senza muoversi di casa, fare un vero tour gastronomico dello stivale. Vale la pena di esserci.

Carla Latini

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