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Saturnino si racconta a Tyche: “In principio era il violino…”

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«Ma quali domande scritte, vi passo a trovare in redazione». È stato di parola Saturnino Celani, in uno dei suoi ritorni in terra marchigiana. Era piacevolmente divertito per aver provato un basso Warwick nella vicina Recanati, nella sede della Eko. Uno strumento fatto apposta per lui. E poi come un fulmine a Civitanova grazie all’amico comune Henry Ruggeri, nella nostra redazione per un bel pomeriggio fatto di parole. Saturnino è così, entusiasta delle novità ma anche solidamente ancorato alle amicizie.

Saturnino, come nasce l’amore per il tuo strumento: per convinzione o per necessità?

«Mah, tutte e due le cose che hai detto. Ho iniziato studiando il violino, perché è uno strumento che piaceva molto ai miei genitori, tanto che ne avevo tre in casa. Ma non lo avevo esattamente scelto. Il basso è lo strumento della presa di coscienza e quando ho iniziato a suonarlo me ne sono innamorato. In realtà ho cominciato perché il bassista del gruppo del mio quartiere era partito per il servizio militare. Il mio più grande desiderio era far parte di quella band, del loro entourage: mi piacevano talmente tanto che avrei anche fatto il fonico, aiutato a trasportare gli strumenti. Quindi mi avevano detto che se riuscivo a tirare giù il repertorio in una settimana ero dei loro. Devo dire che il violino, anche se non lo avevo scelto, mi ha aiutato tantissimo. E poi ho la fortuna di essermi avvicinato al basso senza passare prima dalla chitarra».

Il basso spesso non sembra uno strumento principale. Tu stai diventando una bella icona in questo senso. Bella soddisfazione, non credi?

«Ho avuto la fortuna comunque di essere entrato in un contesto musicale dove mi è stata data grande possibilità di espressione. Sai, quando hai modo di esprimerti con “volume alto”…».

Da un passato giovanile di musica classica al rock, jazz e funk del presente. Quali sono i tuoi veri gusti musicali da ascoltatore?

«Sono molto vasti, quasi schizofrenici. Quando dieci anni fa partivo in macchina mi portavo un caricatore intero di cd. Adesso invece, grazie alla tecnologia, mi piace perdermi nell’ascolto “random” di quello che ho nel lettore. Sono abbastanza trasversale».

Cosa ti stimola per un tuo futuro ipotetico lavoro da solista, che se leggo bene manca da 16 anni?

«Non ho in previsione nessun lavoro da solista, ma oggi registrare qualcosa è diventato molto semplice. I tempi si sono ridotti e se hai padronanza del mezzo e le idee chiare in una settimana, massimo dieci giorni, inizi già a buttare giù qualcosa».

Saturnino è il pianeta marchigiano nel sistema solare Jovanotti? Insomma è meglio diversificare in un gruppo la propria appartenenza geografica per fare un sound più variopinto, oppure nel tuo caso si è trattato di affinità elettive con Lorenzo?

«Arrivo dalle Marche ma mi sposto su Milano come lui dalla Toscana. Alla fine abbiamo come punto in comune il posto dove siamo stati accolti. Ancora oggi Milano rimane il centro dove succedono delle cose. Il proprietario dello studio dove Lorenzo stava registrando “Una tribù che balla” gli segnalò la mia esistenza. La cosa bella è che prima di suonare ho parlato con lui un’ora e mezza di quelli che erano i gusti musicali, il mio background. È stata una sorta di colloquio essendo lui una persona estremamente curiosa. Dopo che ho suonato il primo pezzo, l’assolo di “Libera l’anima”, Lorenzo mi ha chiesto se ero libero per i prossimi mesi. E da quei sei mesi sono passati 25 anni. L’affinità si è vista da subito».

INTERVISTA COMPLETA NEL VIDEO QUI SOTTO

Kruger Agostinelli

(Nella gallery la visita di Saturnino alla Eko. Foto di Henry Ruggeri)

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L’Osteria di Giacomo Leopardi, piatti veloci e sfiziosi nel nome del Sommo Poeta

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Poco prima della casa del sommo poeta di Recanati e vicina alla piazzetta della casa di Silvia (in fondo è tutto lì in pochi metri quadrati) c’è l’Osteria Leopardi. Una vivace gestione familiare con la missione di educare il turista alla qualità.

Mission impossible? No. Marco il patron, nonché cuoco insieme alla moglie e alla figlia, mi spiegano che hanno la cucina sempre in attività. Anche se costa fatica stare aperti dalle 11 fino a notte fonda, soprattutto l’estate. E accontentano i clienti che fanno la fila per visitare la casa di Giacomo Leopardi. Le visite alla casa sono programmate per appuntamento e creano, in ogni modo, una fila lunga e “noiosa”. L’Osteria è lì per loro. Alcuni hanno tempo per mangiare anche due ore. Altri hanno solo 15 minuti. Così Marco e famiglia, una vita vissuta a fare grandi numeri in una pizzeria da “grandi numeri”, si sono attrezzati per l’abbisogna ed hanno un menu per tutti i gusti, le tasche ed i tempi. In 15 minuti spaghetti al pomodoro, antipasti caldi o freddi, zuppe classiche della tradizione marchigiana. In due ore antipasti sfiziosi, primi elaborati, secondi di carne e pesce. Dessert per 15 minuti e per due ore. Avrete capito che sto toccando, con le mie parole, estremi quasi impossibili ma che rendono l’idea di come si fa di necessità virtù.

All’Osteria Leopardi, in memoria del poeta che non era uomo stanziale in senso eno-gastronomico ed ottimo gourmet, si mangia territorio italiano con qualche accenno alle cucine europee che piacevano a Giacomo. Così nelle proposte c’è “tutto un piatto”: un gulash di cinghiale con polenta e taleggio, stracotto al manzo con Rosso Conero patate e verze, bocconcini di vitello alla birra nera con il suo risotto. Vi sto facendo venire l’acquolina in bocca? Se volete continuo con le zuppe. A mio parere anche queste un piatto unico con ai pani prodotti in casa (li ho visti una mattina alle 10, più che visti li ho annusati nell’aria). Le zuppe sono più marchigiane perché raccontano di Colfiorito  e di Serra de’ Conti. Raccontano di cicerchia, di zucca gialla, di cavolfiori verdi. Uno dei protagonisti delle proposte dell’Osteria è il baccalà. Al quale Marco e famiglia dedicano un intero menu che inizia con un cappuccino di baccalà e patate, passa attraverso dei paccheri al ragù e del baccalà al forno e finisce con un guazzetto arricchito di cavolfiori. I pesci e le carni sono presentati in veste classica, golosa e simpatica. Sono ribaltati, in maniera intelligente, certi “sempre verdi” come il vitel tonnè o il coniglio e maiale alla marchigiana. Va ricordata la cantina. Perché Marco ci tiene tanto e perché l’osteria nasce prima di tutto per questo. Qui si può anche acquistare. All’entrata c’è un’esposizione di tutti i prodotti usati in cucina. Un po’ parigina nel suo stile. Un alto scaffale pieno di bottiglie divide l’esposizione/vendita dalla sala da pranzo. Nella mia toccata e fuga di qualche giorno fa, alle 10 tutti i tavoli avevano il cartellino dell’avvenuta prenotazione. Il bello della simbiosi/sinergia fra la città del Sommo Poeta e l’Osteria Leopardi è che, ormai, una non può più fare a meno dell’altra. Che si tratti dei mercatini di Natale, che si tratti di spettacoli estivi in piazza, mostre e ogni evento che profumi di arte e cultura. Vi conviene prenotare. Ma Marco vi accoglie anche alle 15… tranquilli! Risponde allo 071 7574374.

Carla Latini

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