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Carla Latini - page 2

Ai “Sapori di Ostra” si incontrano gusti e profumi di chi produce cose buone

in Mangiare e bere da

Uniamoci e partiamo! Così si saranno detti, diverso tempo fa, i produttori di cose buone di Ostra e dintorni. Insieme si vince. E loro, appunto tutti insieme, è quello che vogliono fare. Ostra è conosciuta come la città del miele. Ma soprattutto la città della Lacrima. Vitigno unico e tutto marchigiano.

sapori di ostraHo incontrato i “Sapori di Ostra” il 17 marzo alla Lanterna di Fano. Flavio Cerioni è un ospite straordinario e generoso. Elide, la cuoca sua moglie, ha creato un menu che profuma di Ostra dall’antipasto al dolce. In verità gli antipasti sono stati i produttori stessi. La formula vincente di queste serate tematiche è quella di mettere in diretto contatto produttori, prodotti e consumatori interessati. Pubblico colto che per svariati motivi (vi spiegherò poi il perché) partecipa con slancio. Si parte, entrando, da destra, con i frantoiani, Livieri, Zannotti e Ceccacci. Che fanno assaggiare in purezza o con pane locale (buonissimo) i loro blend e le loro monovarietali, raggia e tenera ascolana. A seguire i legumi ceci, cicerchia e fagioli sempre di Ceccacci che saranno protagonisti del menu di Elide. E poi i mieli di Gianni Guazzarotti. Un mito, lui. Che affascina e coinvolge i presenti intrattenendoli con gli argomenti “fantastici e favolosi”, nel vero significato di queste parole, sulle proprietà uniche della pappa reale e sulla vita complessa e organizzata degli alveari. Sui sentimenti delle api. Gianni è un folletto delizioso e so che non si offende se lo scrivo.

Prima di arrivare a salumi e formaggi è doverosa una tappa ai vini, Cantina Mezzanotte, Az Agr Larisa, Conti di Buscareto. La Lacrima la fa da padrona. Mi perdonino gli altri. Stasera bevo Lacrima in tutte le sue declinazioni. Dalle bollicine al fermo. Chiudono il percorso formaggi e salumi. Pittalis ci fa assaggiare pecorino e misto stagionato e meno stagionato. Valmisa lonza, salame Fabriano, sopressato e salsiccia. La cioccolata Vittoria sarà la regina del dessert di Elide insieme al miele di Gianni. Esperti della terra, del mare, del vino e della vita eno-gastronomica marchigiana raccontano alternandosi quanto è importante per tutti legarsi a fil doppio al consumo ragionato di prodotti veri che hanno dietro il volto sorridente di chi li fa con infinito amore. Ci sono io in veste di appassionata enogastronoma e di questo ringrazio Flavio. Ci sono anche per Tyche. Ovvio. C’è Corrado Piccinetti che quando lo senti parlare di mare e di pesci rimani incantato (lo rivredemo a breve su Linea Blu su Rai1). C’è Alfredo Antonaros che con il suo eloquio armonioso e musicale (Alfredo ha una capacità innata di usare le parole come fossero note musicali) dà ad ogni prodotto la sua storia. C’è Ettore Franca, presidente di Olea. Con lui i nostri oli extra vergine non hanno più segreti. Comincia la cena. Elide si rivela una grande. Ma ancora non ci crede. Dopo gli chef che hanno animato il Giro d’Italia dei Sapori diciamo tutti, e siamo sinceri, che lei è veramente una bravissima cuoca. Con i ceci e i fagioli fa due paste che inducono i presenti a fare il tris. Pasta e ceci e pasta e fagioli, che volete di più dalla vita? Poi adagia un filetto di muggine (pesce poverissimo e buonissimo) su una crema di cicerchia accanto a verza e pomodorini arrostiti. Il dolce è un classico di Elide: ricotta lavorata alla siciliana su cestino croccante al miele di melata (una novità per tutti) e salsa di arancia caramellata… e alla fine l’uovo di Pasqua fondente e al latte sempre della Cioccolateria Vittoria. Portato a tavola con il carrello come fossero confetti alla fine di un matrimonio. Un matrimonio che sarà sicuramente prolifico perché i convenuti interessati per motivi diversi, chi per lavoro e quindi per acquistare e vendere, chi per pura passione, chi per proporre le sue creature e cercare di unirsi al gruppo, faranno in modo che “Sapori di Ostra” cresca e si riproduca.

Vi aspetto alla prossima il 18 aprile, sempre alla Lanterna, con Maurizio Urso, presidente di Italcuochi Sicilia e di Eurotoques per il Giro d’Italia dei Sapori. Non dovete perderlo! Per info 0721.884748 – 335.367446 – info@allalanterna.com

Carla Latini

 

 

Un pullman di “Mariette” per Giuseppe Aversa. La magia del Giro d’Italia dei Sapori

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Le serate del Giro d’Italia dei Sapori sono come la “scatola di cioccolatini della mamma di Forrest Gump”. Non sai mai quale piacevole sorpresa ti aspetta. Flavio Cerioni ed Elsa Mazzolini con la complicità di Alfredo Antonaros sanno perfettamente come stimolare la curiosità e appassionare gli affezionati frequentatori del Giro.

Arrivo verso le 19.30 e trovo Stefano Rufo (protagonista del precedente Giro di cui ho già scritto QUI). Scherzando gli chiedo se ho sbagliato serata. <<Sono qui per dare una mano a Giuseppe Aversa>>. Faccio due battute con lui per Elisabetta Podrini. Parliamo di pasta. Di spaghetti alla chitarra, di condimenti e dei suoi fantastici ravioli scapolesi. Poi ecco Giuseppe Aversa. Stella Michelin a Sorrento. La sua cucina viene percepita come solare, elegante, corposa, avvolgente, ironica. Come lui. Dalle prime parole di Giuseppe emergono sentimenti sinceri. Sentimenti che legano il territorio, il cibo e le emozioni delle persone. Sia di quelle che lo preparano che di quelle che lo mangiano. Giuseppe sogna un mondo migliore dove il tempo passato a tavola sia dedicato al rispetto e all’amore per noi stessi e gli altri. Mi sento avvolta da una strana e bella sensazione di calore. Questo sud cost to cost, fra Rufo e Aversa sta avendo il suo effetto. Ed ancora non ho bevuto le bolle che Lentieri ha gentilmente offerto. Stasera beviamo Franciacorta in una serata sorrentina. A conferma che qui, alla Lanterna di Fano, le piacevoli sorprese non finiscono mai. Stiamo per sederci a tavola e mi godo, con gli occhi, il menu. Bevo il primo vino Franciacorta brut. Cominciamo bene. Stiamo aspettando “Le Mariette” (che hanno aperto il Giro d’Italia dei Sapori di cui vi ho già scritto QUI). Hanno prenotato un pulmann solo per Giuseppe. Sono circa 60. Entrano come una sciame di api regine profumate di semola e farina. Riempiono la sala di allegria.

Pronti via! Ho l’onore di avere accanto a me Dadi Gordini (La “Marietta” che è nella foto in home con Giuseppe Aversa. La foto è della sorella di Dadi, Valeria). Mangiare i piatti di Giuseppe accanto a Dadi è un grande onore per me. La Tartara di palamito su croccante di sfogliatella, yogurt acido e limone confit ci scoppietta in bocca. Ecco il cuore di Giuseppe. La sua ironia si manifesta subito con Polpo e Calamaro. Un piatto geometrico dove polpo e calamaro hanno misure, consistenze e colori che stimolano le nostre conversazioni. Io e Dadi usiamo le dita. E così fanno gli altri di fronte a noi. Il nostro Brut Lantieri “tiene il tempo” con le sue bolle definite. Giuseppe ha portato a Fano la sua terra ed una pasta secca che stimo e condivido. Con il Tubettone con cozze e patate e scaglie di ricotta secca inizia un viaggio. Un viaggio che profuma di tradizione ed ha il sapore morbido e avvolgente della pasta di grande qualità. Che si esalta e non si copre. Dadi Marietta conferma. E lei di pasta se ne intende. C’è un secondo piatto di pasta. Un azzardo ben riuscito. Le persone in sala sono più di 120 e per fare la Lingua di Passera con scorfano al limone, salsa di bottarga e pomodoro ci vuole un bel coraggio. Aumenta la mia sensazione iniziale di calore. Imputabile ora anche alle bolle del Satén. Giuseppe esce poco dalla cucina. Ma ci promette che dopo la spigola sarà con noi. Il piatto forte racconta una storia di “mangiafoglie”, come li chiama simpaticamente Aversa. Di un popolo di mare che con le “foglie” sfamava la sua vita. La scarola alla napoletana è una versione di questa “insalata povera invernale” che mi piace molto. Sopra di lei scottata sulla “cute” c’è un trancio di spigola e sotto una salsa all’acqua pazza. Risento lo scoppiettio degli antipasti. Io e Dadi apprezziamo molto anche l’abbinamento con il Franciacorta Rosè. Poi facciamo un giro per la sala a salutare le altre Mariette e amici ritrovati scesi da Forlì e Cesena. L’uscita di Giuseppe Aversa in sala strappa l’applauso. Elsa Mazzolini dice poche parole che descrivono Peppe. Già ben introdotto da Alfredo Antonaros. In sala Peppe ripete il suo desiderio di trasmettere il calore di casa. Il calore della cucina fatta con amore. Un altro applauso conferma che ci è riuscito. <<Come vi faccio pulire la bocca? Con un decotto di mela Annurca al posto del solito sorbetto. Il decotto faceva digerire ed apriva lo stomaco al dolce>>. Da rifare da riproporre questo decotto di mela Annurca. Buonissimo. Quando arriva il dolce ricominciamo a parlare. La signora di fronte a me, che era con me anche alla cena di Stefano Rufo, è napoletana e sa com’è fatto il Migliaccio napoletano. Una pasta che ricorda al palato la pastiera. Il nostro è con soffice di ricotta e gelato di arancia e cannella. Con il Migliaccio ci servono un vino di Visciola locale marchigiano. Rileggendo quanto ho scritto, forse, mi sono lasciata andare dall’emozione provocata da una materia prima che mi appartiene. A cui sono legata: la semola, la farina, gli impasti. Giuseppe ci ha fatto fare un viaggio indimenticabile e Dadi “Marietta”, accanto a me, ha fatto il resto. Il prossimo Giro sarà il 18 aprile. Con Maurizio Urso che salirà dalla sua Siracusa. Lo conosco bene e vi garantisco che sarà una serata magica. In fondo come tutte le altre. Per prenotazioni chiamate Flavio Cerioni alla Lanterna 0721.884748 – 335.367446 – info@allalanterna.com

Carla Latini

Tappa molisana per Il Giro d’Italia dei Sapori con lo chef Stefano Rufo

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

Giovane e di bell’aspetto, Stefano Rufo ha portato al Giro d’Italia dei Sapori la sua spontaneità, la sua arte culinaria, la sua memoria di profumi e sapori e gli “introvabili” prodotti della sua terra: stiamo parlando di Rocchetta a Volturno, in provincia di Isernia.

Con lui, lo scorso 18 febbraio, abbiamo scoperto, per la prima volta, quanto sia di carattere e fondata su solide basi tradizionali e culturali questa cucina del territorio che qualcuno, immagino Alfredo Antonaros, ha definito una sorta di “archeologia alimentare”. Mi sento in obbligo e sono felice di farlo, di aprire una parentesi “graffa” per confessarvi che Stefano Rufo è una scoperta di Elsa Mazzolini (vedrete quante saranno le sorprese!). Che quando fiuta non sbaglia un colpo. Stefano viene introdotto ai partecipanti (ancora una volta la sala delle feste di Flavio e Elide Cerioni alla Lanterna è sold out) così: “In una sorta di nido delle aquile, sperduto tra le montagne, Stefano Rufo, giovane chef della Locanda Belvedere di Stefano, che gestisce insieme alla famiglia, opera una sorta di archeologia alimentare e di appassionato recupero della più autentica tradizione molisana, valorizzata in chiave contemporanea. I piatti della memoria, grazie ad una rilettura più attuale, acquisiscono quella brillantezza e quella ricchezza di sapori che solo una sana disinvoltura nell’approccio e una tangibile abilità possono spiegare”.

Un distinto signore al mio tavolo mi sussurra: <<Quest’uomo è un poeta!>>. Sta parlando di Alfredo Antonaros. Ebbene sì, io Alfredo non smetterei mai di ascoltarlo! Stefano introduce ogni piatto. Così facendo ci presenta la sua famiglia. La base da dove parte la sua indiscutile arte. Le polpette della nonna sono la prima sorpresa. Polpette povere che strada facendo perdevano tutta la poca carne macina all’interno. Si vede che alla nonna quella carne serviva altrove. Queste polpette “finte” ci danno l’illusione sia all’olfatto che al gusto di essere vere. Vengono servite con quello che Stefano battezza airbag di maiale. Piccole cotiche essiccate e fritte. Che volano felici insieme alle polpette. Il mio tavolo mugugna di piacere e discute. Lo scopo principale del Giro d’Italia dei Sapori è far ragionare le menti mentre mandibole e mascelle lavorano. Ma la polenta non era solo prerogativa della tradizione gastronomica del Nord Italia? Contaminazioni di popoli e culture ci permettono oggi di ricordare il Tardaglion (si chiama così nel dialetto locale), una polenta lavorata con il cavolo nero (ma non era toscano?). L’aglio la fa da padrone. Piacevolmente direi. E molti fanno il bis. Nella cucina molisana l’aglio non manca mai. Stefano gli toglie l’anima e l’alleggerisce con grande grazia. Facendolo rimanere, però, protagonista del piatto. Aglio fritto croccante. Buonissimo. Mangiato mai il ragù di capra? Accanto a me, arrivato tardi ma arrivato (e quindi siamo contenti che sia arrivato), c’è Davide Eusebi. Un palato eno-gastronomico che conosco e stimo da molto tempo. Mi racconta di un viaggio in Sardegna e di quante versioni di “capra” ha mangiato. Il profumo del ragù di capra esce dalla cucina ed escono anche i ravioloni scapolesi che sono una De.Co locale. Ravioloni a ragione: due “rettangoloni” che riempiono il piatto coperti di ragù. Presa a parlare con Davide faccio una cosa che non si dovrebbe fare mai. Ma la fa anche Davide e quindi sono perdonata. Li lasciamo freddare e li mangiamo che sono appena tiepidi. Stefano supera la prova, non voluta ma capitata, alla grande. Il raviolone, una volta fungeva da primo, secondo e contorno. Il ripieno di Stefano è amalgamato ma gradevolmente separato. In bocca non grasso e molto gustoso. All’interno c’è salsiccia secca con finocchietto selvatico che si sente, poco peperoncino piccante, pancetta magra e guanciale, verdura dolce tipo bietola o spinaci, patate, ricotta secca di capra grattugiata. Un ripieno ricco ed importante.

L’ennesima sorpresa della serata è a seguire dentro il piatto forte che Stefano, confessa, ha affrontato per la prima volta. Qualcuno gli ha consigliato di fare una ricetta tipica degli Appennini. La ricetta ricca della domenica ricca dei pastori. L’agnello delle Mainardi, un’oasi protetta, è con cacio e uova accanto ad una cicoria di campo saltata. Una fricassea alla quale Stefano, volutamente, ha tolto il limone. La mia tata Pasqualina, nativa di Controguerra in provincia di Teramo, la faceva sbattendo le uova e il pecorino con succo di limone e scorza di limone grattugiato. La mamma della signora davanti a me, che viene da Salerno, non metteva mai limone. Stefano si ferma con noi. E il dibattito “limone si limone no” si accende! Flavio ci osserva e non parla. Anche in questo caso molti fanno il bis.

Il dolce è una torta, riduttivo chiamarlo tortino, che prende il nome dal ristorante di Stefano, con nocciole tostate, mele, scaglie di cioccolato e olio evo. Accanto la stessa crema della zuppa inglese con il passito della cantina Angelo D’Uva. Il vignaiolo molisano che ha accampagnato Stefano nel suo menu. Un’altra scoperta di questa sera è stata la Tintilia. Un vitigno di origine spagnola. Perché in questa terra le contaminazioni abbondano. La scoperta di Elsa ha fatto la sua grande figura. Felice e stupito questo giovane “pastore”, bello come solo loro sanno essere, è felice e rimane a parlare fino a notte fonda con tutti quelli che ancora non vogliono tornare a casa. Succede anche questo alla fine di un Giro d’Italia dei Sapori. La prossima tappa si fermerà a Sorrento con Giuseppe Aversa. Sarà il 7 Marzo. Affrettatevi a prenotare. Magari fatevi mettere al tavolo con me. Che ci divertiamo. Per prenotazioni e info: 0721 884748, 335 367446 e info@allalanterna.com.

Carla Latini

Il Giro d’Italia dei Sapori a Fano incorona Massimiliano Mascia e il suo “uovo in raviolo”

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

“A tavola con il Re”. Mai titolo potrebbe essere più “azzeccato” per la prima serata, targata 2016, del format il Giro d’Italia dei Sapori che si è tenuta alla Lanterna a Fano da Flavio Cerioni. Questa tappa si è fermata a Imola, al San Domenico, con il giovane e bello Massimiliano Mascia. La storia del San Domenico di Imola è diventata una leggenda italiana nel mondo. L’intuizione l’ebbe Gianluigi Morini, nel lontano marzo 1970, introducendo, per la prima volta nella ristorazione italiana, l’ idea di “cucina di casa” che lo aveva da sempre affascinato durante lunghi anni di ricerche e di letture. Fino a quel momento questo tipo di cucina era stato patrimonio di pochissime grandi famiglie italiane nelle quali solo un cuoco professionista aveva la responsabilità delle cucine.

Massimiliano Mascia rappresenta la terza generazione del San Domenico. Da anni affianca lo zio, lo chef Valentino Marcattilii, nell’organizzazione e nella gestione della cucina, così come per ben sette anni, all’apertura del San Domenico, Valentino aveva fatto a fianco di Nino Bergese “cuoco dei re”, consigliato a Morini da Luigi Veronelli. Il percorso di Mascia inizia a soli 14 anni: per 5 anni, fino al diploma alberghiero, alterna la presenza in cucina con gli studi e, terminata la scuola, inizia i suoi viaggi per ampliare le proprie conoscenze. Tra le sue esperienze italiane, il Ristorante Vissani e il Ristorante Romano di Viareggio, quella statunitense all’Osteria Fiamma di New York e quelle francesi prima alla Bastide Saint Antoine e infine a Parigi, da Alain Ducasse al Plaza Athenée. Oggi, a 30 anni, Massimiliano garantisce la continuità dello “ stile San Domenico”, una perfetta filosofia fatta di rigoroso impegno a innovare e ad esaltare la tradizione gastronomica italiana nel segno, sempre, della massima eleganza e del fornire all’ospite la rara emozione di sperimentare il fascino colto, raffinato e borghese dello stare a tavola. Con un tocco assolutamente personale e di grande classe. I piatti che ci ha proposto sono stati un crescendo di sapori, colori e profumi. Ricchezza di ingredienti di qualità e rarità. In porzioni equilibrate che hanno permesso a tutti di mangiare ed arrivare al dessert leggeri e felici. Alfredo Antonaros ci ha guidati alla degustazione con il suo raccontare piacevole e stimolante condividendo con il pubblico la storia di Nino Bergese. Il cuoco dei Re, degli Agnelli ecc. Nino aveva un piccolo ristorante a Genova, frequentato anche dal papà di Fabrizio De Andrè, dove si fermava il gota dell’Italia di allora. Poi Alfredo ha lasciato la parola a Massimiliano, Max per gli amici. Max con occhi buoni ed affettuosi ci ha raccontato della sua vita, delle sue passioni e del perché un ragazzo decide di fare il cuoco. Ha sorvolato i sacrifici di questo mestiere, i rientri in macchina ad orari assurdi e le alzatacce in altrettanti orari assurdi, come fossero normale routine. Sicuro e fiero ci ha spiegato come sta vivendo questa responsabilità, come si rapporta con piatti storici dei quali vuole mantenere l’assoluta originalità rispettandoli e, questo lo scrivo io, quasi migliorandoli. Mi posso permette di scrivere ciò perché ho assaggiato l’uovo in raviolo di Valentino e l’altra sera ho assaggiato quello di Max. Mi fermo qui e vi racconto cos’è l’uovo in raviolo. Uno dei tre piatti che hanno fatto la storia della cucina italiana insieme al riso e oro di Gualtiero Marchesi e alla passatina di ceci e gamberi rossi di Fulvio Pierangelini che sarà l’ultimo cuoco del Giro d’Italia dei Sapori.

alici max masciaImmaginate una sfoglia sottile con farina uova e spinaci, quindi verde primavera, immaginate un rosso d’uovo crudo poggiato sopra e chiuso in un raviolo rotondo come il rosso. Il piatto viene preparato a tavola (bellissimo da vedere) in una danza veloce dentro l’acqua che bolle. Scolato in un batter d’occhio il raviolo viene adagiato su una crema di burro di malga e parmigiano reggiano e coperto con i tartufi di stagione. Il rosso all’interno del raviolo, che è ben cotto, rimane morbido ed esce, vezzoso, ad incontrare la crema e i tartufi. Pura poesia che Max ha saputo realizzare per più di 60 persone. Con lui nella cucina della Lanterna, Elide Pastrani ed i suoi ragazzi che hanno diviso la cucina anche con i ragazzi di Max. Una brigata eccezionale. Una cena che nessun gourmet marchigiano avrebbe dovuto perdere. Accanto ad Elsa Mazzolini, che insieme a Flavio e ad Alfredo è l’ideatrice del Giro, c’era, guest star, Ilario Vinciguerra che, oltre ad essere uno chef popolare per via delle sue partecipazioni a Detto Fatto Rai2, è uno dei migliori cuochi italiani celebrato in Italia e all’estero. Avrete capito che è stata una “seratona”? Max ha cominciato con una spugna di melanzane affumicate, alici impanate con patate essiccate, crema di patate e crumble di parmigiano. Ha continuato con una morbidella di robiola e polenta. Poi l’uovo di cui sopra, un controfiletto con verza, nocciola e salsa di tartufo nero per arrivare al dolce, una barretta al cioccolato con gelato di crema alla saba di San Giovese. La prossima puntata del Giro è il 18 marzo con Stefano Rufo che viene da Isernia. Un’altra bella storia italiana. Per prenotazioni ed informazioni info@allalanterna.com tel. 0721.884748 – cell. 335367446.

Sino all’esaurimento dei posti disponibili.

 

Carla Latini

 

 

 

 

 

 

 

 

Gegè Mangano e i profumi del Gargano per il Giro d’Italia dei sapori a Fano

in Giro d'Italia dei Sapori/Mangiare e bere da

La Lanterna di Fano, insieme a Flavio Cerioni e Elide Pastrani, è stata travolta e stravolta dall’energia di Gegè Mangano. Se l’è portata tutta da Foggia e noi l’abbiamo, con grande gusto, assorbita. A cominciare dal “panino del muratore”. Le tappe del Giro d’Italia dei Sapori di Flavio e Elide Cerioni con Alfredo Antonares e Elsa Mazzolini sono sempre più affollate. Affollate da un pubblico attento, incuriosito, con tanta voglia di divertirsi e imparare. Perché lo scopo è questo. Flavio, che se gli lasciate il microfono vi sommerge di verità (ci sveglieremo un giorno o l’altro?), in questi appuntamenti impara, cresce, racconta. Elide, grandissima cuoca mignon, mi dice che è bello capire come fanno gli altri. Ed allora: pronti, via per la terza tappa! In cucina c’è Luigi Mangano, per gli amici Gegè. Il suo ristorante si chiama Li Jalantuumene ed è a Monte Sant’Angelo in provincia di Foggia. Suoi amici al tavolo con noi – fra poco vi dico chi sono – ci raccontano che, in tempi non sospetti, quindi anni fa, Gegè serviva i suoi piatti anticipando il servizio con champagne e bolle di “alto lignaggio” solo per introdurre la cena. Magnum aperti in mezzo alla sala. Potrei ubriacarvi di parole e bolle senza fine ma la cena di Gegè alla Lanterna merita di essere ricordata con attenzione e senza distrazione. Terra: Gargano. Profumi: sole, mare, calore. Odori: verdure strascicate, mandorle, amore. Ora a me il compito difficile di riassumere quanto scritto. Il panino del muratore era il classico panino, la galuppetta o come volete chiamare voi il pranzo da asporto, dei lavoratori che non potevano rientrare a casa. Si mangiava bene, anzi meglio, senza pause pranzo con paste riscaldate al micro-onde, “camogli” e panini schiacciati in mezzo a piastre incandescenti. Il panino del muratore di Gegè è bagnato nell’uovo e fritto, intendo le due parti sopra e sotto senza farcia, riempito con alici marinate, cicoriella di campo e pomorodino dell’anno prima conservato in salamoia (buonissimo e schizzantissimo!). Le nostre mani si ungono. Mi giro e qualcuno/qualcuna usa forchetta e coltello. Ma è un panino e va mangiato con le mani! Lo dice anche Gegè quando introduce questo antipasto con la presenza colta e preparata di Alfredo Antonares. Ormai siamo, almeno tanti quanto basta, muratori foggiani. Quindi ci meritiamo le fave. In qualsiasi modo siano. Gegè ce le velluta (divine!) e le decora con un fungo cardoncello e un gambero fritto in tempura. Al nostro tavolo ci sono due giovani pastai (gli amici di Gegè di cui sopra) che Gegè protegge e promuove. L’unico primo piatto della serata sono i ravioli dei giovani produttori. Sfoglia di semola di grano duro e ripieno di podolico (che è un formaggio) e mugnoli (che sono i fratelli broccoli delle cime di rapa). Conditi solo con bottarga di muggine di Lesina. La sfoglia è trasparente. I mugnoli sotto sono evidenti e verde scuro. Non fanno grinze né “buchette”. Sono buonissimi e gaudenti in bocca. I giovani produttori si prendono tutti gli applausi. Loro sono Casa Prencipe. Gegè entra e esce dalla cucina. <<Mi sento una star>> dice ai partecipanti. Un altro applauso e si sentirà una rock star. Con il microfono in mano ci spiega la passione dei giovani pastai Prencipe e di come gli sta vicino per farli crescere. Intanto arriva ai nostri tavoli una guancia di maialino cotta a bassa temperatura con un tortino di foglie di papavero e miele di castagno. Tenerezze a fine cena. Prima di arrivare al dolce. Gegè ci ha portato le ostie ripiene di mandorle. Per farvi capire meglio, Monte Sant’Angelo, il paese dove vive e lavora Gegè, è sulla strada di passaggio verso gli imbarchi per la Terra Santa. Le suore, negli anni, usavano le ostie avanzate, per farne dei “panini” con miele e mandorle. Gegè ci fa assaggiare la versione “morbida” con miele di acacia. Insieme al dessert che ci riporta bimbi contadini: mousse di ricottina su crema di cioccolato al profumo di Strega. Unico sapore dolce in questo dolce sono croccanti scorzette d’arancia. La terza tappa del giro d’Italia dei sapori con un vincente Gegè psichedelico, si conclude con le creazioni di Paolo Brunelli (più volte menzionato sulle pagine di Tyche). Abbiamo bevuto marchigiano all’inizio e alla fine con il brut passerina spumante dell’Azienda San Giovanni a Offida e il passito di Bianchello dell’Azienda Bruscia a San Costanzo. Nel mezzo Nero di Troia e Crusta. Senza e con barrique. La prossima tappa sarà il 23 gennaio con il San Domenico di Imola. Vi tengo aggiornati. Per le prenotazioni: 0721 884748/ 335 367446/ info@allalanterna.com.

Carla Latini

Carla Latini di nuovo con le “mani in pasta”: è nata 600.27

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Carla Latini è collaboratrice d’eccezione di Tyche Magazine e amica storica dal tempo delle radio private, quando alla fine degli anni Settanta erano davvero libere. Il suo grande amore e, aggiungo, la sua grande competenza nel mondo della pasta artigianale la porta di nuovo ad una stimolante avventura imprenditoriale. Per dirla con le sue parole, <<dopo 25 anni di “mani in pasta” ho accettato volentieri questa scommessa>>. E’ recente, infatti, il lancio della sua nuova linea di pasta, il cui nome è 600.27. Il 600 sta per le varietà di grano duro che ha conosciuto nella sua attività artigianale e 27 sta per i tipi di spaghetti diversi che nel tempo ha saputo creare. Un cammino professionale che ora la vede protagonista con la famiglia Stoppani, nome storico nell’enogastronomia meneghina, conosciuta a livello nazionale e internazionale per aver condotto dal 1970 al 2013 il food-store e i ristoranti Peck di Milano. Un’azienda da sempre leader nella selezione di materie prime di assoluta eccellenza.

Carla, istruzioni per capire e gustare al massimo la tua pasta artigianale marchigiana?

<<Sicuramente bisogna mettere in moto i sensi. Quindi la vista può catturare il giallo oro, che aiuta a dare la percezione che sono state usate varietà di grano duro colorite e saporite. Poi, indispensabile l’olfatto: quindi, appena aprite il pacchetto, annusatelo immediatamente e potrete sentire il profumo della farina. Per l’udito invece cito il mio amico Gianfranco Vissani: anni fa, mi disse che la buona pasta artigianale si sente anche dal “rumore che fa quando la spezzi”. Infatti se prenderete un mio spaghetto 600.27 vi accorgerete che spezzandolo si sentirà un suono netto, preciso. Mentre la pasta industriale ha un rumore di rottura simile a un filo di plastica. Poi si conclude finalmente con il tatto e il gusto. E lì spero che l’innamoramento prenda forma… >>

Una delle paste è firmata da Gualtiero Marchesi

<<Sono i trucioli di Gualtiero Marchesi. Marchesi, oltre ad onorarmi della sua preferenza, mi ha chiesto di non farli ruvidi, utilizzando delle varietà antiche di semola di grano duro italiano. Lui ha poi sovrapposto al candore e alla levigatezza del truciolo il nero dei chicchi di riso croccanti e pepati condendo alla milanese, con una salsa a base di burro e di zafferano. I trucioli restano al dente, tengono benissimo la cottura grazie alle dimensioni della “cartella” che all’interno della trafila determina lo spessore della pasta>>.

E invece per i comuni mortali, come evitare il pericolo di scuocere gli spaghetti?

<< Posso raccontarti che in fase di test della nostra pasta con un grande chef abbiamo appurato che gli spaghetti grandi, ad esempio, cuociono perfettamente per 9 minuti in acqua, più 4 in padella. Inoltre con le cucine professionali, grazie alla tenuta ottimale della cottura, si possono anche allungare i tempi. Gli spaghetti poi resistono benissimo all’attesa, anche se serviti dopo un po’. Questo avviene grazie ad un’attenta essiccazione a bassa temperatura della semola con le classiche trafile di bronzo. Un modo che permette di proteggere le caratteristiche nutrizionali, organolettiche e proteiche dei grani duri. Insomma, potete stare tranquilli>>.

Quindi come facciamo innamorare il pubblico di questa pasta 600.27?

<<Direi che è semplice. Quando bolle l’acqua gettate la pasta,  poi copritela un istante per far riprendere il bollore. Perché questa operazione? Permetterà, una volta scoperchiata la pentola, di sentire il profumo che solo una buona pasta artigianale riesce ad esprimere. Un odore che mi ricorda la mollica di pane caldo. E tanto per dirla come una canzone che amavamo quando eravamo disc jockey “tu chiamale se vuoi… emozioni”>>.

L’avventura per Carla è iniziata. Per soddisfare la curiosità di volerla cucinare voi e soprattutto di trovarla, provate a contattare via mail a info@pasta60027.it, oppure visitando  www.pasta60027.it

Kruger Agostinelli

Licia Granello, mostra specialità marchigiane in “Dalla A alla Z” vocabolario goloso

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Firma raffinata e prestigiosa del panorama eno-gastronomico italiano, Licia Granello racconta le sue storie di cibo, con il piglio coraggioso e anticonformista che la contraddistingue, tutte le domeniche sulle pagine de La Repubblica e sul suo blog. Dalla A alla Z è un vocabolario, un elenco di consigli per gli acquisti dedicato anche a chi gourmet non è. Una guida a riempire un’ipotetica busta della spesa. I prodotti sono in prima fila. Gli artigiani sono le menti e le mani che servono per valorizzare le cose buone che la natura ci chiede di proteggere. Si vede che l’ho letto. In un viaggio Ancona/Roma e ritorno. Ci sono ricordi, aneddoti, curiosità, ricette, tradizioni, cuochi, agricoltori, allevatori, affinatori. Ci sono profumi e sapori. Che si sentono. Basta aprire il libro.

Licia Granello I sapori d ItaliaVenite con me a pagina 64 dove, a proposito di Cozze e Vongole, scrive, testuali parole: così le stesse cozze sono pessime se inquinate dagli scarichi di Marghera e stupende se prosperano libere e selvagge nella baia di Portonovo sotto il Monte Conero, Ancona, produzione inserita tra i presidi Slow Food.

A pagina 150, il capitolo della Paranza, ricorda un piatto di Mauro Uliassi in abbinamento ad un ottimo champagne: …l’alta cucina punta su accostamenti apparentemente bizzarri e invece magnificamente godibili con il piatto ideato dal marchigiano Mauro Uliassi, scarpette di Venere (ovvero seppioline sporche in quanto piccolissime e non sviscerabili) appena arrostite, profumate con erbe aromatiche e accompagnate da una salsa di fegato di seppia e ricci di mare (presenti anche sotto forma di granita).

A pagina 158, il capitolo del Pecorino, menziona le nostre fosse di tufo rivestite di paglia, fieno ed erbe odorose e poi sigillate.

A pagina 165, il capitolo della Pesca, descrive la ricetta di un dolce creato nelle Marche: con un impasto di uova, zucchero, farina, burro, latte e lievito, si realizzano delle mezze finte pesche unite, dopo un passaggio in forno, da un cucchiai di crema pasticcera e colorate con l’alchermes…

A pagina 206, il capitolo del Salame consiglia un interessante itinerario didattico, quello di Cagli, dove ogni fine primavera si svolge Distinti Salumi, sequenza di laboratori, assaggi, racconti, menu, intorno agli insaccati d’autore.

Questi sono solo alcuni dei motivi per leggere il libro di Licia, dedicato a Carlin Petrini, il fondatore ed ideatore di Slow Food. La prefazione è di Massimo Bottura, da qualche giorno secondo cuoco al mondo, dopo i Fratelli Roca, in classifica mondiale. Scusate se è poco! Siccome conosco molto bene Licia il suo stile ed i suoi gusti va da sé che il libro vi piacerà. Sarà un modo nuovo per esplorare l’Italia.

Carla Latini

 

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