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Pesaro

Luigi Mancini e i suoi grappoli di Pinot nero a picco sul mare

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I vignaioli sono dentro i loro vigneti che sono dentro i loro vini. Il vino si fa in vigna, dicono tutti gli enologi e gli esperti. Più la vigna è amata e più i vini sono generosi. Ho conosciuto Luigi Mancini prima di bere i suoi vini e poi ho visitato il vigneto più alto. Che si specchia del mare tanto è ripido. Ed il mare soffia fra i filari, con un forte vento salato. Luigi è una persona schietta. Di poche parole che offre con la stessa grazia con cui versa i suoi vini. Ma se entri in sintonia è un mare blu di nozioni e di emozioni che ti travolge.

vini mancini Arrivo da lui verso mezzogiorno, in cantina nel Pesarese. È in piedi su una scala accanto ad un tino. Un piacere vederlo così. All’opera. Poi mi fa accomodare nel suo quartier generale. Mobili antichi di pregio e il caos bello e avvolgente di chi lavora senza sosta fra mail, post it, bottiglie e bicchieri. Mi permette di fare, con lui, unn percorso degustazione unico. Stappando annate che risalgono a 15 anni fa e che ancora non hanno finito di raccontare la loro storia. Colpita assaggio in silenzio. Adoro il Pinot nero che trovo il grappolo più bello e delicato del mondo. Un po’ come il Verdicchio. Chiuso “a pugno” all’esterno per aprirsi con calma e a lungo dentro il bicchiere. Luigi è stato il primo a vinificare Pinot nero nelle Marche, impiantato a Pesaro tanti anni fa durante la dominazione napoleonica. Il terreno calcareo e il microclima freddo proveniente dal mare risultarono, fin da allora, ideali per questa coltivazione. Fu la famiglia Mancini, da generazioni, a mantenere in purezza il vitigno e a vinificarlo con cura, rispetto e attenzione. Mentre parliamo, Luigi accende il computer e sul grande schermo mi faccio un viaggio virtuale fra gli appezzamenti da dove prendono il nome i suoi vini. Roncaglia, Albanella 100% con una piccola aggiunta di Pinot nero, è nella zona di Roncaglia, accanto al parco naturale San Bartolo. Focara, zona Focara sempre accanto al Parco che produce appunto il Focara, Pinot nero vinificato in rosso. Focara Rive, sempre Pinot nero ma proveniente dalla zona di Rive, dove stiamo per andare. Colline Focara e Rive, il Sangiovese del Colli Pesaresi. Dalla vigna di Monte Bacchino nasce Blu, IGT rosso. E sempre da Rive arriva anche il Sangiovese. E poi c’è Impero (posso dire il mio preferito?), Pinot nero vinificato in bianco. Attualmente di Albanella c’è il 2013 e delle altre uve il 2012 e 2011. A breve, oppure quando lui vorrà, anche Mancini avrà le sue bollicine.

tenuta mancini tycheHo avuto il privilegio di un’anteprima che mi ha confermato quello che stavo pensando mentre degustavo: i grappoli che Luigi ama e “protegge” dal freddo del mare lo ringraziano con questi vini che sono senza tempo. Prima di portarvi con me a Rive, sarà eccitante ma non nel senso che pensate voi, vi consiglio di vedere sul suo sito www.fattoriamancini.com un video molto bello, di quelli che si dicono emozionali, che mostrano le sue vigne, le ginestre che qui durano tutto agosto, il tramonto. Uno spettacolo unico che porta in vigna visitatori ogni sera per tutta l’estate. Arriviamo in macchina fino a Rive. La visita fra le vigne è “sui generis”. Se volete, salirete su una Suzuki a 4 posti, decappotabile con gomme da alta montagna, Luigi alla guida vi chiederà: «Sei sportiva?» Abbastanza, rispondo tranquilla. Bene, tenetevi forte, perché si parte per un tour rocambolesco, che ha del pericoloso se non sei uno stuntman. Montagne russe fra le vigne a picco sul mare. Ed arriviamo in alto, così in alto che manca il fiato. Scendo, tocco terra e lui ride. Un motivo in più per andare a trovarlo. Oltre che per acquistare i suoi vini.

Fattoria Mancini, Strada dei Colli, ingresso via del Gabbiano, Pesaro. Tel 0721 51828, aperto tutti i giorni dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 15 alle 19.

Carla Latini

Lo Scottadito a Pesaro: tanti buoni motivi per leccarsi le dita

in Mangiare e bere da

Lo Scottadito PesaroPronti a leccarsi le dita? Pesaro, Baia Flaminia. Dove il mare diventa sempre più aperto. Ed il vento soffia spesso. Enrico Cerioni porta un cognome importante nel mondo eno-gastronomico marchigiano e non. E la sua mamma, Elide Pastrani, è una delle cuoche più brave e solide. Allo Scottadito è stata da poco inaugurata la terrazza sul mare. Ci sono più di 100 posti fra dentro e fuori. Mi ricorda il Golf Club di San Sebastian con la spiaggia a pochi passi. Il nome tradisce il “core businnes” del locale. La griglia, la brace. Dietro un bancone un “cuoco griller” si dedica a spiedini, grigliate miste, spiedo vero e proprio, verdure “graticolate”, antipasti rosolati. E poi ci sono loro: gli scottadito. I classici sardoncini impanati e grigliati da mangiare con le mani. Arrivano a tavola su una vezzosa griglietta mono porzione. Piccoli piccoli e con le loro spine. Che se volete potete togliere. Ma sono così sottili che si possono mangiare insieme alla polpa del pesce. Mentre giro, parlo e capisco, esce dalla cucina Giuseppe. Il cuoco napoletano che fa a mano tutte le paste fresche e segue il reparto friggitoria e pizzeria. L’idea di Enrico è quella di fare dello Scottadito un posto giovane per i giovani. Accessibile sia come prezzi che come contenuti. Ma con materie prime di provenienza locale e di indiscussa qualità. E la pizza è giovane. C’è poco da fare! Come la pizza che porta il nome del locale, Scottadito, che diventerà un tormentone estivo. È farcita con bietoline, mozzarella e sardoncini. E la Rossini, poteva mancare a Pesaro? Con pomodoro, mozzarella, maionese e uovo sodo. Le altre “proposte/pizza” viaggiano fra le classiche marinara, margherita, 4 stagioni, 4 formaggi a quelle dop con pomodorini del Piennolo, casciotta d’Urbino e gamberi pescati dall’Adriatico. Gli spaghetti con le vongole sono un cult come i tagliolini allo scoglio. Ricordi della cucina di mamma Elide arrivano quando gli strozzapreti si sposano con la crema di ceci e il ragù di pesce, quando i passatelli sono con pesto e triglie. Unico piatto di carne, perché qui da Scottadito il pesce dell’Adriatico regna indiscusso protagonista, sono le tagliatelle al ragù.

Enrico farà di ogni serata estiva un motivo in più per andare a “scottarsi le dita”, sfilate di moda, animazioni con dj, teatro, arte, cultura …
«Mi piacciono le cose semplici. Mi piace vedere il locale pieno e la gente felice che non si alza dal tavolo. Che socializza e parla con gli altri ospiti».
Tavoli da due, da quattro. Lunghi tavoli da gruppi e comitive dove l’amicizia nasce in una sera. Da perfetto uomo di sala Enrico ha una eccellente carta dei vini, delle birre che non possono mancare con la pizza, che sceglie e seleziona con navigata esperienza.

scottadito carla latiniMentre assaggio i miei scottadito, Giuseppe ritorna in sala per raccontarmi le sue idee sugli antipasti dai crudi, ai tiepidi, ai caldi. Per rimanere in tema mi fa piacere citare fra tutti “la collina al mare”, polenta grigliata con ragù di mare. «Ma che buoni questi sardoncini! Era tanto che non ne mangiavo di così buoni. Poche molliche, poco condimento. Leggeri leggeri con tutto il profondo sapore del nostro mare». Enrico mi trattiene ancora un po’. Gli prometto che torno di sera anche per assaggiare i cocktail e che mi fermo un giorno la mattina presto per un caffè. Scottadito tutto il giorno dalla mattina a notte fonda. Per avere non uno ma tanti motivi per “leccarsi le dita”!

Lo Scottadito è in viale Londra 1, Baia Flaminia, Pesaro. Telefono 0721/25711

Carla Latini

Squadra vincente non si cambia. A Pesaro sopra lo Scudiero c’è il Caffè del Monte

in Mangiare e bere da

Daniele Patti e Carla LatiniStesso staff, stessa filosofia, ambienti diversi e diversamente immaginati. Ma un solo fil/blanche/brillante che lega i progetti. Allo Scudiero di Pesaro Daniele Patti, che per me è uno dei giovani con la mano più felice e con la testa ben rivolta al futuro, immagina, produce e propone dei piatti che sono l’esatta fotocopia del suo modo di pensare. Precisione, attenzione, nulla sfugge anche perché – lasciamoci anche andare un po’ – cibo e vino sono felicità.

La foto in home page li ritrae tutti. Quelli che lavorano sopra e quelli sotto. Sotto e sopra. Quando sono stata da Daniele, settimana scorsa, c’era così talmente tanta gente sopra e altrettanta arrivava sotto allo Scudiero che il papà (o qui si dice babbo?) era contento ma in ansia. Quale babbo/papà non lo sarebbe? Musica dopo le 19 con casse che attirano ad entrare. Ma, attenzione: dovete chiamare e prenotare se volete sedervi e stare. Poco però. Ricordatevi che dovete sostare per l’aperitivo. Al Caffè del Monte i tavoli girano e vi troverete accanto gente in piedi che aspetta. Se invece volete “sostare” con calma meglio scegliere di scendere sotto, allo Scudiero. Qui coccole, e stra-coccole vi faranno rimanere fino a tarda notte stravaccati in comode poltrone o divani.

Il mio consiglio è quello di farvi una bevuta che scalda anima e corpo al Caffè del Monte (si chiama così perché nobili passati devono essere ricordati). Sopra si possono assaggiare in porzioni mignon buone cose gratificanti e molto gaudenti. Che siano al cucchiaio o a “mano”. Adoro mangiare con le mani. Perché poi me le lavo. Oppure le mescolo affettuosamente con chi sta con me. Scendo allo Scudiero ed è tutta un’altra musica. Mi metto a cantare quando scelgo di mangiare una calamarata di crostacei, tagli ovali e spessi su tondi ovali e spessi. Daniele lavora le materie prime con rispetto e senza piaggeria. Il suo tonno (che non amo più ma da lui come fare a non mangiarlo?) con salsa con un nome che mi ricorda qualcosa di russo è molto buona insieme ad una mela passata in osmosi. Dico a Daniele che vogliamo qualcosa che mi scaldi lo stomaco. Siamo in tre. Gaudenti. Ed ecco arrivare in tavola una pasta e fagioli che al posto del parmigiano ha del the nero affumicato.

Quando mi piace un cuoco il mio “amore” va dall’inizio e continua lungo il percorso. E mi permetto, a volte, di dire cosa penso. In separata sede. Oggi, domani e quando sarà Daniele Patti mantiene e merita il suo palco. Giovane e caro cuoco marchigiano. Ops, pesarese…

Carla Latini

Daniele Patti, lo scudiero di Pesaro. Un paladino dei gran prodotti

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Daniele Patti, messinese di nascita ma pesarese di adozione, ha il volto di un giovane scuderio del XVI secolo. Il volto malandrino di quelli che facevano breccia nel cuore delle gran dame. Classe 1988 – mamma mia quanto è giovane! – insieme al suo collega e braccio destro in cucina Matteo Ambrosini, cavalca, è proprio il caso di scriverlo, il ristorante Lo Scudiero a Pesaro.

In pieno centro storico. Bello negli interni e fuori nel giardino che l’estate diventa la meta di appassionati gourmet dell’aria aperta. Qui, appunto nel XVI secolo, c’erano le scuderie di Palazzo Baldassini. Le mura raccontano storia. Il locale è elegante, candido, colori dal bianco al beige. Servizio eccellente e simpatico. Anche se non ho bevuto vino, il giovane sommelier (35 anni), Ivan Filanti, mi ha coccolata lo stesso con acqua naturale e racconti di vino. Daniele è giovane, la sua formazione solida (all’entrata del ristorante c’è una sua foto con Marchesi ai tempi dell’Albereta quando era veramente un bambino) potrebbe portarlo chissà dove. Ed invece ama Pesaro. La sua città. Così tanto da ristrutturare la parte superiore delle scuderie per farne un luogo del cibo e del vino rivolto a tutti. Grandi prodotti e proposte di “facile ascolto”. Ma di questo vi racconterò quando il locale sarà pronto. Ritorno al mio pranzo di qualche giorno fa. Giornalisti che stimo, come Luigi Cremona e Davide Eusebi, mi parlano di Daniele sempre con grande entusiasmo. Quindi mi siedo a tavola con un’ansiosa grande aspettativa. Vorrei provare tutto per capire meglio il pensiero di Daniele.

Vengo attratta da una proposta fra gli antipasti che si chiama: i quattro antipasti di Daniele. Tutto pesce dall’inizio alla fine. Pesaro uguale mare. Ho incrociato Daniele appena sono entrata e poi seguo lui e Matteo con la coda dell’occhio. La cucina è, discretamente, a vista. Mi serve un cameriere biondo, sorridente dall’inizio alla fine. Insieme a Dunia Donini, una bella moretta, moglie di Daniele. Il locale, anche se è un semplice martedì all’ora di pranzo, comincia a riempirsi. Il mio primo antipasto si chiama: tagliatella di seppia al pesto leggero di alga nori. Si sente l’alga che scricchiola in bocca. Mi ricorda dei piatti di Uliassi. So che si vogliono bene e questo mi fa piacere. Il piatto è molto abbondante, così come gli altri che seguiranno. Pesaro style mi spiega poi Daniele. Il cliente ha sempre, quasi, ragione sarà la mia risposta. Il baccalà alla catalana con fondente di patate mi regala un contrasto in bocca di caldo e freddo molto interessante. Apprezzo i pomodorini, polposi, e la cipolla rossa quasi cruda. Il baccalà si scaglia che è una delizia e il fondente di patate è una nuvola. Mi sa che avete capito che mi è piaciuto molto. Le proposte pesce, come indicato nell’elenco dei piatti, sono legate al pescato del giorno. E quel martedì il pescato era particolarmente generoso. Mi becco uno scampone del Conero piastrato con cura su una panzanella con dadini di pane croccanti con pesto di rucola e mandorle. Qui il dolce dello scampo, il leggermente amaro del pesto, l’agrodolce della panzanella potrebbero creare un po’ di confusione. Ma la scelta intelligente di una julienne di carote crude rimette a posto le carte.

Alla fine arriva il piatto, secondo me, da 10 e lode. Sarà che adoro le triglie e quindi mi perdonerete questa mia ‘debolezza’. Sopra una consistente crema di provola si adagia leggiadra, perché con il codino in su, una triglia intera e senza spine impanata e grigliata (le mollichine intorno sono del colore dell’oro). Accanto a lei un parallelepido di polpa di melanzana senza buccia, questa fritta a mio parere, ripiena di pomodorini interi confit. Tanti sapori insieme in un piatto eccellente. Triglia e melanzana erano piacevolmente bollenti. Mentre la crema tiepida. Bravo Daniele. Glielo voglio dire quando ci fermiamo a fare due parole prima della mia dipartita. Ma non ci riesco. Parliamo del suo nuovo progetto. Di altri grandi progetti futuri. Parliamo del tanto lavoro che ha che non gli permette di seguire eventi ai quali viene sempre chiamato. Vorrei dirgli che è giovane ed ha tutto il tempo. Poi scatta in me l’esperienza di “mamma”. E sto zitta. Vedo per lui un grande futuro. Lui e Matteo hanno grazia, sicurezza, materie prime ottime. Spavalderia negli azzardi. Che mi piace sempre tanto. Nell’elenco delle proposte ci sono anche piatti, rassicuranti, della tradizione pesarese e marchigiana, se non avete voglia di creatività. La carta dei vini che Ivan mi ha portato perché sono curiosa è ben fornita e di livello. Saluto Daniele con un bel bacio da mamma e gli prometto questo pezzo che spero gli piacerà.

Carla Latini

La ricetta della Crescia, la focaccia Made in Marche

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Crescia in marchigiano vuol dire pizza. Più che una pizza è una focaccia. La Crescia nelle campagne veniva fatta con la pasta lievitata del pane che avanzava. Cotta nel forno a legna, prima del pane. In questo modo la Crescia faceva da ‘cartina tornasole’ per verificare la temperatura del forno. Piccolina, rotonda e alta con le fossette sulla superficie lasciate dai polpastrelli. Fossette strategiche per catturare il condimento. In origine era condita con olio e grani di sale grosso. In seguito fu aggiunto il rosmarino. L’olio veniva spesso sostituito con il lardo o addirittura con lo strutto spalmato. Strutto e rosmarino fanno la Crescia più buona del mondo! Usata come antico cibo di strada tagliata a metà e farcita. Con le foje o con i salumi. Possiamo prepararla facilmente a casa.

Se siete bravi e vi fate già il pane sono pochi i consigli che posso darvi: che sia alta almeno tre dita, che le fossette siano profonde e che il forno non sia ‘a palla’! La nostra Crescia deve rimanere pallida. Non deve abbrustolire e diventare troppo croccante. La vera Crescia è morbida e leggermente gommosa. Se non siete bravi, fate i furbi e chiedete al vostro panettiere di fiducia un po’ di pasta lievitata per fare del pane bianco. Conditela solo con grani di sale e un filo di olio extra vergine marchigiano. La Crescia è buona calda ma anche fredda.

Per le foje procedete così: ugual misura di spinaci, bietole, cicoria, cime di rape e erbe spontanee di campo. Potete comprarla solo qui nelle Marche, si chiama ‘cucina’. Se andate in un mercato rionale marchigiano e chiedete la verdura mista di campagna, quella che si raccoglie e non si coltiva, vi daranno la ‘cucina’. La ‘cucina’ deve essere ‘capata’ con molta cura e sciacquata a lungo. Cacigna, papole, grugnetti, alcuni dei nomi in dialetto di queste foglie selvagge, crescono molto vicino alla terra e ne sono praticamente intrise. Una volta ben pulite tutte queste verdure miste vanno sbollentate, appena, e ripassate nella padella di ferro con olio extra vergine, due spicchi di aglio in camicia ed un peperoncino rosso. I dosaggi di olio, aglio e peperoncino sono a piacere. Due varianti golose di queste foje sono la prima con l’aggiunta di una patata lessa schiacciata, la seconda con l’aggiunta di alcune fave fresche, prima lessate.

Tagliate a metà la vostra Crescia, farcitela con le foje trascinate e lasciatela a riposo qualche minuto. Se la Crescia nell’interno dove poggia la verdura è diventata verde è pronta per essere mangiata. Con i salumi vale lo stesso procedimento. Salumi a piacere: salame locale, prosciutto casereccio, lonza e lonzino affettati sottili e usati come farcia. Anche con i salumi la Crescia va fatta riposare un po’. Di solito non si mettono salumi e verdure insieme. Le verdure inumidiscono troppo il salume e il loro sapore piccante ne nasconde il sapore.

Esiste anche la versione sfogliata, molto più diffusa nella provincia di Pesaro Urbino. Si avvicina, come aspetto, alla piada romagnola. Ma è più spessa. Cotta sulla piastra rimane leggermente colorita in superficie. La tradizione la vede golosamente condita come la sorella maggiore di cui vi ho raccontato sopra. Contagiati dal suo aspetto più ‘piada che crescia’ potete osare formaggi morbidi locali in aggiunta alle verdure e ai salumi. Oppure anche misticanza fresca.

Questa stuzzicante e semplice ricetta marchigiana può essere un importante antipasto, un tutto pasto, una merenda o il centro tavola di un tipico pranzo marchigiano. Senza farcia la Crescia sostituisce molto egregiamente il pane bianco.

Carla Latini

 

I panini del Furgoncino al gusto di musica da Mina ad Elvis

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Collaudato ormai da diversi anni, come formula magica di street food, il Furgoncino si concede alle piazze marchigiane lasciando alle spalle settimane di Expo ed eventi in giro per l’Italia. Ho beccato Carlo Betti e la sua Laura, in una settimana, ben due volte. La prima a Pesaro, durante un Festival dedicato proprio al cibo di strada, e l’altra nella mia ridente cittadina, Osimo. Potevo mancare? Potevo non fare della meritata “ola” a questo signore dalla vita spericolata e ad alla sua bella dama? Giammai. Quindi eccomi qua, qualche minuto prima che la bolgia umana lo assalisse con le sue numerose richieste. Tassativo: Carlo Betti non cambia ricetta. Il panino è quello e quello rimane. In apparenza sembra burbero e tanto personaggio piratesco. Poi diventa buono come un suo panino. Laura sorride compiacente e Carlo accontenta, mal celando il disappunto, il cliente esigente. Capita di rado, però, perché i suoi panini sono assolutamente equilibrati. I sapori decisi, le verdure croccanti, carni e pesci ben definiti e di ottima qualità. Formaggi da urlo. Sono quelli di Vittorio Beltrami di cui un giorno vi racconterò.

In linea con il claim pane, vino e rock and roll, oltre alla scelta della musica (Carlo viene da un passato di Dj intensamente vissuto), i panini portano il nome dei suoi cantanti e musicisti preferiti. Ho assaggiato per voi (ebbene sì mi sono sacrificata per poterlo raccontare dal vivo) Mina, Califfo, Elvis, Johnny Cash e Moana. Mina e Elvis sono quelli che fanno parte del club né carne né pesce. Vegetariani ma non vegani. Nel primo c’è della saporita scarola saltata con un nuovo formaggio che si chiama “Stallone”, olive taggiasche (vere!) e pomodorini secchi. Elvis contiene invece mozzarella di bufala, lattuga fresca, zucchine rosolate e pomodori. I carnivori della notte avranno la loro più gaudente soddisfazione con Moana: porchetta, peperoni e senape: una bomba! Anche Johnny Cash non se la passa male: prosciutto crudo, gorgonzola e senape. Racchiuse dentro Califfo ci sono delle cipolle stufate ad arte, delicatissime, insieme acciughe sott’olio, pecorino e senape in grani.

Avrete capito che sono pressoché entusiasta dei panini rock di Carlo e Laura. Li definisco panini da chef. Anche se Carlo non è Mauro Uliassi. E non ci pensa per niente ad esserlo. Seguite il Furgoncino su facebook. Non quello di una nota marca di formaggio con i buchi che ha pensato bene di ispirarsi al Furgoncino di Carlo per il suo ultimo spot pubblicitario. Fateci caso…

Carla Latini

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