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Michele Biagiola e gli spaghetti da leggere e da gustare

in Libri da

 

La naturale conoscenza della terra, di erbe aromatiche, misticanze e di quanto un orto (preferisco dire campo) ci può offrire in fatto di ricchezza di sapore e di verde, è il tesoro che fa grande la cucina di Michele Biagiola. Non un recupero di ricordi, permettimi Michele, ma un mantenere sempre vivi i ricordi. Io la vedo così.

A Futura Festival, in un incontro condotto da Valentina Conti, Michele prima di tutto ha parlato di portulachia, che si chiama così perché era l’erba che infestava i gradini dell’entrate dei portoni delle case di campagna. L’anno scorso avevo la portulachia in terrazzo, trapiantata in un grande vaso. L’avevo presa dal campo ma lei ha preferito tornare sul campo. Selvaggia come deve essere. Confermo, per chi non l’ha mai mangiata, che è un erba saporitissima con foglie carnose e “cicciotte”. Ottima da fare in insalata insieme a tante altre erbe spontanee ed aromatiche oppure anche cotta. Saltata in padella con cipolle, carote, peperoncino e dei ciliegini. Con la portulachia Michele Biagiola fa gli spaghetti più buoni del mondo. Spaghetti artigianali marchigiani con tante erbe diverse, cotte o crude, e fiori eduli. Il libro di Michele si intitola proprio “Spaghetti”. Perché sono gli spaghetti italiani ad essere conosciuti al mondo e non la “generica pasta”. In Giappone per dire pasta si dice ‘Spaghetti’.

Nel libro ci sono i segreti per riconoscere gli spaghetti artigianali da quelli industriali. Consigli per la cottura (che condivido appieno!) e ricette più o meno facili. Sicuramente ri-fattibili.

Valentina, che ammette di riuscire a far seccare anche il cactus che ha in balcone, è molto incuriosita: <<Tu sei magro Michele e mangi tanta pasta?>>. <<Si mangio spaghetti tutti i giorni. Ma la pasta non ingrassa>>. Da qui in poi, se prima mi era piaciuto molto, ora non posso non fare un solitario applauso spontaneo!

Michele sfata il “mito” della pasta risottata. Racconta che diverse sue amiche/clienti risottano la pasta pensando di fare una cosa intelligente. La pasta risottata trattiene tutti gli amidi e diventa troppo pesante da digerire. Basta una semplice mantecatura di uno, massimo due minuti, nel condimento ben caldo e fuori dal fuoco. Se gli spaghetti sono scolati ben al dente e sono dei grandi spaghetti artigianali il gioco è fatto. Concordo.

<<Come vedi il futuro del mondo della cucina?>>. Michele ammette che per fortuna se ne fa un gran parlare. Un fenomeno mediatico che non finirà presto. Ma oggi abbiamo tutti poco tempo a disposizione e finiamo sempre nel solito supermercato. Nemmeno lui che è un ricercatore di “cose buone” qualche volta riesce ad andare dal produttore a fare due parole per imparare ancora e crescere. <<Sei pessimista?>> gli chiede Valentina. <<No sono realista>>. Michele vorrebbe che la sua portulachia diventasse il simbolo della terra che vince sul consumismo e sulle leggi di marketing.

Per me lo è già diventata.

E quando Valentina gli domanda quale ricetta cucinerebbe alla persona che ama, risponde serio:

<<I miei spaghetti con verdure cotte, fiori e verdure crude. Stasera quando andate a casa raccogliete le erbe del vostro balcone, cucinate dei buoni spaghetti artigianali, conditeli con olio extra vergine e con tutte le erbe. Non importa in che percentuale. Fatelo. Sarà un piatto magnifico per la persona che amate>>.

Abbiamo toccato il cuore del nostro chef. Michele qual è il tuo piatto della memoria? Michele non esita e subito risponde: <<L’insalata di cetrioli e pomodori che mi facevano quando ero piccolo. Ancora sento quel sapore in bocca>>.

La mia storia dedicata a Michele Biagiola per Futura Festival finisce qui.

Ora vado a casa a farmi una profumata insalata di cetrioli e pomodori, quest’anno, come conferma anche Michele Biagiola, sono buonissimi. E voi che mi avete letto ora dovete assolutamente andare da Michele nel Ristorante Le Case in Contrada Mozzavicci a Macerata.

C’è anche una pizza che non avete mai mangiato…

Carla Latini

Gnocchi del Vescovo e spaghetti in porchetta, alla scoperta di chef Paciaroni

in Senza categoria da

Non siamo al centro di Parigi, né Paolo Paciaroni è una stella italiana in terra francese, anche se potrebbe esserlo. Siamo a Tolentino sulla Nazionale. Trentadue coperti in un ambiente bianco e rosso. Piccolo e raccolto. Sono stata da lui. Sorride sempre Paolo. Si sveglia felice ogni mattina perché fa la cosa che ama di più al mondo: cucinare. Mi confessa che, dopo tutte le avversità che ha superato, ogni giorno è il giorno più bello. La notte è solo una perdita di tempo. In cucina con Paolo c’è mamma Giuseppina. Una giovane signora che tira la sfoglia e fa gli gnocchi quasi tutti giorni. In sala c’è la sorella Laura. Una bella bionda che sorride con gli stessi occhi cerulei del fratello.

parete roberta schiraAlle pareti, le uniche due perché le altre sono vetrine che danno sulla strada ben protette da occhi indiscreti, ci sono tre frasi di altrettanti celebri cuochi: Beck, Bourdin e Marchesi. Più una lunga frase di Roberta Schira, una delle scrittrici più cult del momento, che sintetizza il lavoro del cuoco. In fondo a questa pagina potrete leggerla. Tutte le proposte a menu mi intrigano. Vi racconto quelle che assaggio.

Ci sono antipasti semplici come crostone di pane grigliato con caprese o più elaborati come insalata di riso, pollo e bacche di goji (finalmente ne capisco il senso dell’uso). Sui primi Paolo è più aggressivo e propone spaghetti in porchetta con pomodoro verde e finocchi e gnocchi del Vescovo, un piatto che non toglie mai dalla carta (mamma Giuseppina li fa due, tre volte alla settimana). Se è stagione (sono fortunata, proprio questa), sopra ai soffici gnocchi, conditi con crema di latte, tartufo e salsiccia, c’è una nuvola di spaghetti di zucchine fritte. Paolo ride quando gli dico che i nomi che ha dato ai suoi piatti sono “di poche parole”. Parlano poco. Però “cantano”. Fra i secondi mi faccio conquistare da straccetti di vitello con limoni di Sorrento e dal petto di pollo alla griglia con pinoli sabbiati e rucola. Mi torna in mente uno dei miei ultimi viaggi a Parigi. Da una “appena spuntata” stella Michelin italiana ho mangiato, appunto, piatti con nomi brevi e semplici, completi e unici negli abbinamenti di sapori, nelle dosi e nelle cotture. Come chez Paolo Restaurant. <<Non vuoi assaggiare un pesce? La frittura l’ho presa stamattina al porto di Ancona>>, mi dice guardandomi con gli occhi, celesti, spalancati. Paolo sembra uscito da un cartone animato di Walt Disney. Per fortuna non sono da sola e divido volentieri con i miei amici. Prendiamo frittura mista dell’Adriatico e magnifiche patate fritte a mano. Sì, nel menu c’è proprio scritto fritte a mano. Commovente. Una frittura che vola soffice come un’altra che adoro, quella di Marcello a Portonovo. lla fine, prima di “dessertare” la tavola, Paolo rivela la sua anima pasticceria. I miei amici si dividono fra Africa e Sensazioni. Io mi limito al cestino croccante di frutta fresca e crema pasticcera. Inizia, fra noi, un gaudente scambio di cucchiaini e dolci bocconi. Africa (bavarese di vaniglia del Madagascar, biscotto al cacao forestero, cremino al pistacchio e mango) e Sensazioni (semifreddo ai frutti rossi, pan di spagna all’olio extra vergine, erbette, salsa al caramello, meringhe e frolla) mi distraggono dal mio, sia pur delizioso, cestino croccante.

La carta dei vini è marchigiana e internazionale. Abbiamo scelto il Verdicchio di Andrea Felici e la Lacrima, il Bastaro, di Tenuta San Marcello. Perfetta con il fritto. Difficile congedarsi da questa famiglia che contagia i clienti con la sua gioia di vivere che sprizza da ogni piatto. Baci e abbracci. Tanto ci rivediamo presto.

La Famiglia Paciaroni vi aspetta in via Nazionale 65 a Tolentino. Telefonare prima allo 0733 972784 è meglio. Preparatevi ai sorrisi!

Carla Latini

Nikita Sergeev, lo chef russo che esalta le eccellenze marchigiane

in Mangiare e bere da

Una rivisitazione del piatto fave, pecorino e ciauscolo, apice della tradizione marchigiana, e un dolce che rimanda al soffritto, a base di sedano, carota e cipolla. Sono queste due delle pietanze che hanno fatto ritornare nel nostro territorio il premio “Emergente Centro e Sud 2015”, ghiotta occasione per tutti gli amanti della buona cucina. Importante evento gastronomico organizzato dalla Witaly, condotto dal popolare giornalista Luigi Cremona, ha visto Nikita Sergeev, chef di Porto San Giorgio titolare del ristorante L’Arcade, trionfare nella competizione che si è tenuta a Napoli.

Complimenti Nikita, è andata bene! Ci racconti qualcosa?

<<Sì è andata molto bene, ho vinto! Era la finale per i cuochi del centro e del sud quindi concorrerò il 3, 4 e 5 ottobre a Roma, alle Officine Farneto, per la finale “assoluta”. E’ la seconda volta che partecipo a questa manifestazione>>.

Da quanti anni sei nelle Marche? Ci racconti la tua esperienza?

<<Ho 26 anni e sono qui in Italia da quando ne avevo 13 anni. Venivamo nelle Marche per far visita a dei nostri amici. Il posto ci è sempre piaciuto tantissimo e ad un certo punto ci siamo accorti che trascorrevamo più tempo qui che in Russia. Per quanto riguarda la ristorazione, tutto è cominciato dopo l’università. A Mosca mi sono laureato in Scienze politiche dopo aver fatto anche un Erasmus a Firenze. Una volta laureato però non è stato possibile “convalidare” il titolo in Italia, perché la Russia non è all’interno dell’Unione europea. La mia seconda grande passione era però la cucina, tanto che mi sono buttato su questo campo con tutte le mie forze. Ho seguito corsi, come l’Alma, e sono stato a Parma e in Emilia per fare un po’ d’esperienza. Sono stati diversi gli chef che hanno tracciato il mio percorso personale di vita con la loro filosofia di cucina. Penso ad Alberto Rossetti e a Marco Soldati. Alla fine sono sceso nelle Marche perché in questo territorio mi sentivo e mi sento a casa e ho aperto due anni fa il ristorante. I tempi duri che corrono mi avrebbero consigliato di aspettare prima di intraprendere una mia attività ma si sono legati anche discorsi di tipo burocratici. Per avere il permesso di soggiorno era meglio mettermi in proprio>>.

E’ una bella storia. Una curiosità che ti chiederanno in tanti: nella tua cucina quanto c’è di italiano e quanto delle tue radici.

<<Una domanda che mi fanno spesso. Quando mi dicono “come mai non hai deciso di aprire un ristorante russo” rispondo sempre che sul mio diploma c’è scritto “cuoco professionista di cucina italiana”! Il mio ristorante è italiano ma le mie tradizioni non le ho certo rifiutate. Nei miei piatti ci sono dentro diverse esperienze. Al San Pellegrino Young Chef ad esempio ho portato un raviolo (quindi Italia), all’anguilla (ancora più Italia) con barbabietola di lime. La mia cucina è variegata ed è connessa con il mio percorso. E anche con la mia provenienza. Ad esempio da un po’ nel mio ristorante servo l’aringa con la carota, per parlare dell’eccellenza russa, ma ci sono altri piatti che richiamano alla tradizione francese>>.

E di marchigiano?

<<Al concorso di Luigi Cremona uno dei piatti che ho presentato, davvero apprezzato dai giudici, è stato una rivisitazione (anche se non mi piace questa parola) di fave, pecorino e ciauscolo. Più marchigiano di così… La cucina marchigiana è sempre presente nel mio menu, tanto che cerco di parlare di tradizioni con i ragazzi che lavorano con me e con il personale in sala. L’anno scorso sono andato a mangiare dalla nonna di un mio collaboratore perché ero curioso di sentire i veri gusti rurali>>.

Per te in che direzione andrà la cucina?

<<Spero e credo che la cucina andrà verso la diversificazione della struttura ristorativa. Mi spiego. Una volta esisteva l’osteria, la bottega, il ristorante, la gelateria… Adesso a volte mi capita di vedere scritto sui tendoni dei locali diverse diciture. Secondo me questo è un miscuglio, un’insalata russa che mette in difficoltà il cliente. Una pizzeria deve essere tale e un’osteria è un’osteria>>.

Ci hai descritto un piatto che ti ha fatto vincere. E un altro?

<<Un altro che ha suscitato l’interesse è un dolce, che si chiama “Soffritto all’italiana”. Nella mia cucina non uso praticamente mai il soffritto, perché a mio avviso appesantisce molto, quindi i piatti italiani non ne hanno bisogno. Almeno non tutti. E’ inutile dire che a volte serve, ma non su un risotto o su di un piatto di pasta, perché rovina la centralità della ricetta stessa. Il soffritto è amato in Italia ma di solito si mette all’inizio, prima di preparare una pietanza. Noi invece lo abbiamo collocato alla fine, preparando un dolce con sedano, carota e cipolla. E’ stato complicato spiegare il perché del sapore di cipolla in un dolce. Ma la marmellata di cipolle è un classico italiano, no?>>

Certamente! Un’ultima domanda, quella che noi mensilmente facciamo ai nostri ospiti per filosofeggiare con loro. Se ti dico CANDIDO cosa ti viene in mente?

<<Gelsomino. Un gelato al gelsomino>>.

Perché?

<<Sono qui in terrazzo e vedo queste piante di gelsomino fiorire. Questo profumo mi ha fatto venire in mente come prima cosa proprio il gelsomino. Candido e bianco come il gelsomino>>.

Kruger Agostinelli

Michele Mastrangelo

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